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Luc Bouy: “Per me coreografare vuol dire trasmettere emozioni. Riportare nel movimento il prolungamento di un’idea”

 

Tra pochi giorni si svolgerà la seconda edizione del Concorso Dansepartout di cui lei è direttore artistico. Ce ne vuole parlare?  

Il concorso si svolgerà nei giorni 8, 9 e 10 marzo a Nocera Inferiore, questa sarà la seconda edizione in cui cercheremo di trovare nuovi talenti. Nella passata edizione abbiamo avuto modo di trovare degli ottimi elementi ed infatti due dei partecipanti hanno poi lavorato con noi in Compagnia, speriamo di essere fortunati anche quest’anno.

Il concorso prende il nome dalla Sua Compagnia  

Esattamente! È stato sempre il mio sogno poter avere una mia compagnia di danza e così insieme a Gaetano Petrosino abbiamo deciso di intraprendere questa “follia”, forti anche del fatto che qui a Nocera non esisteva nessuna compagnia di danza di un certo livello e così ci siamo messi a lavoro e abbiamo fondato Dansepartout nel 2006.

Ha avuto una carriera artistica molto ricca, iniziamo a ripercorrere alcune tappe fondamentali. Ci racconta del suo rapporto lavorativo con Maurice Béjart?

Il nostro rapporto di lavoro è iniziato nel 1971 ed è proseguito fino al 1976. È stato un periodo bellissimo anche perché lavorare con lui era un altro sogno che sono riuscito a realizzare. Da lui ho imparato moltissimo, il modo di stare in scena, l’importanza del lavoro intenso e costante, l’impegno totale dal punto di vista tecnico ed artistico.

Dopo Béjart è arrivata Stoccolma e l’incontro con Cullberg

Il passaggio dalla Compagnia di Béjart al Cullberg Ballet è stato quasi consequenziale. Mentre lavoravo con Béjart avevo iniziato a creare qualche mia coreografia ed essendomi appassionato a quest’arte, sono andato a Stoccolma per sondare un po’ il terreno e vedere se li potevano essere interessati al mio lavoro. Cullberg mi conosceva perché il figlio danzava con me da Béjart e quando gli proposi di collaborare accettò subito di buon grado chiedendomi però di entrare a far parte della Compagnia anche come danzatore. All’inizio ho rifiutato l’idea perché non mi sentivo di lasciare il sogno che avevo inseguito da sempre, ovvero danzare per Béjart, successivamente però riflettendoci attentamente ho capito che per crescere artisticamente bisogna anche cambiare e mettersi in gioco ed alla fine ho accettato la proposta.

Come ha scoperto l’amore per la coreografia?

In realtà posso dire di aver prima iniziato a coreografare e poi a danzare. Fin da bambino realizzavo delle coreografie per me stesso, ideavo i costumi e realizzavo degli spettacoli senza neanche aver mai conosciuto veramente la danza. Poi quando ho iniziato a danzare da professionista ho capito che coreografare era per me una grande passione e così ho iniziato pian piano a realizzare delle coreografie durante un workshop con la compagnia di Béjart. Per me coreografare vuol dire trasmettere emozioni, riportare nel movimento il prolungamento di un’idea.

Avendo lavorato molto sia in Italia che all’estero, quali differenze riscontra nel modo di lavorare?

L’Italia è piena di talenti meravigliosi e di grande creatività, quello che manca però è la voglia di fare. A parte alcune eccezioni che ovviamente ci sono anche in Italia, riscontro nei danzatori italiani poca costanza, manca la volontà giornaliera di mettersi a lavoro a sudare e faticare per raggiungere degli obiettivi

Questa dunque è anche la differenza tra i danzatori italiani e quelli stranieri?

Purtroppo si. Ci sono poi dei grandi professionisti come Roberto Bolle, Massimo Murru e la grande Carla Fracci, un’infaticabile lavoratrice capace di stare alla sbarra dalla mattina alla sera.

A proposito di Carla Fracci, com’è stato lavorare con lei?

Una grandissima esperienza, Carla Fracci mi ha insegnato molte cose, come artista e come lavoratrice, dal punto di vista tecnico e sotto il profilo della precisione, la Fracci è una perfezionista.

Quali erano le caratteristiche della signora Fracci che la ispiravano a creare per lei?

La sua persona, la sua costanza, la sua intelligenza, l’impegno totale. Una danzatrice molto disponibile ma anche molto impegnativa con al fianco un uomo altrettanto importante come il maestro Menegatti che ha creato per lei moltissime cose. Alla Fracci è legato un bellissimo ricordo, quello del lavoro all’Aida del grande Franco Zeffirelli, un’esperienza importantissima di grande arricchimento professionale e personale.

Un sogno nel cassetto?

Il mio sogno è quello di poter continuare a lavorare con la Compagnia Dansepartout e rendere Nocera Inferiore un punto di riferimento importante per la danza internazionale.

 

 

                                                                                           Alessandro Di Giacomo 

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