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André Nitschke: “Non credo che la danza si possa riassumere in un momento fugace”

André Nitschke - interview

André Nitschke, fotografo, nato nel 1961 à Metz, Francia, inizia a dedicarsi all’arte della fotografia in età molto giovane grazie a suo padre, inviato speciale di guerra accanto a Marc Flamant. Nel 2011 inizia a dedicarsi alla fotografia di danza, specializzandosi in questo specifico settore. Per lui ogni servizio fotografico è come una micro esibizione in cui chiede ai ballerini di superare le loro abitudini, regolate dalle coreografie scritte o dagli spartiti musicali, per orientarsi verso una visione più personale e introspettiva, rivelatrice della loro identità: un’espressione più libera in cui interagiscono corpo in movimento, emozione e spazio. È un modo di lavorare molto sperimentale, le cui linee generali sono determinate da temi spesso in relazione diretta con la personalità dei ballerini.

Qual è stato il percorso che ti ha portato ad avvicinarti a fotografare la danza?

Sin dai miei inizi in campo fotografico, ho sempre avuto voglia di fare delle foto di danza, mi ricordavo delle foto molto belle di Carolyn Carlson che aveva scattato Jean-Loup Sieff negli anni ‘70, e più, recentemente le collaborazioni di Denis DARZACQ con i danzatori di  HIP-HOP e in particolare La chute (Worldpress photo 2007). La mia prima occasione di scattare delle foto di danza è scaturita da un incontro fortuito durante uno spettacolo del balletto dell’Opéra di Metz-Métropôle durante il quale mi è stato concesso di fotografare ed è stato lì che è iniziato tutto, nella primavera del 2011. Nel novembre dello stesso anno ho iniziato a seguire i danzatori nelle fasi di prova, durante gli spettacoli e nei loro luoghi abituali di allenamento. Tutto poi è seguito in modo molto rapido. Grazie ai social network attraverso i quali ho condiviso le mie foto, ho ricevuto delle richieste di collaborazione da parte di danzatori appartenenti a un universo molto variegato, dalla danza contemporanea alla danza orientale e finanche alla salsa. Poi ci sono state delle pubblicazioni in una rivista e delle esposizioni dei miei lavori. È un ambito talmente vasto e affascinante che in seguito mi sono specializzato esclusivamente nelle immagini di danza, cercando soprattutto di proiettarmi oltre ciò che fanno gli altri fotografi e proponendo una visione più personale della fotografia di danza.

Fotografare la danza è saper cogliere l’attimo fuggente, richiede non solo tecnica, ma l’abilità di saper cogliere il momento preciso in cui si esprime l’emozione. Cos’è per te quell’attimo fuggente?

In primo luogo si passa attraverso un apprendimento visivo di ciò che la danza è. Penso che, per fare delle belle foto di danza, non si possa prescindere da una buona conoscenza dell’esercizio, prima come spettatore. Nel mio caso ho fatto molte ricerche, ho letto molto su questo argomento, ho guardato tantissimi video, ma credo soprattutto che la cosa più importante sia trascorrere molto tempo con i ballerini, ascoltarli parlare della loro arte e, naturalmente, osservarli nelle loro evoluzioni, sia durante le lezioni che in prova. In termini di tecnica, io non mi concentro su quello, lavoro più istintivamente e cerco soprattutto di adattarmi alle situazioni, al fine di mostrare il meglio di quello che ho visto, dando un punto di vista personale. Le foto non rappresentano che pochi istanti di uno spettacolo e dunque questa non può essere che una visione soggettiva di ciò che si è visto. Ecco perché, nel mio lavoro personale, lavoro più sulla sequenza danzata, componendo delle serie di fotogrammi in numero variabile da 5 a 10 fotogrammi che saranno in grado di rendere i momenti forti e delicati o le sequenze di movimento. Non credo che si possa riassumere la danza in un momento fugace ma, paradossalmente, questo è ciò che si vede di più nelle foto di danza in termini di immagini plastiche,  estetiche o commerciali, quasi di moda. Io, dal mio canto, cerco di superare tutto questo attraverso una scrittura più personale che, a mio avviso, testimonia di più ciò che la danza è nel suo insieme e in particolare le emozioni provate dai ballerini nell’esibirsi.

Anche dal punto di vista prettamente tecnico, questo genere di fotografia comporta una precisa responsabilità, in quanto lo scatto nel momento sbagliato può ritrarre un danzatore in una posa che non rende onore alla sua tecnica. Come si affronta questa responsabilità?

Poiché io non sono un ballerino, questo costituisce un’ulteriore difficoltà. Infatti so bene che l’immagine del ballerino è anche il suo strumento, dunque, in ogni caso, non può essere alterata da una foto approssimativa. Anche se, nel corso del tempo e con l’esperienza, i miei sensi si sono affinati e spesso le foto che voglio diffondere ritrascrivono bene la qualità del gesto. Ho due modi di procedere: per quanto riguarda le immagini di spettacolo, prima di diffonderle, chiedo consigli ai danzatori che ne fanno parte, tranne, ovviamente, nel caso di immagini per la stampa che comportano una trasmissione rapida per la pubblicazione degli articoli; in quel caso sono costretto a fidarmi del mio istinto. Nel caso di lavori personali, è più facile, perché in questo contesto prendiamo delle pause durante la sessione fotografica per visionare ciò che è già stato fatto ed eliminare ciò che non è conforme alle nostre rispettive aspettative e questo è anche il vantaggio della fotografia digitale.

Che importanza hanno le luci?

L’illuminazione e luci sono uno dei principali elementi dell’immagine. Mi riferisco alla definizione stessa della parola “fotografia” che significa “scrivere con la luce”, quindi questo ne sottolinea l’importanza. A meno che non si ricerchino degli effetti particolari o un’atmosfera particolarmente drammatica, la mancanza di buone luci può influire molto sulla possibilità di valorizzare bene la qualità della prestazione.

Che cosa ti ispira di più in un balletto?

Ogni balletto ha le proprie specificità e sottigliezze, che, combinate con la visione di ogni coreografo nella loro interpretazione, è ogni volta una scoperta. Da un punto di vista fotografico, tuttavia, è più facile per me fare scatti di tre o quattro ballerini o di passi a due; ciò mi dà più libertà per la formulazione e la composizione in armonia con la scenografia. A livello di insiemi è più difficile e la visione può essere più confusa, in quanto, attraverso un unico obiettivo, non si vede tutto ciò che accada simultaneamente in scena.

Anche il dietro le quinte suscita il tuo interesse fotografico?

Sì, adoro assistere alle lezioni e scattare delle foto, anche nelle fasi di creazione coreografica. Questo mi permette di essere più intuitivo durante lo spettacolo e di poter scattare al momento giusto.  Penso che il dietro le quinte sia interessante per testimoniare attraverso immagini anche il lato “off” di ciò che è una compagnia di danza o un balletto, il lavoro immane che è dietro ogni produzione. Mi dispiace molto che la mia disponibilità limitata non mi consenta di dedicarmi a questo aspetto come vorrei.

Che attrezzatura utilizzi solitamente?

Fino ad ora ho utilizzato varie fotocamere reflex digitali Nikon (D90 e D7000), poi sono passato al “full frame” con la macchina digitale Nikon D610 24×36. Ho moltissimi obiettivi  sempre buona apertura per lo spettacolo (f 2.8) e più spesso lavoro in zoom  a 28-75 e 70-200 millimetri. Ma può accadere anche di variare utilizzando unicamente  delle focali fisse (35 o 50 millimetri). Ciò varia soprattutto in funzione del posizionamento e della configurazione della sala o del luogo ove si svolge la rappresentazione.

Progetti fotografici realizzati sinora?

Ho realizzato due progetti fotografici di danza che sono stati presentati in alcune mostre: Il primo èPériphéria-Sylphides, che è stato esposto a giugno-luglio 2013 in un grande parco di Metz, composto da 10 immagini 1m x 2m, aventi come tema una riflessione sulle periferie delle città. Ho integrato in ogni immagine un ballerino allo scopo di sollevare un interrogativo sulla mancanza di armonia con la quale questi spazi sono disposti.  La seconda era una sorta di monografia del mio lavoro personale sulla danza realizzata tra l’estate 2012 e l’estate 2013, che va sotto il nome di Quint’Essence, esposta al Centre de Création Chorégraphique Luxembourgeois a Lussemburgo a febbraio e marzo 2014, che raggruppa 33 foto in 5 serie distinte raffiguranti ballerini della Regione Lorena.

Progetti per il futuro?

Per i miei progetti futuri, continuo quello che ho iniziato due anni e mezzo fa, ossia dei ritratti di ballerini in movimento che esprimono la loro personalità e gesti di identità attraverso interazioni con luoghi insoliti. Questo è molto interessante come approccio per i ballerini perché è molto introspettivo, vi è un lato molto performativo in questo tipo di esperienza. Per alcuni mesi ho anche intrapreso delle collaborazioni con diversi ballerini / coreografi per delle serie tematiche: la vita quotidiana, i viaggi o in movimenti del corpo nella danza… tra gli altri. Spero di presentare questi studi al pubblico attraverso mostre e pubblicazioni (webzine, magazines, libri, etc.). Intendo partecipare anche a diversi concorsi fotografici, ma non ho ancora programmato nulla per i prossimi mesi, anche se potrebbero emergere presto delle cose interessanti! Al momento sono più in fase di produzione di immagini.

La tua personale idea di danza.

È una disciplina straordinaria che unisce intelletto, tecnica e prestazione fisica. Vi trovo moltissime analogie con il mio passato di sportivo nel quale mi confrontavo con atleti di altissimo livello. Tuttavia deploro la mancanza di un vero ponte tra le diverse forme di espressione dei vari stili di danza. Gli stili potrebbero coesistere, ma si incontrano troppo raramente!

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

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