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Emozione, passione, libertà: intervista a Luigi Martelletta

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Luigi Martelletta inizia gli studi a soli sei anni alla scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma, a 17 anni si diploma e a 21 anni già diventa il primo ballerino. Da allora ha danzato tutti i ruoli del repertorio classico alternando le sue recite con artisti quali: Rudolf Nureyev, Mikail Baryshnikov, Roberto Bolle. Ha lavorato nella sua carriera con Roland Petit (Ballet National de Marseille), Maurice Bejart (Ballet du XXe Siècle), Oscar Araiz (Grand Theatre de Genève), Alberto Alonso (Ballet Nacional de Cuba), Ben Stevenson (Houston Ballet). Attualmente ha fondato una sua compagnia, “Almatanz” con la quale viene invitato ad esibirsi nei più prestigiosi teatri italiani ed europei.

Gentile Luigi, qual è stato l’aspetto determinante che l’ha fatta innamorare della danza da piccolo?

In realtà nessun fuoco sacro, ma la mia casa era letteralmente di fronte la scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma, è stato un caso, forse il destino!

Quali sono stati i “primi passi” verso la formazione, ha frequentato fin da subito la Scuola del Teatro dell’Opera di Roma?

I primi passi sono stati gli anni (ben dieci) alla scuola dell’Opera di Roma, sono entrato prestissimo a sei anni… ero la mascotte e invece di fare gli otto anni previsti, ne ho fatti dieci dato che ero appena sedicenne ed essendo minorenne non era facile avere contratti di lavoro.

Le maggiori difficoltà incontrate all’inizio degli studi?

È stato un percorso particolare; dai sei anni fino a dodici non mi sono reso conto di quello che facevo, dai tredici fino ai sedici l’ho odiata perché a scuola mi prendevano in giro e come altri ragazzi preferivo altre discipline o sport tipo il calcio, poi dai diciassette anni in poi il telefono ha cominciato a squillare, i coreografi mi cercavano ed anche i teatri, da allora (anche un po’ per vanità) ho cominciato ad amare veramente la mia professione ed è stato un crescendo continuo.

Chi sono stati i suoi maggiori Maestri? E a chi è indirizzata la sua gratitudine per gli insegnamenti ricevuti?

Il primo che ha creduto in me è stato un maestro russo V. Luppov quando avevo sedici anni, lui dava credito in me e al mio potenziale, insegnava in un centro a Roma la mattina alle dieci e la sera alle diciannove e io andavo con lui ad entrambe le lezioni, tutti i giorni, per due anni, è stato fondamentale! Poi Victor Litvinov e Zarko Prebil altri due grandi maestri determinanti per il mio percorso e la mia crescita artistica e sopratutto tecnica.

Il suo ricordo più bello legato alla Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma?

In realtà il ricordo più ricorrente c’entra poco con la danza, eravamo io e i miei amici di corso nello spogliatoio ad aspettare il turno della nostra lezione, avevamo comprato del latte alcuni e dello yogurt altri, ci siamo fatti prendere la mano e abbiamo cominciato a tirarci dietro buste di latte e yogurt fino a imbiancare pareti, porte, docce e bagni, e anche il direttore (allora Walter Zappolini) che aprì la porta dello spogliatoio fu colpito ed imbiancato totalmente, questo ci costò cinque giorni di sospensione, ma non so perché, per me resta un ricordo allegro, spensierato ed indelebile.

Le emozioni del giorno del Diploma sono ancora vive in lei con la stessa intensità di allora?

Sono le emozioni di ogni ragazzo; l’emozione, le paure, i dubbi, sono sentimenti che affiorano, la paura di deludere il proprio insegnante e se stessi, inoltre non si conosce il proprio futuro, e un po’ spaventa, un po’ incuriosisce, ma poi l’incoscienza di quando si è molto giovani aiuta a superare parecchi ostacoli.

Mentre per la nomina a Primo Ballerino?

È stato un passaggio fondamentale, dopo molti anni che io e i miei colleghi facevamo già i primi ballerini, fu indetto un concorso interno per tre posti per questa posizione, ci presentammo in molti, l’audizione si svolse al teatro dell’Opera (in palcoscenico) con una giuria esterna di insegnanti, coreografi, direttori e grandi ballerini, durò tre giorni e alla fine, dopo aver danzato passi a due e variazioni di alcuni balletti del repertorio, arrivai primo! Con il voto e il giudizio più alto, ancora oggi questo ricordo mi riempie di orgoglio.

A suo avviso, a quali canoni corrispondono le qualità imprescindibili richieste ad un giovane allievo per entrare in un’Accademia di danza?

Le doti fisiche le conosciamo tutti: elasticità muscolare e scheletrica, buon fisico proporzionato e reattivo, buon collo del piede, buon salto, musicalità, coordinazione, ecc. ma a volte ci sono doti (tipo la determinazione, la passione, il talento) che non si possono scorgere attraverso una visita medica e solo con il tempo traspariranno e faranno la differenza.

Mi racconta della sua primissima volta in palcoscenico sia da allievo sia professionista? Al fianco di chi e in quale produzione?

Il mio primo ruolo da primo ballerino fu un’avventura; mancavano tre giorni alla prima del balletto “La bella addormentata” con ospiti internazionali di chiara fama (Peter Schaufuss, Fernando Bujones, V. Messerer, Elisabetta Terabust, G. Samsova, ecc.) io ero seduto (avevo diciassette anni) insieme ai miei colleghi in platea a guardare, ad imparare e a rubare ogni dettaglio e passo di danza di questi grandi artisti. Ad un certo punto arrivò il momento del passo a due dell’uccello blu (un brano molto tecnico e di grande difficoltà) il ragazzo che lo interpretava si strappò il polpaccio nell’assolo della variazione, subentrò il secondo cast, ma dopo un giorno intenso di prove, anche il nuovo ragazzo (forse non pronto, non in forma, impreparato) subì anch’egli un infortunio, non c’era più nessuno! Il coreografo allora si girò verso la platea dove c’era una sfilza di giovani danzatori aitanti ed incoscienti, confabulò con il suo assistente e dopo qualche secondo mi chiamò davanti a tutti, mi disse di salire sul palcoscenico e fargli vedere cosa sapevo fare riguardo quel brano; passai l’esame. Il giorno dopo andai in scena, era la prima, c’erano critici di grande prestigio (Vittoria Ottolenghi, Alberto Testa, Lorenzo Tozzi, e molti altri…) scrissero che un giovane ragazzo di diciassette anni in un solo giorno di prove, aveva danzato l’uccello blu e aveva sorpreso in positivo tutto il pubblico presente. Ho ancora i ritagli dei giornali dell’epoca, li conservo con cura, in quei tempi non c’era internet e tutti i riferimenti che abbiamo oggi, un articolo sul giornale, una buona critica fatta da una figura prestigiosa poteva cambiare il tuo futuro, figuriamoci quattro o cinque critiche tutte straordinarie!

Come ha vissuto artisticamente gli anni trascorsi con il Corpo di Ballo dell’Opera di Roma?

Fondamentali! Ho avuto l’opportunità di conoscere i più grandi insegnanti al mondo che ogni mattina davano lezione alla compagnia per l’allenamento quotidiano – i coreografi più importanti di fama internazionale: Roland Petit (con il quale ho fatto tre balletti: “Dama di picche”, “Tema e Variazioni”, “Ma Pavlova”) Ben Stevenson (con il quale insieme ad Elisabetta Terabust ho danzato il balletto “Tre preludi”) Jurji Grigorovic (“Lago dei Cigni”), Fernando Alonso (“Creature di Prometeo”), Oscar Araiz (“Romeo e Giulietta”) e poi ancora: Maja Plisseskaia, Enrique Martinez, Lorca Massine, Derek Deane, Zarko Prebil, Andree Prokovski, ecc. E ovviamente tutti i ruoli del repertorio classico con coreografie di Marius Petipa e altri come “Don Chisciotte”, “Coppelia”, “Giselle”, “Carmen”, “Paquita”, “Schiaccianoci”, ecc. Alcuni coreografi sono stati fondamentali perché attraverso loro ho avuto l’opportunità di danzare il neoclassico e il contemporaneo, altri ancora più importanti perché con loro ho avuto l’opportunità di danzare tutto il repertorio dei balletti classici.

Ha avuto la fortuna di lavorare fianco a fianco con grandi e geniali coreografi come Béjart, Petit, Araiz, Alonso e Stevenson. Come l’hanno arricchita artisticamente ed umanamente?

Ho imparato da loro una cosa fondamentale: l’umiltà! Tutti questi grandi artisti avevano in comune il modo di porsi, la gentilezza, il dubbio (a mio avviso un passaggio fondamentale per la crescita di ogni artista) e appunto una grande umiltà. Con alcuni avevo un rapporto più confidenziale, ad esempio con Ben Stevenson dopo il balletto rappresentato a Roma mi chiese di entrare nella sua compagnia “Huston Ballet” ma non accettai… ancora oggi mi chiedo quale fosse la scelta più giusta da fare!

Tra tutte le sue partner in scena con chi ha avuto una perfetta empatia artistica?

Non ho mai avuto grandi problemi con le mie partner, sono stato sempre un gran lavoratore, se qualcosa non era perfetto, ero pronto a provare e riprovare per ore, tirando su la ballerina per decine e decine di volte, e se si è rispettosi, si viene rispettati. Poi con qualcuna è capitato di avere una storia che è andata oltre la sala danza, ma sono segreti che non si possono svelare, storie personali e in alcuni casi nomi di prime ballerine inimmaginabili e sopratutto inconfessabili!

Ha avuto l’onore di alternare le sue esibizioni con tre grandi miti della danza mondiale, di ieri e di oggi: Nureyev, Baryshnikov e Bolle. Qual è il suo ricordo?

L’artista di questi tre con il quale ho avuto un rapporto più amichevole è stato Rudolf Nureyev, è stato per due anni (negli anni Ottanta) primo ballerino ospite al Teatro dell’Opera di Roma con i balletti: “Giselle”, “Marco Spada”, “Papillon” ed altri.  Parlavamo spesso, lui mi diceva sempre che facevo troppe domande ed ero sfiancante, ma come avrei potuto stare in silenzio davanti a colui che ha rappresentato “La Danza” per un ventennio? Avrei passato ore intere a sentire storie, racconti, aneddoti, segreti e qualche confidenza su questo o quell’artista…

Quando ha deciso di smettere di danzare e di intraprendere l’arte della coreografia e poi di fondare la sua compagnia?

L’ultimo vero balletto da primo ballerino ed interprete l’ho danzato all’Arena di Verona nel 2003 con il “Don Chisciotte” ballando accanto ad Ethan Stiefel (Etoile dell’American Ballet) concludendo di fatto la mia carriera di danzatore. Come coreografo già nel 1992 avevo iniziato i miei primi esperimenti. L’allora direttrice dell’Opera, Elisabetta Terabust, vide alcuni miei piccoli lavori, reputò il mio linguaggio coreografico interessante e mi diede l’opportunità di creare alcuni balletti per la compagnia, fu una grande opportunità, poi continuai il mio percorso e dopo molti anni di sacrifici in cui ero il produttore di me stesso (nel senso che investivo di tasca mia per balletti, creazioni e produzioni in cui credevo), riuscii finalmente ad avere una mia definitiva compagnia.

Quali sono le maggiori soddisfazioni nel dirigere l’Almatanz?

L’opportunità di avere un tuo gruppo, di creare e coreografare quello che si sente, alcune volte purtroppo anche altre cose che ti commissionano, ma come potersi lamentare per questo? L’avere a che fare con dei giovani danzatori (19-26 anni) che credono in te, che crescono artisticamente insieme a te e con i quali condividi, lavoro, sudore, sacrifici, ma anche soddisfazioni, viaggi e incontri e molto altro ancora…

Come si accosta alla preparazione e creazione di una coreografia?

A trent’anni l’affrontavo con la vitalità, la forza, l’energia e l’entusiasmo che a quell’età non potevano mancare.  A quarant’anni con più attenzione ai minimi dettagli. Ora con più consapevolezza e con più attenzione, maturità, esperienza. Ma da sempre con lo stesso impegno nel cercare di preparare un prodotto che possa piacere al pubblico e non a me. Ho sempre sposato questa tesi, vorrei avvicinare i giovani alla danza, vorrei far amare questa arte allestendo balletti di grande dinamicità, velocità, tecnica e generosità. Credo che gli anni delle sperimentazioni abbiano confuso, spiazzato e soprattutto annoiato il pubblico, allontanandolo dai teatri, il nostro compito penso sia anche quello di sacrificare il proprio ego se questo può aiutare a far capire meglio una storia, se può riportare pubblico a teatro, e se può riportare giovani ragazze e ragazzi ad amare e intraprendere la carriera di danzatore.

Da dove trae spunto per la realizzazione?

Dopo aver fatto svariate creazioni, in questi ultimi quattro anni ho voluto realizzare ed allestire titoli del repertorio classico. Ho coreografato una nuova versione dello “Schiaccianoci” e “del Lago dei cigni” con il quale, oltre a rappresentarlo nei più prestigiosi teatri italiani, siamo stati anche invitati in Russia, a Mosca, per rappresentare la nostra versione. La prossima produzione è la “Bella addormentata”. In vent’anni in cui sono stato il primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma ho avuto la fortuna di danzare tutti questi balletti, e più volte, in varie versioni, e in tutti i ruoli; da giovanissimo ero nel corpo di ballo, poi ho imparato i ruoli solistici, ed infine ho danzato come interprete principale. Ho una conoscenza completa e molto ampia del repertorio e questo mi permette di creare un sunto di tutte le mie esperienze e versioni che ho affrontato, creando un allestimento e una coreografia personale, il pubblico ritroverà nei miei balletti ciò che è previsto, ma con una versione diversa, più snella, più attuale, più dinamica… una mia versione appunto!!

In chiusura, una sua personale definizione per la nobile arte della danza?

Io mi chiedo: ma se non avessi fatto questa professione, cosa avrei fatto nella vita? Ci penso spesso! Quindi la mia definizione è “la salvezza” prima di tutto… l’emozione sia quando danzavo, sia ora nel vedere un mio lavoro rappresentato, ed infine la passione e la libertà!

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

 Foto: Archivio Luigi Martelletta

 

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