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“Io credo nel seminare e nel diffondere: questo è ciò che aiuta a lasciare tracce di sé, in modo che qualcosa possa sempre continuare a crescere”. Parola del maestro Joseph Fontano

Joseph Fontano

Danzatore, coreografo e insegnante d’origini italo-americane, Joseph Fontano è considerato il pioniere della danza contemporanea italiana. Il suo esordio risale agli inizi degli anni Settanta, in un panorama in cui la modern dance era, per tecnica ed espressione artistica, ancora sconosciuta. Attualmente docente e Coordinatore della Scuola Didattica dell’Accademia Nazionale di Danza, il maestro Fontano ci racconta I suoi esordi e la sua passione per la danza, in tutte le sue forme e colori.

 

La sua formazione come ballerino inizia a New York sotto la guida di Laura Foreman, cosa l’ha spinta inizialmente ad intraprendere questa strada?

Mia madre era una danzatrice, quindi un po’ questa immagine di donna e ballerina mi ha stimolato. Da una parte, invece, è stato anche molto casuale: vivendo negli Stati Uniti, ho avuto la possibilità anche a scuola di fare varie attività teatrali, musica, canto, cose che un po’ mancano qui in Italia. Fui scelto per far parte di un musical in cui vi era un duetto danzato ed una mia amica, che studiava al New York City Ballet, mi convinse a ballarlo assieme a lei. Da li è nata la passione per la danza, ma come sono arrivato alla danza contemporanea, è tutta un’altra storia.

 

Ce la racconti.

In realtà io ero destinato ad essere un pittore, a lavorare all’interno delle arti figurative e grafiche. All’epoca andavo già all’Università, un giorno vidi sul giornale l’annuncio di un corso alla New School for Social Research, dove Laura Foreman teneva un corso universitario di danza. Sai, negli Stati Uniti, come in alcuni altri paesi d’Europa, i corsi universitari di danza hanno iniziato a formarsi già dagli anni ’60, siamo noi italiani ad essere un po’ in ritardo.

A parte tutto, feci questo corso, al quale collaborarono molti artisti che allora non erano ancora i grandi coreografi di oggi, come Trisha Brown, Twyla Tharp. Uno fra questi era Paul Sanasardo, il quale mi offrì una borsa di studio; entrai nella sua scuola e, durante la mia prima settimana, ci fu la première di un suo spettacolo. Andai a vederlo e rimasi innamoratissimo della danza contemporanea. Avevo studiato danza classica all’American Ballet Theater, ma in un attimo sono stato convertito: mi alzai in piedi alla fine dello spettacolo del maestro, dopo aver visto una delle sue coreografie più famose, Pain, e piangevo. Pensavo meravigliato a quanto fosse bello ciò che era riuscito a creare con il movimento, con i colori, con le musiche e le scenografie, e ho detto: “Io voglio fare quello!”

Un anno dopo facevo parte della compagnia di Sanasardo. Ho avuto poi la fortuna di studiare con Martha Graham, danzare le sue coreografie è stata una cosa bellissima. Come lavorare con un altro grande mago della danza contemporanea che è Alwin Nikolais, oppure con personaggi come Jerome Robbins. Ho avuto l’enorme fortuna di vivere in un’epoca di “grandi” artisti. Ancora, quando approdai a diciotto anni nella compagnia di Sanasardo, nella sua compagnia c’era anche una non più giovanissima Pina Bausch.

 

Ha lavorato con grandissimi artisti.

Ho avuto questa fortuna, la fortuna di conoscere grandi personaggi come Alvin Ailey, Merce Cunningham, Paul Taylor… Sono stati tutti molto stimolanti per la mia formazione.

 

Dopo aver danzato per le più importanti compagnie internazionali, è giunto in Italia portando con sé il suo amore per quest’arte e tutta la sua conoscenza tecnica, tanto da essere considerato, ad oggi, il padre spirituale della danza contemporanea italiana. Cosa l’ha spinta a tornare nel nostro paese?

Anche questo è stato in parte casuale ed in parte voluto. Quando ero piccolo, venni in Italia per conoscere i miei zii ed i miei cugini e rimasi molto attrato da questo paese: in ogni angolo vedevo l’arte, la pittura, la cultura, era una cosa che mi era rimasta molto impressa nella mente. In un certo momento, negli Stati Uniti, mi resi conto di cercare altro: avevo ventun anni, non proprio una età avanzata, però quando si inizia a danzare e lavorare ad una giovane età, si ha la voglia di cercare qualcosa di diverso. Per me questo qualcosa era l’Europa, volevo vedere cosa ci fosse lì. La mia prima tappa fu Roma, dove incontrai diverse persone. Una di queste fu Elsa Piperno, e da lì nacque il nostro sodalizio. Cercavo qualcosa di fertile, di nuovo, dove poter insegnare, creare coreografie. In Italia non sapevo che non esistesse nulla di danza contemporanea a livello professionale. Elisa Vaccarino ha affermato che siamo stati i primi, io ed Elsa, a togliere fuori dalla clandestinità la danza contemporanea e portarla al livello professionale. Credo che questo rimarrà nella storia: è la Compagnia Teatrodanza Contemporanea a portare, nel 1972, il primo spettacolo di danza contemporanea in Italia, al Teatro Parioli di Roma. Questa è una cosa bellissima. Nel 1982 siamo anche stati i primi a portare la danza contemporanea al Teatro dell’Opera di Roma. Era un periodo in cui non c’era nulla, per cui era anche molto difficile essere riconosciuti. Gli elogi arrivavano davvero grazie al merito, per aver fatto gavetta, per aver tirato su non solo danzatori, ma coreografi, musicisti, critici ed anche un pubblico di un certo genere. Per esempio Leonetta Bentivoglio e Donatella Bertotti sono state mie allieve, come il coreografo Fabrizio Monteverde o Massimo Morricone, o Giuseppe Picone… potrei andare avanti all’infinito. Tutto ciò mi dà la sensazione d’aver lasciato grandi tracce di me stesso. Adesso è un’altra epoca, ho iniziato da giovanissimo a fare queste cose, forse anche in modo incosciente ma, nel caso in cui le cose non andassero a buon fine, mi sono sempre rimboccato le maniche per ricominciare daccapo. Io credo nel seminare e nel diffondere: questo è ciò che aiuta a lasciare  tracce di sé, a fare in modo che qualcosa possa sempre continuare a crescere.

 

Oltre ad essere un eccellente ballerino, coreografo ed insegnante, lei si è sempre dimostrato attivo nel risanare e stimolare la discussione riguardo il ruolo che riveste la danza nel nostro paese. Secondo lei, quali sono le problematiche principali in Italia? Cosa si dovrebbe fare per trovarvi soluzione?

A me non piace molto fare distinzione fra scuole istituzionali e scuole private. Devo dire, tuttavia, che in Italia la danza è più privata, c’è una grande diffusione a livello nazionale. Bisognerebbe cercare di alzare la qualità di questi istituti, i quali sono dei grandissimi fruitori nel nostro mondo, soprattutto per quanto riguarda i ragazzi di oggi. La danza è un’arte sociale e queste scuole aiutano anche i giovani a star lontani dalla strada, gli danno un certo tipo di disciplina che, in certo qual modo, è un qualcosa di antico e sincero. A prescindere dallo stile, lo studio rigoroso e lo stare all’interno di una struttura che insegna delle regole è importante. Per me la disciplina è il veicolo della libertà, ed anche della democrazia. La danza dà la possibilità di essere disciplinati nella vita, ci fa conoscere certi valori. Essendo un’arte sociale, deve aver a che fare con gli altri attraverso la musica, il teatro, la pittura. La danza racchiude in sé tutte le arti ed è questo che la rende così ardua: probabilmente l’arte della danza è quella più difficile fra le arti performative, il danzatore ha bisogno di conoscere tutte queste cose quando va in scena. Egli crea solo nell’attimo in cui si muove, è un quadro dal vivo, è il movimento stesso, esisteste solo nel momento in cui si esegue. Questa è la cosa più difficile da insegnare.

La danza è una grande arte, non bisogna dimenticarlo. Ciò che manca qui è l’insegnare la danza come un’arte in tutte le scuole. Non devono esserci differenze fra la danza amatoriale e professionistica. Ciò che ha reso così importante il mio percorso, in vent’anni, è proprio questo: insegnare a tutti le stesse identiche cose con la stessa intensità. I grandi maestri non devono fare distinzioni nell’insegnamento. È questo ciò che scarseggia. Io credo nella competitività, ma in quella sana.

Se il mondo della danza riuscisse anche ad essere unito e non settoriale, diviso in nicchie, sarebbe un grande passo avanti. Potremmo fare ciò che è accaduto nel cinema e nel teatro: unirci per far capire quali sono le nostre problematiche, le nostre necessità e quanto sia importante la danza.

Il corpo è tutta la nostra vita, non è qualcosa che si poggia su una mensola, lo utilizziamo dalla mattina alla sera, come il respiro. Conoscere il corpo attraverso la danza è come fare un viaggio all’interno di se stessi, ci aiuta ad amarci e a relazionarci con gli altri. Se poi si riuscisse a far capire a chi ci governa che la danza, il teatro, la musica, la cultura sono un investimento e non una spesa, come accade in molti altri paesi, sarebbe un enorme passo avanti.

 

Di recente le è stato affidato, dopo una votazione, l’incarico di Coordinatore della Scuola Didattica dell’Accademia Nazionale di Danza. Come si vede in questo ruolo?

L’Accademia ha avuto una riforma, tanti anni fa, messa in atto a partire dal 1999 con la legge 508. C’è voluto molto tempo per mettere in atto tutta una serie di riforme e regolamentazioni, considerato anche il periodo poco roseo vissuto dall’Accademia recentemente. Il poter finalmente passare alla riforma ed utilizzare gli strumenti a noi concessi dal Ministero, è una conquista. Mi sento onorato ed emozionato di aver ottenuto il ruolo di Coordinatore sia del settore Classico che Contemporaneo. Non è una nomina discesa dall’alto, è avvenuta tramite votazione, in maniera più democratica ed anche più competitiva. Io credo molto in entrambe. Spero che, visto il momento di passaggio che sta attraversando, l’Accademia diventi al più preso un istituto democratico, potendo mettere in atto tutte le normative che la compongono e ricostruire al più presto tutti i nostri organi interni.

 

Può parlarmi del progetto che coinvolge anche il nostro giornaledelladanza.com e l’AND?

Il 29 aprile si terrà la Giornata Internazionale della Danza 2014, indetta dal Comitato Internazionale della Danza appartenente all’UNESCO, di cui sono stato presidente dal 2006 al 2013. Ho cercato di diffondere il più possibile questo evento che celebra ogni forma di danza: dalla danza folklorica alla danza indiana, fino a quella colta…tutte le sue forme.

Ogni anno, in quest’occasione, viene scritto un messaggio al mondo da parte di un grande personaggio, quest’anno verrà dal coreografo francese Mourad Merzouki. Ho pensato, assieme al nostro Commissario, di fare la celebrazione nell’Accademia di Danza mettendo insieme una serie di situazioni e con il supporto anche del giornaledelladanza.com. Abbiamo pensato di realizzare un Open Day per aprire al pubblico le porte dell’Accademia, mostrare la nostra Università, far vedere il luogo in cui lavoriamo, uno dei posti più belli del mondo. Ci sarà un forum sulla comunicazione tenuto da persone di altissima qualità, la presentazione del libro di Carla Fracci, la biblioteca sarà aperta ai visitatori e la celebrazione della Giornata avverrà con degli spettacoli coreografici danzati dai nostri allievi, il tutto condito da mille altre cose. Ho cercato di concepire qualcosa che non è mai stata fatta prima: rivelare al pubblico tutto ciò che si vorrebbe sapere sull’Accademia, con la possibilità di farlo in un solo giorno. Le persone spesso considerano l’Accademia come un’istituzione lontana dalla gente, invece dovrebbe essere il contrario. Il mio obiettivo era proprio questo: far capire che l’Accademia è vicino alle persone, far comprendere la dinamica del mondo del lavoro. Questo è anche un altro elemento che manca in Italia a livello didattico. I danzatori sono migliaia nel nostro paese ma, soprattutto a causa dello scarso investimento nella cultura, le compagnie, tranne alcune, non riescono a lavorare per più di poche stagioni.

La Giornata Internazionale della Danza rappresenta per me un punto molto importante. Chiediamo un riconoscimento su che cosa sia l’arte della danza, vorremmo che diventasse una Giornata Istituzionale e che ricevesse un riconoscimento dal Ministero dei Beni Culturali, come è avvenuto per il teatro o il cinema. C’è un riconoscimento per ogni cosa ma, quando bisogna parlare delle cose belle, dell’arte, ci si dimentica purtroppo di creare occasioni adeguate. Spero che questo cambi.

 

Laura De Martino

www.giornaledelladanza.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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