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Pompea Santoro racconta passione e concetto della danza

Pompea Santoro

Pompea Santoro, è nata a San Vito dei Normanni in provincia di Brindisi. A sei anni si trasferisce a Torino dove comincia lo studio della danza classica in una scuola privata diretta da Jusa Sabatini che le da l’opportunità di apprendere con celebri insegnanti come Carola Zingarelli (Scala di Milano), Margarita Trayanova (Opera di Sofia), Arlette Castagnet (Scuola Rosella Hightower) Jean-Marie Dubrul e Michel Bruel (Opéra di Parigi). Oltre alla danza classica, ha studiato flamenco con Isabel Nesi Fernandez e jazz con Danielle Fournier. A 16 anni riceve un premio come talento artistico presso il Concorso “Tersicore” di Brescia con una variazione da “Carmen” curata da Margarita Trayanova. Lo stesso anno, 1978, Alberto Testa la invita alla prima “Maratona della Danza” a Spoleto con la stessa variazione, dove viene notata da Pippo Carbone, allora vice Direttore del Cullberg Ballet accanto a Birgit Cullberg che le offre un contratto. Sempre nel 1978, sceglie di entrare a far parte della compagnia svedese, che dal 1980 è diretta da Mats Ek (figlio della stessa Cullberg) con cui Pompea ha lavorato ininterrottamente per più di 20 anni. Oltre ad aver ballato ruoli principali nelle coreografie di Birgit Cullberg tra cui Clara nella “Signorina Giulia” affiancata da Rudolf Nureyev, ha interpretato anche tutti i balletti di Mats Ek creati dal 1978 al 1998, ballando nei più prestigiosi Teatri del mondo. I ruoli più importanti sono: Adela (La casa di Bernarda Alba), Giselle, alternandosi con Ana Laguna, M… (in Carmen) creato appositamente per lei, Carmen e Aurora (Bella Addormentata). Ha anche lavorato con Nacho Duato che ha creato per lei “Ressamblement”, Carolyn Carlsson, Ohad Naharin. Nel 1993 le viene assegnato il premio “Karina Ari” (Svezia) come migliore danzatrice dell’anno, in seguito ad uno spettacolo dedicato a Jiri Kylian con cui ha lavorato spesso. Nel 1994 fa parte dello spettacolo d’inaugurazione dell’“Auditorium Lingotto” a Torino con il Cullberg Ballet dove interpreta il ruolo principale in “Carmen”. Dal 1996 inizia a rimontare i balletti di Mats Ek in giro per il mondo, ha lavorato con le più grandi Stelle della danza tra cui Sylvie Guillem, Tamara Rojo, Marie-Claude Pietragalla, Marie Agnese Gillot, Manuel Legris, Nicholas Leriche e altri. Nel 1997 arriva alla Scala di Milano invitata da Elisabetta Terabust, allora Direttrice, dove oltre ad allestire la “Giselle” di Mats Ek, balla come Artista ospite il ruolo principale con Massimo Murru. Questa sarà l’ultima volta che ballerà il ruolo di Giselle. A Verona invece nel 1998 sarà l’ultima recita nel ruolo di Aurora nella “Bella Addormentata” di Mats Ek. Nel 2000 la sua immagine rappresenta il Cullberg Ballet in un francobollo postale. I premi Italiani più importanti che le vengono assegnati sono: Premio Positano, Danza e Danza (come migliore danzatrice italiana nel mondo), presenta un assolo creato apposta per lei da Carolyn Carlson e nell’occasione le viene consegnata la “Maschera d’oro” di Venezia. Inoltre le vengono assegnati il premio “Vignale Danza”, “Acqui Danza”, Premio Giuliana Penzi “Danza in vita”. Nel 2002 Torna a Torino e fino al 2005 è consulente artistica del Teatro Nuovo di Torino. Durante questo periodo balla solo in alcune occasioni: alla Biennale di Venezia con un balletto creato appositamente per lei da Jacopo Godani, e nel 2005 in un passo a due di Johan Inger. Seguendo la grande passione per l’insegnamento smette definitivamente di ballare e si dedica sempre più ai giovani danzatori. Oggi, continua a rimontare i balletti di Mats Ek nei più grandi Teatri del Mondo e tiene master-class in Italia e in Europa; ha insegnato anche in prestigiose Accademie sia classiche che contemporanee: Conservatoire de Paris, Accademia del Teatro alla Scala di Milano, Académie de Danse Princesse Grace, Codarts, Laban Trinity e Rambert School of Ballet and Contemporery Dance. Nel 2010 lavora con Roberto Bolle in occasione dell’allestimento della Giselle di Mats Ek al Teatro San Carlo di Napoli. Ad Ottobre del 2012 crea l’EKoDanceInternational Project per aiutare i giovani danzatori ad intraprendere un percorso di crescita artistica mediante lo studio della danza classica e le coreografie di Mats Ek.

Cara Pompea, siamo in Puglia, a San Vito dei Normanni, cosa ti fece avvicinare alla danza?
Nel 1968 i miei genitori si trasferirono a Torino in cerca di lavoro, mia madre da sempre appassionata di danza mi iscrisse in una palestra vicino casa. L’insegnante dopo qualche mese le disse che avevo talento e che sarebbe stato meglio se io studiassi in una scuola seria e le consigliò “Ariadne” diretta da Jusa Sabatini. È da lì che iniziò tutto. Sarò quindi sempre grata alla mia prima insegnante Anita Carrino per aver creduto nel mio talento e fatto sì che io trovassi il posto giusto per alimentarlo.

Raccontami della tua formazione e delle esperienze che ti hanno arricchito maggiormente come artista?
Avevo nove anni quando iniziai questo meraviglioso percorso. Non posso dire di essermi avvicinata alla danza per passione, le mie passioni erano altre, ma il Maestro Sabatini, probabilmente davanti al mio talento, fece di tutto per farmi capire che la danza era e sarebbe stata la mia vita. Mi faceva sentire speciale e questo accadeva anche quando venivano insegnanti ospiti che il Maestro invitava per lunghi periodi, come Margarita Trayanova, Carola Zingarelli, Jean Marie Dubrul, Joso Borcic ed altri ancora. Mi ricordo di aver sempre ricevuto molte attenzioni, fino a quando cominciai a crederci. Il Maestro si prese cura di me fin dall’inizio, a tal punto da volermi adottare. Oggi sono convinta che se io non avessi avuto prima mia madre ad introdurmi nel mondo della danza e poi il mio maestro a credere in me, non sarei qui a raccontarti questa storia. All’Ariadne ci sono rimasta fino all’età di sedici anni e in quell’arco di tempo ho ballato principalmente il repertorio classico, (Don Q., Bella Addormentata, Paquita, Lago dei Cigni e Coppelia) ma mi divertivo anche molto con il Jazz e flamenco che il Maestro ci proponeva accanto allo studio della danza classica.

Quali ricordi hai della tua prima serata in scena in veste di danzatrice?
I primi ricordi più belli sono sicuramente quelli nella scuola di danza, quando ballai per la mia prima al Teatro Alfieri di Torino, Odette, Svanilda, Kitri, Paquita e Alice nel paese delle meraviglie per poi concludere con Carmen di Alonso che ballai per l’ultima volta al Festival di Spoleto a 16 anni.

Da giovanissima, un invito a Spoleto, ti ha cambiato la vita e forse i tuoi progetti. Cosa ti ha portato alla Maratona di Danza e cosa rammenti di quegli anni di intenso studio?
Ecco… non ricordo di aver studiato “intensamente”, non ricordo di aver fatto sacrifici per studiare, mia madre sicuramente sì e tanti, per accompagnarmi e per starmi vicina fino a quando non ero abbastanza indipendente. Io mi divertivo, e se così non fosse stato non avrei mai continuato a danzare. Il mio sacrificio era la scuola statale, la scuola dell’obbligo… non per niente si chiama così. La danza non dev’essere un obbligo. Quello che invece il mio Maestro mi obbligò a fare fu un Concorso, ricordo che mi venne a prendere fino sotto casa perché io dopo l’esperienza dell’anno prima a Losanna, dove fui eliminata dopo la semifinale non volevo più saperne. Era un Concorso italiano, “Tersicore” nella città di Brescia. In giuria c’erano nomi come: Alberto Testa, Bianca Gallizia, Giuliana Penzi, Renato Fiumicelli e Presidente di Giuria era il grande Mario Pasi. Arrivai al Concorso inconsapevole e con nessuna voglia di gareggiare, ma una volta in scena partivo in una dimensione a me ancora sconosciuta. Dovettero creare un premio straordinario “per il mio particolare talento artistico” che mi portò al Festival di Spoleto allora diretto dal Maestro Alberto Testa. Avevo 16 anni.

Sicuramente una parte fondamentale della tua carriera è anche merito di Birgit Cullberg. Cosa devi a lei artisticamente, e qual era l’essenza del suo lavoro?
Birgit mi offrì un contratto di lavoro nel 1978 quando avevo solo 16 anni, allora Pippo Carbone era suo assistente. Era una donna determinata e sapeva esattamente quello che voleva, mi fece capire chiaramente che voleva me. Io però avevo già tutto pronto per entrare a far parte nella scuola dell’Accademia della Scala, era stata ammessa al 6° corso. Non so cosa o forse sì, mi spinse ad accettare il contratto. Inizialmente ballai solo coreografie di Birgit perché Mats Ek era ancora tra i suoi ballerini, per me abituata al repertorio classico non fu facile, ma lo stile di Birgit è comunque basato sulle linee e sulle forme così come il classico quindi capii subito e notai anche un’altra libertà di espressione. Nonostante la mia giovane età capii attraverso le coreografie di Birgit, conobbi la danza contemporanea che il mio Maestro non ci fece mai studiare (forse consapevolmente? non so… mi sarebbe piaciuto chiederglielo). Capii che la danza ti permette anche di raccontare storie vere e non solo favole. Birgit era una donna moderna non solo nelle coreografie ma anche nelle sua vita privata, fu una delle prime a portare il sociale sul palcoscenico attraverso la danza. I suoi balletti erano sempre rivolti al sociale.

In seguito hai avuto la fortuna di collaborare con Mats Ek che da poco ha dato l’addio alle scene. Per anni hai rimontato le sue coreografie ma la notizia è che il coreografo ha deciso che non potranno essere più riprodotte da altri dopo di lui. Cosa ne pensi, vista anche la tua amicizia con il maestro?
Prima di tutto Mats e Brigit non si facevano mai chiamare “Maestri” e io naturalmente ho ereditato questo loro pensiero. Mats Ek non ha dato l’addio alle scene, si è solo concesso una pausa e penso se lo possa permettere dopo 35 anni di creatività. Mats ha notato subito la mia spontanea voglia di aiutare, di insegnare, quando arrivavano nuovi danzatori mi veniva spontaneo aiutarli a capire il suo stile. Fu nel 1996 quando mi mandò per la prima volta a rimontare all’Opera di Monaco di Baviera la sua Giselle. Per me non fu difficile visto che avevo già ballato sia nel corpo di ballo che il ruolo principale. Da allora non ho più smesso, capii che la mia passione si stava alimentando e cresceva sempre di più, quella passione che non avevo avuto per la danza. Mats, così come fece il mio Maestro mi ha sempre incoraggiata e fatta sentire speciale, mi risollevava quando ero un po’ giù, mi sgridava quando non mi comportavo bene e mi ha accompagnata nel mio percorso artistico per 35 anni.

Eri presente a Parigi il 6 gennaio per il suo addio alle scene con la moglie Ana Laguna e alcuni tra i suoi ballerini più adorati…. Che serata è stata e quali emozioni hai vissuto?
Per me è stato molto emozionante, in quei 20 minuti di passo a due che Mats ha creato per Ana ed Ivan ho ripercorso tutto il mio cammino insieme a loro e vederli ancora sul quel palcoscenico mi ha toccata profondamente. Quel palco che è stato il mio mondo parallelo per 45 anni e che oggi non mi interessa più, ma quello che più mi ha fatto riflettere è che non so quando io abbia deciso di abbandonarlo… così come non abbia mai deciso altro nella mia vita, solo di avere dei figli, si quella è stata la sola decisione che ho dovuto prendere nella mia vita. Il resto me lo sono sempre ritrovato davanti.

Tra tutti i suoi balletti che hai rimontato quale hai sentito più tuo?
Non ho mai sentito i balletti che ho rimontato “miei” anzi “mio” è un aggettivo che non mi piace e faccio fatica a pronunciare. Io penso che nulla sia di nostro possesso, quando trasmetto un ruolo ad un danzatore, anche se creato su di me, già non è più mio, sarebbe impossibile insegnarlo nella maniera più onesta e generosa, l’allievo deve avere la possibilità di appropriarsene e far sì che diventi suo. Proprio come si dovrebbe fare con i propri figli. Ognuno ha diritto di appropriarsi della propria vita e non delle proprie cose.

Hai avuto la fortuna di danzare con tanti coreografi tra cui Duato, Carlson, Naharin, Kylian e tanti altri. Un bagaglio di esperienze di grande valore?
Assolutamente sì!! Ognuno di loro mi ha lasciato un bagaglio, Kylian prima di tutti, con il quale ho lavorato maggiormente perché da sempre c’è un legame di rispetto e ammirazione tra Mats e lui. Jiri ha sempre apprezzato le mie lunghe linee e il mio aspetto un po’ esile che Mats ha cercato di mascherare cercando in me qualcosa di meno evidente. Carolyn ha fatto scoprire in me la magia dell’improvvisazione, anche se non è mai stato il mio forte, lei è riuscita a darmi così tanta sicurezza che ad un certo punto mi sono sentita libera come mai prima. Ohad invece è stato più difficile, non mi sono mai sentita a mio agio con il suo lavoro, forse per il mio aspetto troppo “classico” non so… però anche lui ha trovato il modo di farmi capire che la danza non è basata sull’aspetto fisico, ma su un’idea che ci facciamo di noi stessi e un’apertura mentale. Nacho per me è stato un uomo molto importante, quindi ballare le sue coreografie mi ha fatto sentire più vicina a lui.

A quale ricordo sei maggiormente legata nella tua carriera di successo in veste di danzatrice?
Io non credo tanto nei ricordi, il ricordo è passato, alcune cose del passato ti segnano oppure no. Il mio ricordo è uno solo, la gioia immensa che la danza mi ha regalato, poteva accadere tutto ma lei è sempre stata con me fino a quando io ho deciso di lasciarla. Non mi sento in colpa perché le ho dato tutto quello che avevo, mettendo il mio talento al suo servizio.

Hai qualche rimpianto, artisticamente parlando?
Per alcuni anni forse sì, ma con il tempo mi sono resa conto conto che non lo è più. Quello di non aver lavorato di più con l’altro mio coreografo preferito Jiri Kylian entrando nella sua compagnia.

Un altra grande presenza della danza che ha da poco lasciato le scene è Sylvie Guillem. Avete lavorato insieme, com’era?
Quando Mats mi disse che avrei dovuto insegnare il ruolo di Carmen a Sylvie Guillem, ebbi un attimo di apnea, ma dal primo giorno legammo, abbiamo passato io lei da sole ore e ore in sala, per me non era più la Guillem ma una qualunque alleva affamata di informazioni e correzioni.

Mentre il tuo addio alle scene è avvenuto con un lavoro di Johan Inger e una creazione pensata a posta per te da Jacopo Godani alla Biennale di Venezia. Cosa ricordi di quella serata e cosa ha significato per te ritirarsi dalla danza attiva?
Non sapevo quello fosse il mio ultimo spettacolo! Immagino si fosse spenta la magia. Sono contentissima di aver ballato una coreografia di Johan, ci lega un’amicizia di vecchia data. Ci ha concesso un bellissimo passo a due che ho ballato con mio marito, l’uomo che mi ha sopportata per 26 anni sia nella mia vita privata sia sul palcoscenico, lui è la mia colonna portante, senza di lui barcollerei. Invece Jacopo ha creato per me e tre ballerini del Teatro Nuovo Torino, “Black out” il suo lavoro è stato molto importante, oltre ad essere l’unico coreografo italiano con il quale ho lavorato, mi ha fatto scoprire nuovi orizzonti, un movimento a me sconosciuto che ancora oggi sento nel mio corpo. Avrei tanto voluto lavorare con Mauro Bigonzetti prima di lasciare il palcoscenico, ci siamo arrivati vicini ma purtroppo non si è mai realizzato un mio progetto proposto allora.

Tra tutti i tuoi incontri eccellenti hai avuto il piacere di lavorare anche con la star Roberto Bolle al San Carlo di Napoli. Cosa lo rende così amato e così magico?
Roberto lo conobbi quando rimontai Giselle di Mats alla Scala nel 1997 lui era giovanissimo. Mats non lo scelse appunto perché era molto giovane. Dopo tanti anni ci siamo ritrovati a lavorare finalmente insieme. La prima cosa che mi sono detta quando ho cominciato a lavorare con lui è stata: “non appartiene a questo pianeta”… la sua bellezza è un qualcosa di indescrivibile che emana dagli occhi. Il fatto è che non mi sono mai abituata! Tutti i giorni mi ripetevo la stessa frase. Purtroppo, nel percorso Roberto si è infortunato alla schiena e abbiamo dovuto interrompere le prove e rimandare la prima di qualche mese. Siamo riusciti a portare in scena Giselle e lui ha indossato i panni di Albrecht in maniera onesta e superba. Ma quello che mi ha più colpito di Roberto, è la sua positività, la sua generosità e lealtà. Doti fondamentali per un essere umano più che per un ballerino.

Hai ballato nel ruolo di Clara nella “Signorina Giulia” della Cullberg con il “ballerino dei ballerini” Rudolf Nureyev. Cosa conservi di lui e com’era sia dal punto di vista artistico che da quello umano?
Nureyev rimase con noi un mese per lavorare con Birgit, ricordo il primo giorno di prova, lui arrivò molto in ritardo e nonostante ciò con molta calma si prese tutto il tempo necessario per farsi la sua sbarra e scaldarsi. Con me fu subito molto simpatico, ballavo il ruolo delle sua fidanzata Clara e avevamo dei piccoli passi a due insieme, ero anche molto giovane, penso avessi 18 anni. Scherzava durante tutte le prove facendo battutine anche un po’ “osé” e in italiano! Aveva un senso dell’umorismo incredibile. Ci incontrammo una volta sull’aereo Stoccolma-Parigi e anche in quel caso l’aereo dovette aspettare che lui finisse di fare il suo shopping.

Oggi sei una stimata insegnante, ma a tuo avviso, pensi che l’attuale metodo di insegnamento della danza in Italia sia efficace e a livello giuridico e regolamentativo cosa manca?
Non credo nei “metodi” credo nei “modi”, la differenza tra un insegnante e un altro è il modo in cui trasmette il suo sapere e la sua passione. Un plié è sempre un plié e un tendu, un tendu, più lo conosci a fondo e più cose potrai dire. Così con tutto il resto. Più conosci e hai sentito sul tuo corpo un port de bras e più dettagliata sarà la spiegazione… Io ho sempre e solo studiato la tecnica della danza classica con tantissimi insegnanti diversi, ho scelto però di esprimermi con un vocabolario contemporaneo, questo mi ha portata ad elaborare un modo di studio della danza classica un po’ più morbido, proprio perché il passaggio tra uno stile e l’altro sia più naturale e logico. Ovviamente per avere una tecnica solida, giri sicuri, salti potenti ed equilibri ci vuole una schiena forte ed eretta, ma poi? Oggi tutti i Direttori di Teatri cercano ballerini duttili, ma sono poche le Accademie che formano ragazzi con un’ottima tecnica priva di rigidità, succede che solo dopo qualche anno capiscono come liberarsene, alcuni purtroppo non se ne liberano mai. Io mi sono detta, ma perché non inserire già da subito l’idea del contemporaneo o forse dovrei dire di Mats nello studio della danza classica? Quello che io ho analizzato su me stessa per anni. Iniziare da subito a far capire agli allievi come portare le braccia da una posizione all’altra senza che risulti un movimento rigido. Insomma il discorso è lungo e complicato, lo sto sperimentando sui miei allievi. Loro studiano danza classica e repertorio Mats Ek e comincio ad avere i miei primi risultati. Comunque il più grande maestro di un insegnante è il palcoscenico, una carriera. È un po’ come chiedere ad un panettiere di fare una pagnotta senza mai averla fatta, ma solo letto quali ingrediente utilizzare.

Nel 2012 hai dato vita all’Eko Dance International Project per aiutare giovani danzatori. Vuoi raccontarmi nello specifico questo progetto e i risultati già ottenuti?
Anche questo è nato in maniera del tutto spontanea, ho iniziato ad insegnare alla Lavanderia a Vapore quattro anni fa invitata da Loredana Furno, un gruppo di ragazze hanno iniziato a seguirmi e sono di conseguenza stata incoraggiata a dar vita a questo progetto. Da sempre ho voluto mettere in pratica un mio pensiero, finalmente ho avuto la possibilità di farlo. Cerco di aiutare non solo i ragazzi che non si sentono ancora pronti tecnicamente o artisticamente per affrontare il mondo professionale, ma anche quelli che non hanno ancora il coraggio o l’autostima di cui avrebbero bisogno per affrontare audizioni. Li educo a come presentarsi, a come affrontare le prove giornaliere fino ad arrivare al palcoscenico. Come materiale di studio mi servo della tecnica della danza classica, in quanto sia l’unica che conosca profondamente e che reputo la più completa per un danzatore. Ovviamente visto il mio percorso, lo studio è contaminato da elementi fondamentali della danza contemporanea pur mantenendo la disciplina e le regole, in poche parole cerco di eliminare quella rigidità che purtroppo spesso si trova in un ballerino classico. Cerco di far capire come il passaggio dalla danza classica a quella contemporanea possa essere più spontanea e logica. Per farli crescere artisticamente, Mats mi ha concesso il permesso di usare estratti di sue coreografie e anche di portarli in scena a scopo educativo naturalmente. Per i ragazzi è straordinario poter lavorare in modo approfondito sul suo lavoro, permette loro di conoscersi e di scoprirsi, di superare i limiti sia fisici che artistici. Permette altresì di capire se amano totalmente la danza. Oltre a ciò, mi piace scoprire nuovi coreografi, quindi sono sempre alla ricerca di giovani creatori in modo tale da dare ai miei allievi la possibilità di lavorare con un coreografo e al coreografo di sperimentare il proprio materiale e stile su danzatori di un certo livello. A Maggio debutteremo con 4 nuove coreografie create apposta per l’Eko, un progetto che abbiamo chiamato “Made4You” con l’appoggio della TPE e Paolo Mohovich. Presenteremo Diego Tortelli, Valerio Longo, Pedro Lozano Gomez e una nuova creazione di Paolo Mohovich. Ovviamente non mancherà un nuovo estratto da uno dei balletti Mats.

È stato difficile realizzare questo tuo progetto artistico?
Per niente, perché è iniziato con passione e con tanta gioia, purtroppo non mi permette di guadagnare, ma grazie alla mia pensione svedese posso aiutare anche i ragazzi in difficoltà economiche offrendo loro borse di studio. Oltre al progetto si è creata sempre in maniera spontanea una scuola per i più piccoli che mi permette di pagare l’affitto della sala. La cosa più preziosa è quella di avere la libertà di decidere, organizzare, ideare e realizzare tutti i miei progetti senza alcun obbligo.

Ci sono altri progetti che ti piacerebbe realizzare in Italia?
La mia vita è stata fino ad ora come un libro con capitoli diversi, in questo momento sono nel pieno capitolo dell’insegnamento, poi so che ci sarà il capitolo della direzione. Ma prima mi piacerebbe incontrare qualcuno che creda in un progetto educativo per i più giovani, coinvolgere i bambini e i ragazzi delle scuole nei miei spettacoli. Attraverso le coreografie di Mats far capire come la danza sia una forma d’Arte che permetta di far riflettere e far comprendere come un movimento del corpo, anche semplice, possa comunicare un emozione.

Come ti accosti alla preparazione del rimontaggio di una coreografia di Matk Ek?
La prima cosa che faccio è parlare, raccontare quello che andremo ad imparare, il perché e come è nato un balletto e l’idea… proprio come faceva Mats con noi prima di una creazione. Il lavoro di Mats non è astratto, quindi è importante capirlo da subito. Poi cerco di spiegare le regole tecniche fondamentali, l’uso della schiena di conseguenza le braccia, la fluidità, l’energia, l’intensità e il peso del movimento. L’aspetto più difficile è che il ballerino deve avere la pulizia e le linee della danza classica, ma anche la libertà di movimento della contemporanea, quindi la libertà nel controllo. Raramente ho incontrato al di fuori del “Cullberg Ballet” un ballerino così, ed è anche questo che mi ha spinta a creare il mio progetto.

L’umiltà: quanto conta nel mondo della danza e dell’arte?
È fondamentale! Sapere che c’è sempre qualcuno meglio di te ti permette di crescere, saper chiedere scusa ti permette di mantenere contatti e rapporti importanti, essere sempre pronti ed adeguarsi a qualsiasi situazione ti permette di vivere più esperienze ma sopratutto avere costantemente la curiosità e l’apertura mentale che ti permette di conoscere sempre cose nuove.

Oltre la danza, quale altre passioni coltivi? Nel tuo tempo libero cosa ti piace fare?
Ho sempre voluto fare la segretaria da piccola, ho avuto la mia prima macchina da scrivere a 12 anni e il mio primo notebook nel 1995. Scoprii così il mio talento per l’informatica, per cinque anni ho assemblato desktop e riparato computer. Questo mi aiuta molto nell’insegnamento, mi permette di conoscere meglio il meccanismo e la logica del corpo umano. Poi mi piace molto scrivere.

C’è in particolare un ballerino o una ballerina o una compagnia a livello mondiale con cui ti piacerebbe lavorare?
Non veramente, penso di essere stata nei migliori teatri del mondo e di aver lavorato con tantissimi ballerini straordinari. Ad un certo punto sarei dovuta andare al Bolshoi, devo dire la verità quando è stato annullato ero felice e non chiedermi perché.

Pensi sia indispensabile per un coreografo aver avuto esperienza di danzatore?
Assolutamente sì! Deve conoscere a fondo il proprio corpo, per me un coreografo è colui che trasmette i propri movimenti e il proprio stile ad un danzatore. Io per esempio non potrei mai essere una coreografa, ma mi ritengo una buona regista, sono brava a mettere in scena la danza e a costruire uno spettacolo da tanti estratti.

Spesso sei docente in prestigiosi Stage, ti piace sempre insegnare e trasmettere il tuo sapere? Che rapporti instauri con gli allievi?
Quando mi presento lo faccio sempre come “Pompea”… non mi piace essere chiamata in nessun altro modo. Cerco di essere me stessa e non il ruolo che vesto dell’“assistente” o “insegnante”. Mi piace molto avere in sala un’atmosfera serena, priva di tensioni e mi piace scherzare. Nello stesso tempo esigo concentrazione e attenzione. Mi affeziono a chi è in sala con me perché si crea un rapporto intenso e intimo. Ma quello che mi piace più di tutto è che mantengo con tutti un contatto, questo anche grazie a Facebook.

Cosa pensi della nuova scena contemporanea italiana? Della cosiddetta vetrina di nuovi emergenti coreografi?
Oggi sono pochi i coreografi che fanno realmente coreografia, molti si fanno aiutare dai danzatori attraverso l’improvvisazione e sofisticati effetti luci o video proiezioni. Pochi sono i coreografi che lavorano facendosi aiutare dalla musica e da un’idea e se ce l’hanno, pochi riescono a svilupparla. Io penso che fare il coreografo sia la cosa più difficile nella danza e troppi lo fanno con tanta leggerezza.

Che cosa ti auspichi per il futuro della coreografia, della creatività e della sperimentazione?
Che si torni a riflettere su cos’è realmente la coreografia, il significato del coreografare un balletto. Tornare a chiedersi il perché delle cose. Non cercare troppo di fare qualcosa di nuovo, cercare ispirazioni su quello che è già stato fatto e semmai svilupparlo. La sperimentazione rischia a volte di diventare un’ autoanalisi o un’autoterapia.

Qual è il tratto principale del tuo carattere?
La positività e l’adattamento.

Quali sono le tue letture preferite e la tua città preferita, tu che viaggi molto?
Non leggo molto, come dico sempre mi piace leggere le persone. Non sono una turista, sono stata nelle più belle città del mondo ma torno sempre volentieri a Londra, Parigi e anche in Olanda.

Coltivi ancora la passione per il flamenco? Da giovane avevi studiato anche questa disciplina?
Purtroppo no, ma ce l’ho ancora nel mio corpo.

A chi non ti conoscesse cosa vorresti far emergere su di te?
La mia generosità e positività.

A cosa pensi quando ti guardi allo specchio? Elemento indispensabile per un danzatore?
Lo specchio è stato il mio miglior insegnante, mi ha aiutata a capire che dovevo trovare l’ispirazione e la motivazione in me stessa nei momenti difficili. Non mi guardo quasi mai allo specchio al di fuori della sala da ballo, nonostante casa mia sia piena di specchi, perché rendono lo spazio più ampio.

Come scegli gli interpreti delle tue messe in scena?
Se si tratta di coreografie di Mats, mi attengo alle persone per le quali è stato creato il ruolo ma anche sulle loro capacità tecniche. Non essendo io una coreografa devo cercare di dare al danzatore un ruolo che lo possa valorizzare.

Dall’Italia vi è da tempo una fuga di cervelli, ma anche di ottime gambe!! Partire o restare? Cosa suggeriresti oggi ad un giovane aspirante danzatore o coreografo?
Restare dove? Purtroppo non saprei dove mandare in Italia un mio allievo in cerca di lavoro. Sarebbe meraviglioso se ogni città italiana avesse il proprio Teatro con la propria compagnia, anche di soli 15 danzatori, i nostri poveri ragazzi non fanno che passare da una formazione all’altra. Quelli che riescono a formarsi sono costretti ad andare fuori per un vero contratto di lavoro. E comunque solo un paio di gambe non ti porteranno lontano, nella danza è la combinazione delle due cose che fa la grande differenza.

Attualmente in quale paese del mondo la danza è più florida in termini di offerte professionali?
Probabilmente in Europa, la Germania, ogni piccolo paese ha nel proprio teatro una piccola compagnia.

Qual è il più grande preconcetto che la danza si porta appresso?
Che la danza contemporanea sia un ripiego per il ballerino classico.

Qual è il tuo ideale di eleganza coreutica?
La danza classica è l’eleganza in assoluto, le linee, la leggerezza, la magia che si crea con i movimenti della danza classica che sono poi quelli che si studiano tutti i giorni a lezione, sono per me qualcosa di sacro che solo pochi hanno il privilegio di vivere. Io non mi sono mai sentita, né elegante (non lo sono neanche nella mia vita privata) e né leggera (anche se ho un aspetto fragile). Il tutù mi stringeva troppo, adoro guardare un balletto classico quando viene eseguito in maniera sublime, ma non sarei mai rimasta nel mondo della danza se avessi dovuto usare il mio materiale di studio come strumento di trasmissione. La danza non ha un ideale, la danza è un Arte così vasta e infinita che può raggiungere chiunque, dall’animo più elegante al barbone più trasandato.

Come hai vissuto e vivi la tua popolarità?
Ma io non solo popolare! Mi piace pensare di essere conosciuta.

Le tue scelte passate, presenti e forse future sono più dettate dal coraggio o dall’incoscienza?
Entrambe, ma forse più dall’incoscienza.

Hai avuto recentemente un incarico ad altissimo livello e cioè “coach al Prix de Lausanne”. Che esperienza è stata?
È stato bellissimo, mi ha permesso di rivedere tanti amici e incontrarne di nuovi. Poi mi ha permesso di far conoscere Mats ai più giovani. Penso che il Prix sia un’opportunità fantastica per i giovani danzatori.

Per concludere, cara Pompea, definisci a modo tuo la blasonata Arte della Danza?
La danza mi ha permesso di diventare una persona migliore, mi ha permesso di conoscermi così a fondo che non potrei fare a meno di me stessa. Questo è quello che auguro a chi ama la danza.

 

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

 

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