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“Danza chi, come e perché?” – La Posta di Anna Maria Prina

La posta di Anna Maria Prina

Gentilissima Signora Prina,

forse può sembrare una domanda ovvia, ma qual è il titolo di repertorio che per Lei costituisce un “cult”?

(Gianni da Roma)

Caro Gianni,

sicuramente GISELLE, il balletto classico-romantico per eccellenza. La versione storica e tradizionale con coreografie di  Jean Coralli e Jules Perrot, musiche di Adolphe Adam e libretto di Théophile Gautier è perfetta  dal punto di vista drammaturgico, musicale e coreografico. I due atti sono magistralmente bilanciati fra il terreno e l’irreale: il quadro campagnolo del primo atto con aria dapprima festosa, poi via via sempre più drammatica, lascia il posto all’atmosfera rarefatta del secondo atto. Il risultato è una perfetta simbiosi di musica e coreografia che – nonostante le varie revisioni – hanno conservato intatte le atmosfere originarie. Ma vorrei annoverare fra i balletti cult anche la versione contemporanea non romantica del coreografo svedese Mats Ek, che nel 1982 reinterpretò magistralmente la Giselle di Coralli-Perrot, riuscendo a compiere quasi un miracolo di perfezione. Solo Ek, coreografo intelligente, espressivo, versatile e musicale, lo ha saputo fare.

Cara Signora Prina,

mi chiedo come sia possibile che nel 2016 vi siano ancora tanti pregiudizi rispetto al fatto che un ragazzo possa scegliere la danza come professione e come si è originata nel tempo questa credenza che essere un ballerino significhi non possedere virilità. Vorrei sapere su che basi si fonda e che argomenti mi consiglia di usare con le persone che mi fanno questo genere di discorsi quando parlo della mia passione per la danza.

 (Fabio da Treviso)

Caro Fabio, i pregiudizi sono in generale retaggio antico di persone bacchettone e ottuse. Ma è pur vero che certe credenze sui ballerini uomini hanno antiche origini. La danza codificata era nata principalmente per le donne, tanto che per un lungo periodo nell’Ottocento (per esempio in Coppelia) i ruoli maschili erano sostenuti da danzatrici en travesti (vestite da uomini). Poi gli uomini vennero lentamente inseriti nei balletti, ma principalmente come porteur, rimanendo sempre dietro e accanto alla donna e mai esibendosi da soli. Successivamente la figura maschile acquistò maggiore importanza (grazie a Cecchetti, Massine, Nijinsky, Lifar, Bruhn e altri) fino all’apparizione del mitico Nureiev, che ha ribaltato completamente il ruolo del danzatore, esaltandolo al massimo con variazioni complicate e difficili e con il suo stile virile e aggressivo. Ai giorni nostri il ballerino viene apprezzato e quasi idolatrato per le sue doti fisiche, tecniche e acrobatiche: insomma, l’incarnazione della bellezza apollinea come Roberto Bolle. Quanto allo studio della Danza, per molti anni è stato consigliato alle fanciulle di buona famiglia (che certo non volevano diventare professioniste) per migliorare il portamento e saper fare l’inchino con grazia. Quindi la danza classica veniva accostata alle ragazze piuttosto che ai ragazzi, essendo considerata “faccenda da donne”. D’altronde anche la cucina era cosa da donne, ma poi è diventata appannaggio principalmente di chef maschi. Tutto questo rientra nell’evoluzione dei costumi della nostra società. E anche il balletto ha attraversato tanti cambiamenti epocali – non solo tecnici – annoverando ora grandi star maschili in tutto il mondo. Purtroppo è difficile debellare i pregiudizi che si sono creati nel tempo, ma pare evidente che chi pensa ancora che chi studia danza sia per forza omosessuale non ha capito nulla, nel senso che gli manca la cultura della danza. Fabio, tu stesso potresti essere un esempio per gli altri. Potresti far notare che per danzare è necessaria una prestanza fisica virile quasi atletica e che il gesto maschile (pur nella sua eleganza) differisce da quello femminile. L’importante è non nuocere agli altri e amare ciò che si sta’ facendo, perché solo in questo modo si può stare bene con se’ stessi e far stare bene chi viene a Teatro a vederci danzare con passione. Buona Danza e buona vita!!

Gentilissima,

vedo che i gala di danza sono una forma di spettacolo ancora molto diffusa. Lei non crede che, per quanto possano rappresentare un bel tentativo di spettacolarizzazione coreutica basata sulla raccolta del “meglio” dei pezzi classico più amati, forse potrebbe talvolta apparire obsoleta?  

(Antonella da Milano)

Cara Antonella,

effettivamente i cosiddetti Gala di Danza o des Etoiles oppure i vari “Divo and friends” sono spettacoli in voga da parecchi anni e penso che abbiano tuttora diverse funzioni valide. Innanzitutto servono a portare la bella danza in più teatri senza aver bisogno di impianti scenici costosi; servono a far conoscere al grande pubblico una selezione di brani tratti da capolavori della danza, senza vincolarlo ad assistere a un intero balletto; servono da catalizzatore per un pubblico generico, che viene attirato a teatro grazie ad un cartellone ricco di artisti noti (talvolta difficili da ammirare in una sola serata). In sintesi direi che i Gala di danza, cambiando abito (ospiti, stili e nome), sono diventati parte di una efficace campagna marketing a favore della Danza e possono essere anche un’occasione di raccolta fondi a scopo benefico. Quindi ritengo tuttora valida la formula Gala, purché le scelte artistiche siano motivate, coerenti e di qualità.

La posta di Anna Maria Prina

Scrivete a redazione@giornaledelladanza.com

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