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Ivana Gattei: “Non c’è età per le arti. Se hai questo dono, ce l’hai sempre. E lo devi esprimere!”

Ivana Gattei Le quattro stagioni

Una storia lunghissima, segnata da un unico filo rosso, quello della passione, che da sempre la guida in ogni suo passo: Ivana Gattei, una vita per la danza, proprio perché la danza è la sua vita. All’età di 9 anni entra alla scuola del Teatro Reale dell’Opera di Roma, diretta dalle sorelle Battaggi, studiando con grandi insegnanti come il maestro Gennaro Corbo e Attilia Radice, ultimi allievi di Enrico Cecchetti. Con la Radice balla in molti balletti e opere, tra cui Biancaneve, dove interpreta Cucciolo. Entra ufficialmente a far parte del corpo di ballo dello stesso teatro nel 1944, ove rimane fino al 1977, quando si ritira per star vicino al marito, venuto poi a mancare un anno dopo. Nel 1940 Maestro Aurel Milloss la chiama a lavorare con sé e la guida fino alla fine della sua carriera coreutica con l’ultimo spettacolo, alle terme di Caracalla, col Ballo Excelsior, con la coreografia di Ugo Dell’Ara. Milloss ne apprezza subito le doti artistiche tanto da considerarla una valida assistente, montando spesso le coreografie su di lei. Debutta come prima ballerina proprio con lui, quando realizza la rappresentazione di La boîte à joujoux, musiche di Claude Debussy, al Teatro dell’Opera di Roma il 23 dicembre  1950 con la direzione orchestrale di Gianandrea Gavazzeni e la scenografia di Mario Pompei. Balla tutte le creazioni di Miloss al Teatro dell’Opera, tra cui Jeux, Tautologos, La soglia del Tempo, Il Mandarino Meraviglioso, Carillon magico, La giara, Orfeo, Follie viennesi, Ungheria romantica, Hungarica, Mirandolina.

Ha insegnato a moltissimi danzatori, divenuti molto importanti. Partendo dalla sbarra a terra di Boris Kniaseff, crea una sua metodologia di lavoro a terra e alla sbarra mirato al potenziamento corporeo e al miglioramento dell’en dehors e del movimento dei piedi. Nella sua carriera ha lavorato con grandissimi artisti quali, Rudolf Nureyev, Erik Bruhn, Roland Petit, Maurice Béjart, George Balanchine, Katherine Dunham, Léonide Massine, Zarko Prebil, Anton Dolin, Béla Bartók, Boris Kniaseff, Jia Ruskaja, Marika Besobrasova, Margherita Walmar, Vladimir Vasiliev, Nina Vyroubova, Carla Fracci e molti altri. Al Giornale della danza Ivana Gattei ha raccontato la danza della sua vita, tra piccoli e grandi passi. Non una semplice intervista ma una descrizione, senza barriera alcuna, dei primi momenti sul palco, del duro lavoro, delle difficoltà e delle tante gioie che la vita di danzatrice e maestra le continua a regalare.

Si ricorda quando, per la prima volta, ha indossato un paio di scarpette?

Ho iniziato ad usare le scarpette a otto anni anche se, lo ammetto, già qualche anno prima sentivo che dentro di me c’era qualcosa di diverso. Già in alcune foto scattate all’età di tre anni si vedeva che avevo un determinato portamento…lo stesso fotografo chiese a mia madre se stessi già studiando danza, data proprio la mia innata postura.

Probabilmente già dentro di me sapevo che sarei diventata una ballerina! Poi, negli anni, mi sono sempre più convinta di una cosa: se hai qualcosa dentro, lo devi tirare fuori. Questo, però, può accadere soltanto se al tuo fianco, come insegnante, hai qualcuno in grado di estrapolare questa tua forza. Probabilmente i rimproveri ricevuti da piccola, quando a scuola già salivo sulle punte, nonostante la mia insegnante non fosse d’accordo, mi sono serviti per forgiare il carattere che, ancora ora, mi permette di andare avanti e soprattutto trasmettere questa mia forza di volontà a chi studia con me. Tutti, però, devono avere impressa questa frase: quello che ho avuto, l’ho ottenuto perché l’ho voluto io. Nulla più. Sia ben chiaro. Tanto duro lavoro, tanta caparbietà hanno sempre caratterizzato i miei anni in teatro e continuano a delineare le ore che trascorro in sala con i miei ragazzi. Ancora oggi tanti miei allievi, diventati negli anni ballerini molto importanti e coreografi di spessore, mi ricordano come i miei insegnamenti sono stati importantissimi per la loro formazione e carriera. Mario Piazza, Mario Marozzi, Raffaele Paganini sono soltanto alcuni dei “ragazzi” a cui sono stata in grado di trasmettere i valori della mia danza. Di una cosa sono convinta: se non l’hai fatto, non l’hai sperimentato sulla tua pelle, se non hai faticato, non lo puoi insegnare. Insomma: tutta la mia fatica e il mio impegno è ora a disposizione di chi vuole apprendere. Ma soprattutto so come trasmettere questo mio impegno.

 Lei è stata la vera e autentica musa di tanti Maestri. Uno su tutti: Aurel Milloss. Ci può raccontare qualcosa di più relativamente a questo bellissimo connubio?

Il Maestro Millos, nella mia carriera di danzatrice e insegnante, è stato fondamentale. È il mio maestro. Sono stata molto fortunata ad averlo incontrato, ad averlo conosciuto e soprattutto ad aver lavorato con lui. Purtroppo i giovani lo conoscono poco, questo è un  vero peccato! Su di me il Maestro ha creato, mi ha insegnato, mi ha scelta. Ero la sua “bambina”. Mi vide da piccola e da subito riconobbe le mie caratteristiche, la mia forza di volontà, il mio desiderio di apprendere, di lavorare e di mettermi alla prova. Quando mi cacciarono dalla scuola, a 11 anni, il Maestro Millos mi venne a prendere a casa. Ebbene sì. Ero tristissima. Mia madre ricevette una telefonata proprio dal Maestro che venne a casa a prendermi. Ero sul letto, impaurita. Mi alzai e lui mi disse: Che hai fatto? Io: Nulla Maestro! Poi mi guardò e disse di studiare, studiare, studiare, ma con il corpo di ballo. Il Maestro Millos e Attilia Radice capirono subito le mie doti e la mia forza di volontà. Mi disse che mi avrebbe fatto fare la vera gavetta, lavorando come sostituta. Mi portò in teatro e mi disse: “Il pubblico paga per vedere lo spettacolo e tu gli devi dimostrare che sei brava, non che hai ottenuto il diploma con il massimo dei voti!” Da quel momento, io ballai per il pubblico. Per entusiasmarlo. Ha scommesso su di me, mi ha reso una grande ballerina. E di questo gli sarò per sempre grata. Ricordo con affetto ogni giornata trascorsa a lavorare con lui, ad ascoltarlo e ad apprendere. Ricordo anche tutte le cene fatte dopo gli spettacoli. In una di queste incontrai anche Maurice Béjart che, parlando con il Maestro Millos, disse di non voler fare il ballerino, bensì il coreografo, riscuotendo immediatamente il parere favorevole del Maestro che, senza esitazioni disse “Bravo! Coreografi pochi, ballerini troppi!”. Già allora era tutto molto chiaro. Dopo la sua scomparsa, nulla è stato come prima. Mi manca molto, ma so che grazie a lui ho imparato e dato tanto. Potrei parlare giorni e giorni dei suoi insegnamenti, delle sue parole, della sua gratuità. Grazie a quello che lui mi ha donato, sono l’insegnante e la persona che sono ora.

Le sue soddisfazioni più grandi?

Sapere di aver fatto quello che ho sempre voluto, sapere di aver dato tanto alla danza e per la danza, sapere di essere un esempio per tanti ragazzi danzatori. E soprattutto sono convinta di aver sempre fatto al meglio tutto quello che ho sempre voluto fare. Non c’è dubbio. La danza è la mia vita ma per renderla straordinaria ho sempre lavorato tanto. Il mio carattere, che quando ero piccola era forse un po’ dimesso, vista un po’ di timidezza, si è forgiato negli anni e mi ha reso la persona che sono ora. La stessa persona che, oggi, mette a disposizione le sue doti e conoscenze, vuole dare qualcosa di importante ai giovani artisti. Non voglio che la mia danza venga distrutta. E non voglio che tutto quello che si è imparato e fatto negli anni venga distrutto. Sarebbe un peccato. E non voglio che questo accada. Voglio che si ricordi e si porti avanti l’arte di Aurel Millos, di chi l’ha conosciuto, delle sue creazioni, del suo lavoro. Non si deve disperdere nemmeno un passo di quello che lui ha fatto per noi e per tutti gli amanti della danza di qualità. Mai!

Ricorda quando ballò con Nureyev?

Nureyev venne a Teatro a danzare La Sylphyde, pièce creata da Vaslav Nijinsky.  Lo stesso Nijinsky era nella compagnia di Diaghilev, dove conobbe Millos e il grande Enrico Cecchetti. Un grande gruppo. È stata un’esperienza indimenticabile, come del resto tutta la mia vita, trascorsa con artisti di livello ineccepibile, sia umanamente che artisticamente. La danza di allora era straordinaria: mio malgrado, e questo è causa di molta mia sofferenza, il balletto di oggi non è come quello di una volta. Ed è un peccato.

 

Ai giovani danzatori a cui insegna, cosa dice?

Ai giovani dico sempre: studiate bene, studiate tanto con chi vi sa dare qualcosa di importante! Fate tutto con amore, lavorate duramente e ricordatevi che i piedi sono il nostro secondo cuore. E non guardate mai l’orologio. Quando insegno, infatti, avverto sempre i miei allievi: voi sapete quando entrate, ma non quando uscite. Io ho sempre bisogno di un paio d’ore per sbarra e centro, per poi fare altri esercizi. Lo studio non ha limiti, ha solo tanta passione. Fino a quando potrò, continuerò ad insegnare: Dio mi ha dato tante doti, tanti aspetti su cui migliorare e soprattutto da offrire agli altri. Sarebbe stato sciocco non averlo fatto. E ricordiamo sempre: non c’è età per le arti. Se hai questo dono, ce l’hai sempre. E lo devi esprimere!

www.giornaledelladanza.com

 

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