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Joseph Fontano: “Per me la danza contemporanea è l’espressione dell’uomo di oggi, attraverso gli occhi di un coreografo in un mondo coreutico”

Il prossimo 16 aprile presso l’Accademia Nazionale di Danza, insieme ad Elsa Piperno, ricorderai Martha Graham, a 20 anni dalla sua morte, in occasione della celebrazione dei 40 anni della danza contemporanea in Italia. Partiamo da questo evento…

Era mio intento da tempo celebrare Martha Graham dopo 20 anni dalla sua scomparsa e mi sono reso conto che le date coincidevano con i 40 anni del sodalizio fra me ed Elsa Piperno, così, abbinando queste due cose, è nata l’idea di questa serata. Elsa ed io abbiamo iniziato a collaborare nel 1971, proprio diffondendo la tecnica Graham in Italia. Ancor prima della scuola è nata la compagnia, che è davvero la singolarità della nostra esperienza, perché all’epoca c’erano solo scuole che producevano saggi, mentre noi siamo nati da subito come compagnia professionale. L’idea di formare altri danzatori è venuta in seguito e così è sorta la famosa storica scuola in via del Gesù a Roma, da cui sono usciti non solo danzatori, ma anche coreografi, critici, compositori, personaggi ormai noti come Fabrizio Monteverde, Massimo Moricone, Leonetta Bentivoglio, Arturo Annecchino, per citarne solo alcuni fra i tanti. Abbiamo formato tantissimi danzatori che poi sono andati in giro per il mondo in compagnie molto importanti. La serata del 16 la dedichiamo alla danza contemporanea in Italia ricordando Marta Graham con filmati, foto, coreografie, testimonianze. Sarà proiettato un video, intitolato “Ieri, oggi e domani” che include filmati di Martha, di cui alcuni anche inediti perché appartengono al mio archivio personale, e prosegue poi con un percorso storico incentrato su una dimensione di retrospettiva e nel contempo di attualità e di proiezione futura. Martha sarà ricordata non solo come coreografa, ma anche come solista, anzi innanzitutto come solista, perché lei nasce proprio così, con questo forte temperamento e questo carisma spettacolare e da lì poi diventa coreografa, ma anche in tarda età, quando le chiedevano chi fosse, lei si definiva una danzatrice. Ha sempre visto se stessa in questa luce, non ha mai detto si sé: “sono una coreografa”. Ha sempre detto “sono una danzatrice” e continuava a dirlo anche a 70 anni. Questa è una cosa stupenda, il segno del suo eterno fuoco dentro. Lei è la madre della danza contemporanea e della grande rivoluzione del teatro di danza, per questo viene spesso paragonata a Picasso e Stravinsky. Nel video mostreremo un estratto di Diversion of Angels e Lamentation per intero, poi ci sarà una piccola dimostrazione della tecnica Graham, una coreografia di Elsa Piperno intitolata Colori e una mia nuova coreografia intitolata Qualche riga in più, tutto ciò intervallato da aforismi di Marta Graham recitati dall’attore Luca Di Paolo. Io stesso non immaginavo sarebbe venuto fuori un programma così ricco, ma evidentemente, quando si parla di danza contemporanea, le radici sono profonde e c’è molta storia. Anche il video, che inizialmente doveva durare solo 5 minuti, poi, arricchendolo dei vari materiali, è diventato lunghissimo, ma siamo riusciti a ridurlo a 15 minuti, ripercorrendo appunto le varie tappe, dalle coreografie di Martha, al lavoro mio e di Elsa a quello che poi è venuto dopo. Spesso mi chiamano ambasciatore della danza contemporanea in Italia e questa è una definizione che mi gratifica molto. Il 21 marzo c’è stata una conferenza a Roma al Parlamento sulle problematiche della danza e sul tema della danza come investimento e in quell’occasione mi ha fatto molto piacere essere presentato come “padre spirituale” della danza contemporanea, per me è un riconoscimento bellissimo. Il nostro intento è lasciare delle tracce di quel che abbiamo fatto, perché alla fine siamo questo, la cultura è questo, lasciare delle tracce che bisogna in qualche modo trasmettere e ciò vale soprattutto per la danza.

Nel 1971, quando avete iniziato a diffondere la danza contemporanea in Italia che tipo di situazione c’era rispetto ad oggi?

Io personalmente venivo dagli USA, sono nato in una famiglia italo-americana, sono andato a scuola e poi all’università negli Stati Uniti, poi ho studiato all’American Ballet Theatre. Non avevo studiato tecnica Graham, lavoravo con la compagnia di Paul Sanasardo, un coreografo che era un grande punto di riferimento negli anni ’60. Era la stessa compagnia in cui lavorava Pina Bausch, ma che all’epoca non era ancora conosciuta come il mito che è diventata in seguito, per me era Pina e basta. A 21 anni ho deciso di fare un grande cambiamento e sono venuto in Italia. Erano gli anni della scoperta di se stessi. Una volta qui, sfogliando una rivista di danza, ho scoperto che esisteva una sola scuola di danza in tutta Italia, che era il vecchio C.I.D. di Francesca Astaldi. Era un centro meraviglioso, vicino Piazza Navona, e, appena arrivato, ebbi modo di assistere ad una lezione di Elsa Piperno che insegnava lì. Lei era appena arrivata da Londra, dove era stata al London Contemporary Dance Theatre. In classe con me c’erano danzatori come Bob Curtis e mi sono sentito subito, come dice Vittoria Ottolenghi, al posto giusto nel momento giusto. L’intesa artistica con Elsa è nata subito e così abbiamo messo su questa compagnia, dove ho iniziato a creare le mie prime coreografie. All’epoca, in Italia, la danza contemporanea o la modern dance, come si chiamava allora, che poi si è andata successivamente a confondere col modern-jazz, non era ancora diffusa. Abbiamo iniziato noi, con le prime dimostrazioni, con le coreografie, e diffondendo anche nelle scuole quella tecnica, spiegando il linguaggio di quella rivoluzione artistica. Successivamente, aprendo la scuola, si è creato un grande punto di riferimento e sono venuti danzatori da tutte le parti del mondo a studiare con noi. Posso dire che siamo stati la prima compagnia di danza contemporanea che ha insistito sulla professionalità, sullo spettacolo. Gli elementi che salivano sul palcoscenico non erano allievi, erano danzatori, erano professionisti e i ragazzi che venivano a studiare nella nostra scuola apprezzavano proprio questo. Da noi non si insegnava solo tecnica Graham, ma anche tutti gli altri stili di danza contemporanea – Nikolais, Cunnigham, Limon – e la danza classica e la nostra è stata una compagnia storica fino agli anni ’90.

E adesso quali sono i progetti futuri a cui pensi?

In 40 anni di esperienza ho vissuto varie fasi, 20 anni in scena tutte le sere, poi l’interesse per la coreografia e la formazione. In questa fase della mia vita, come progetto futuro, penso alla possibilità di istituire un grande centro polivalente in cui le arti possano lavorare unite in una grande interdisciplinarietà. Credo che sia questo il futuro e questo è sempre stato il mio punto di vista. Ho sempre creduto che la danza fosse un’arte visiva più che musicale ed adesso ancor di più, con l’uso dei media, l’impatto visivo della danza può essere immenso. Questo sarebbe il mio sogno: riuscire a gestire un centro dove si possa dare l’opportunità ai giovani di crescere nella creatività. Oggi purtroppo non c’è grande qualità e questo dipende anche dal fatto che, non essendoci molte compagnie, i giovani iniziano a riunirsi in gruppi per esprimere il loro desiderio di ballare e spesso, senza avere grande e studio o grande esperienza di coreografi alle spalle, questo ha determinato lo sgretolarsi della qualità della danza.

Cos’è la danza per te?

Non lo so, questo è quello che cerco di capire tutti i giorni, cosa sia la danza per me e perché l’ho scelta come percorso. È un pensiero che mi tiene molto vivo. Dovendo dare una definizione direi che è senz’altro un linguaggio che va oltre quello che possiamo dire con delle parole, con dei sussurri e oltre anche quello che possiamo esprimere con i sogni, perché i sogni spesso sono molto individuali ed egoistici. La danza invece va al di là ed esiste solo nel momento in cui si esegue. Non resta nient’altro, al di fuori delle sensazioni che si trasmettono alle persone nell’istante in cui si danza. Bisogna sperare di lasciare dentro gli altri la propria traccia attraverso il movimento, attraverso il gesto, attraverso lo sguardo, è un linguaggio intangibile.

Se dovessi dare una definizione di danza contemporanea?

Per me la danza contemporanea è l’espressione dell’uomo di oggi, attraverso gli occhi di un coreografo in un mondo coreutico. È l’esprimere il mondo di oggi. Marta Graham diceva una frase bellissima: “gli artisti non sono avanti al loro tempo, anzi esprimono il proprio tempo”, per questo lei lottava costantemente contro la parola modern, diceva  infatti sempre di essere contemporary, ossia immersa nel suo momento storico. E per me la danza  contemporanea è proprio quello, la forma in cui un artista esprime il proprio tempo. Nel nostro caso è il movimento e in alcuni casi oggi non possiamo nemmeno chiamarlo danza, perché c’è di tutto, c’è chi in scena vola, chi canta, chi si spoglia, chi si bagna, chi recita, chi disegna. Ormai la danza è diventato un grande business in questo senso. In Italia purtroppo non c’è una volontà politica in Italia di far crescere la cultura in generale, è proprio una scelta. È un paese che spende lo 0, 21% del proprio PIL per la cultura e questo fa davvero tristezza. Negli altri paesi, nonostante le varie crisi economiche, non è mai stata tagliata a zero la cultura, è un fenomeno solo italiano e questo è molto strano per una paese come l’Italia che vive solo sulla cultura e che non ha altri beni. Non ci sono né petrolio, né diamanti, abbiamo solo la cultura e se il disegno politico adesso è che la cultura debba produrre economia, che debba essere  socialmente utile in questo senso, tant’è vero che nell’UNESCO si parla ormai di “industrie culturali” che dovrebbero produrre entrate, ma la cultura non è questo, è esattamente l’opposto. Bisogna capovolgere questo concetto e far capire che la cultura è un investimento, una risorsa, non una spesa. Se la Francia e la Germania investono 2,21% del loro PIL nella cultura e l’ Italia solo lo 0,21% c’è qualcosa non va, perché l’industria italiana della cultura produce per contro il 2,50% del PIL.

Secondo te, noi addetti ai lavori potremmo fare qualcosa per sensibilizzare i decisori politici in questo senso?

Potremmo fare qualcosa partendo sicuramente dal provare a cambiare un certo modo di vedere le cose. Purtroppo si sta sempre più diffondendo l’idea che la danza sia una sorta di “stacchetto”, che sia quello che si vede in TV con le veline. Per me ben vengano trasmissioni come “Amici”, che hanno portato la danza dove prima non arrivava, nelle case di tutti attraverso lo schermo, ma che non si faccia passare il concetto che la danza sia quello e che tutto sia possibile, finanche che un allievo mandi pubblicamente al diavolo un insegnante! Tutto questo è impensabile e non è un messaggio corretto che passa a chi guarda, anche a livello formativo, per chi sarà un futuro danzatore. Dunque quello che possiamo fare è sicuramente parlare di più di queste problematiche e provare a far sentire la nostra voce, visto che siamo un Paese con un Presidente del Consiglio che gestisce più del 54% dei media, cosa dire di più? Bisognerebbe creare le basi per una volontà politica a favore della danza, bisognerebbe creare dei centri per lo sviluppo dello spettacolo dal vivo, in ogni regione, soprattutto ora che andiamo verso il federalismo fiscale a livello regionale. Attualmente si stanno promulgando delle leggi, all’interno delle quali andrebbe assolutamente inserito uno spazio per la cultura. Siamo noi che dobbiamo batterci per questo.

Tu che ti sei trasferito dagli USA in Italia, come ti sei sentito a dover fronteggiare tutto questo?

All’inizio mi sentivo un marziano! Io venivo da New York, dove la danza si respira ovunque e trovarmi qui dove non c’era nulla è stato traumatico. Le alternative erano tornare indietro, raggiungere Pina Bausch in Germania o andare in Francia, ma sono voluto restare in Italia e far parte di qualcosa che nasceva, ho avuto questa grande forza. In questo ci siamo aiutati molto io ed Elsa, da soli non ci saremmo riusciti, insieme invece siamo stati l’uno di complemento all’altro. Ero molto giovane, avevo 21 anni, ma i 21 anni di una persona che sin dai 16 era indipendente. Molto diverso da ora che i ragazzi vivono ancora con i genitori arrivando finanche ai 40 anni d’età! Io a 18 anni già vivevo da solo, lavoravo, ero completamente autonomo. Venendo in Italia speravo di continuare così, invece mi sono ritrovato in un vuoto totale, però sono cascato in piedi, fortunatamente.

Se tornassi indietro cos’è che non rifaresti?

Probabilmente, se potessi tornare indietro, lotterei un po’ di più affinché la danza non diventasse troppo burocratica. Quando Elsa ed io abbiamo iniziato a ricevere le prime sovvenzioni ci siamo riuniti in un’associazione – che ora è diventata FEDERDANZA – insieme ad altre compagnie come l’Aterballetto, il Balletto di Toscana e il Balletto di Roma, ma questo, anziché favorirci presso l’Agis, ha reso tutta una macchina burocratica. In questo ambito avrei voluto che si insistesse di più anche sulla qualità ed avrei potuto battermi di più. Con la forza che ho adesso, se potessi tornare indietro,  insisterei di più su questo aspetto e cercherei anche di far comprendere di più quale mestiere faticoso sia realmente quest’arte così bella e così complessa, che racchiude in sé teatro, arti visive e musica. Nella danza c’è tutto, ma spesso anche chi danza non lo sa, non se ne rende conto. A parte questo, tornando indietro, rifarei tutto quello che ho fatto, assolutamente.

Il tuo processo di composizione coreografica da cosa prende spunto solitamente?

Da una aspetto puramente, nettamente e unicamente visivo. Io ho una visione dei corpi nello spazio totale. Non penso solo ai corpi mentre creo, ho una visione tridimensionale, quasi come in un film, con tutte le varie angolazioni prospettiche e per me è importante che anche i danzatori abbiano la stessa visione, che percepiscano di essere elementi di  un grande universo, non solo figure al centro che danzano, ma di far parte di un’opera totale, unica. I miei spunti coreografici partono dall’aspetto visivo a cui poi aggiungo qualità di movimenti diversi.

Il tuo prossimo lavoro coreografico?

Ho finito adesso questo grande progetto di body painting durato 2 anni, intitolato Europa on stage. Adesso sto lavorando su un sestetto che presentiamo proprio nella serata del 16, che sarà spero spunto di ulteriori lavori, perché sono un coreografo che lavora a lunga gittata. Creo del materiale che poi a volte riutilizzo, rivedo, rimaneggio, ricreo, anche perché non amo ripetermi e dunque le mie coreografie è difficile che restino uguali nel tempo, tendo a cambiarle, a inserirvi sempre qualcosa di “contemporaneo” all’interno.

Guardando avanti, tutto questo tuo bagaglio culturale non hai mai pensato di tramandarlo,magari scrivendo un libro?

Questa domanda riguarda esattamente il prossimo progetto che spero di poter realizzare: creare una documentazione, e forse un vero e proprio libro, sulla nascita del grande movimento coreutico e creativo degli anni ’70. Non si conosce in realtà molto bene questo periodo, caratterizzato da tanti cambiamenti politici e di pensiero. In quegli anni sono accadute tantissime cose e ci sono stati personaggi come Carmelo Bene, Giorgio Quartucci, John Cage, Giorgio Gaslini e tantissimi altri artisti con i quali Elsa ed io abbiamo avuto la fortuna di collaborare. C’era uno spazio scenico meraviglioso a Roma che si chiamava “Beat 72”, uno dei primi centri di ricerca e di sperimentazione teatrale. Era piccolissimo, uno scantinato, ma noi abbiamo ballato sempre ovunque, in grandi teatri come in qualsiasi altro posto. Abbiamo danzato a Spazio Zero, Spazio Uno, così come in teatri molto importanti,  il Teatro Parioli, il Quirino, o il Teatro dell’Opera di Roma, dove nel 1981 hanno aperto per la prima volta le porte alla danza contemporanea.  Ho tanto da raccontare e dunque spero davvero di poter tramandare tutta la mia conoscenza, soprattutto ai giovani.

Lorena Coppola

Foto Lorenza Daverio e Corrado Maria Falsini

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