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Luciana Savignano: una vita per la danza, la carriera di una grande ballerina

Luciana Savignano nasce a Milano il 30 novembre del 1943. La sua è la classica fiaba della semplice bambina che scopre dentro di sé una passione ed un talento così forte da trasformarla presto in una stella. All’età di nove anni fu infatti portata dai genitori alla Scala di Milano a vedere il balletto classico per antonomasia: Il “Lago dei Cigni”; la musica, il teatro, i tutù… capì subito che quella sarebbe stata la sua vita.

Decise così in quell’occasione che voleva diventare una ballerina e trovò subito il consenso del padre, egli stesso amante del teatro. Nel 1953 superò l’esame di ammissione alla scuola di ballo del teatro alla Scala di Milano e qui si formò conseguendo il diploma nel 1962. Sin dall’infanzia rivelò un insopprimibile istinto al movimento, al quale sapeva abbandonarsi con facilità grazie all’agilità del suo corpo, alla sua grazia innata, alla flessibilità e versatilità delle sue membra  che sembravano ascoltare e rispondere al ritmo interiore. Di quegli anni ricorda con tenerezza la sua prima insegnante, Edda Martgnoni, che riuscì a darle quella dolcezza di cui una bambina timida come lei aveva strettamente bisogno. Appena diplomata partì per mosca, per perfezionarsi presso il teatro Bolshoi, insieme ad altre quattro sue colleghe; tra queste c’era anche Liliana Cosi che le curava come una sorella maggiore.

Iniziava così una carriera luminosa che non è semplice riassumere. Tra i momenti determinanti della sua vita artistica ricordiamo: la nomina di Prima ballerina del Teatro alla Scala del 1972; il 1978 quando fu scelta da Mario Pistoni come interprete principale del suo balletto “Il Mandarino meraviglioso”; l’incontro e il lungo connubio artistico con Maurice Béjart, che creò per lei “Ce que l’amour me dit”. Luciana interpretò tutte le più significative coreografie  di Béjart, che amava di lei il temperamento enigmatico e la plasticità particolare: “Leda e il cigno”, “Duo”, “Romeo e Giulietta”, l’assolo “La Luna da Heliogabalo”, “Bhakti”, ma soprattutto “Bolero”. La Savignano è stata l’interprete ideale del Bolero di Béjart: “Sinceramente non ricordo quante volte l’ho danzato ma è come se ogni volta la mia anima si rinnovasse donandosi attraverso il corpo, in un messaggio in continua mutazione che sussurra, cresce in un grido e tace con la musica. Le mie mani, le mie braccia sono come delle ali di fuoco che esprimono la necessità fisica di comunicare. Io sono la sacerdotessa che compie un rito; per me Bolero è come una preghiera”.

Gli anni trascorsi con Béjart le insegnarono ad esprimerei sentimenti piùreconditi, ad ascoltare il corpo per condurlo verso sempre nuove situazioni coreografiche: “Io sono innamorata dell’arte come la crede e la vive Béjart. Il movimento in lui è interamente dedicato alla ricerca di un messaggio da proiettare, ad un dialogo continuo con la musica e soprattutto mai fine a se stesso: è questa la meraviglia, la magia del suo vocabolario coreografico”.

Musicisti come B. Bartòk, coreografi quali Paolo Bortoluzzi, Roland Petit, M. Van Hoecke hanno lavorato per lei. Tra le interpretazioni importanti vanno menzionate: “Il concerto dell’Albatro”, “Contagio”, “Specchio a tre luci” e “I Promessi Sposi” di Mario Pistoni, “L’amore stregone” di Luciana Novaro, “L’Après – midi d’un faune” nella versione di Amedeo Amodio, “Sonata dell’angoscia” di Aurel Milloss, “Cinderella” di Paolo Bortoluzzi, “La bisbetica domata” di Jhon Cranko, “L’angelo azzurro” di Roland Petit, “La dea della acque” di Alvin Ailey, ecc.

Luciana Savignano ha sempre amato le parti orientali, in esse si sentiva a suo aggio; sarà forse stato per il suo volto così esotico per il taglio degli occhi (decisamente a mandorla) e per gli zigomi alti o anche per l’estrema flessibilità e sensualità del suo corpo. La sua grandezza ed unicità sono senza dubbio la naturale conseguenza non solo della perfetta tecnica, ma anche della forte espressività del volto e delle sue lunghe mani. Per lei la danza è comunicazione restano solo delle vuote sequenze di passi fini a se stesse. “Se si è sensibili, se si esprime, il pubblico lo capisce; noi dal palcoscenico entriamo nella sfera di chi osserva  e gli spettatori entrano nella nostra”.

Danzare per lei è scambiarsi dei flussi con il pubblico, con il coreografo, con il partner. Tra i partners a lei più cari spicca Marco Pierin con il quale si creò subito una forte intesa. Ne parla così: “Con Marco siamo legati da un’amicizia molto profonda e particolare. Viviamo questo rapporto in assoluta sintonia, comunicando talvolta anche solo con lo sguardo. Con lui c’è anche armonia fisica: altezze giuste, braccia lunghe, figure che si sposano bene insomma”.

Nella sua lunga carriera Luciana Savignano ha danzato nei teatri più importanti di tutto il mondo ( Mosca, Parigi, New York, Chicago, Cuba, ecc.).

La danza è stata ed è il suo mondo: “L’uomo nasce come un essere meraviglioso, che tuttavia con il tempo si corrompe… io ho bisogno di limpidezza, e , mio malgrado, raramente ne trovo. Questo a volte mi porterebbe a nascondermi, a ripararmi…ma poi entro in palcoscenico, non vedo più nessuno e respiro uno “stato di grazia” nel quale riesco a venir fuori io, la mia persona”.

 

Sara Zuccari

Direttore del www.giornaledelladanza.com

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