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PROSPETTIVE01 – Mauro De Candia: “l’emozione del gesto attraverso il movimento, la luce e la musica”

De Candia - foto Uwe Lewandowski

“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di raccogliere una serie di interviste e di articoli mirati a dar voce e spazio a tutte le fasce creative del mondo coreutico che costituiscono giovani realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi, o realtà già consolidate, di spiccato talento, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive

Mauro De Candia, classe 1981, muove i suoi primi passi di danza giovanissimo. A 10 anni viene notato a Verona da Marika Besobrasova, direttrice dell’Accademia Grace di Montecarlo, che da quel momento gli offrirà la possibilità di recarsi ogni estate presso la sua Scuola grazie a speciali borse di studio. Dopo due brevi parentesi alla Scuola della Scala di Milano e il Rudra di Bèjart a Losanna, nel 1998 entra a far parte dell’Accademia Grace di Montecarlo, ricevendo la borsa di studio John Gilpin dalla Principessa Antonietta. Nel 2001 lascia Montecarlo per stabilirsi in Germania divenendo prestissimo solista principale del Balletto di Hannover diretto da Stephan Thoss. In seguito si trasferisce a Berlino, in veste di coreografo ospite di importanti compagnie di danza. Nel 1997 fonda a Barletta Arte&BallettO, oggi una delle organizzazioni più vivaci e dinamiche nel panorama della danza italiana nell’ambito della formazione, promozione e distribuzione. Al suo interno prendono forma la Pneuma Dance Theater e il Giovane Balletto Mediterraneo. È direttore didattico del corso di alto orientamento professionale FormAzione Tersicore, dell’ApuliArteFestival e del Premio Internazionale ApuliArte, nonché supervisore di eventi e stage di formazione. Dal 2012 è direttore del Dipartimento Danza e della Compagnia del Teatro statale di Osnabrück in Germania.

Da agosto 2012 sei direttore del Dipartimento Danza e della Compagnia del Teatro Statale di Osnabrück in Germania, in sintesi il lavoro svolto in questi due anni da direttore?

Indubbiamente dirigere una compagnia di danza è altamente entusiasmante quanto faticoso. Entusiasmante perché la continuità quotidiana con i tuoi ballerini ti permette di poter approfondire il lavoro coreografico. Si instaura un rapporto di fiducia e comprensione che permette, in ogni produzione, di poter esplorare maggiormente. Questo è quasi impossibile da vivere quando sei un coreografo ospite. Benché le esperienze come ospite presso altre compagnie siano estremamente positive ed importanti per continuare a crescere. È altrettanto faticoso perché la continuità può cadere in routine. Quindi sono costantemente preso nel far sì che i miei artisti possano ricevere sempre nuovi impulsi, non soltanto col lavoro che fanno con me, ma anche con coreografi ospiti e attraverso una moltitudine di progetti vari, dalla serata giovani coreografi, a workshop vari e azioni culturali realizzati in città. Inoltre, e questo per me non è da sottovalutare, ho l’obbligo di far crescere il pubblico cittadino e non solo (visto che il nostro teatro è seguito da molte città limitrofe oltre ad avere spettatori che vengono anche da città lontane!) con la programmazione annuale. Insomma, se non sono in sala ballo per una nuova creazione, sono in ufficio a creare una programmazione teatrale.

La Germania è un Paese in cui avevi già lavorato tanto, lì ti senti in un certo senso a casa tua, artisticamente parlando?

Vivo in Germania dal 2001. Sono arrivato appena diciannovenne ed è qui che ho svolto la mia carriera d’interprete. Sicuramente quello che ho imparato e le possibilità che mi sono state date in Germania difficilmente le avrei potute vivere altrove. Col tempo ho imparato a sentirmi a casa anche qui. Nel momento in cui ho lasciato l’Italia e la mia terra natia, ho dovuto rivedere il concetto di “casa”.

Pur continuando molti dei tuoi progetti in Italia, hai sempre vissuto molto all’estero, senti la mancanza della tua terra?

La mancanza della mia terra la estrinseco proprio attraverso i miei progetti ed Arte&BallettO. Il giorno in cui nessuno di questi avesse più luogo, vorrebbe dire che avrei finito di sentirmi italiano. Spero questo non avvenga mai.

Parlando dell’Italia, quale cosa pensi potrebbe essere la chiave di volta per il nostro Paese in questa particolare congiuntura storica per poter ridare lustro e splendore all’arte tersicorea?

È molto difficile parlare di una chiave di svolta perché sono molti i livelli che interagiscono tra loro. È come una matassa ingarbugliata. C’è il nostro comportamento culturale “made in Italy” che è rimasto un po’ in dietro, benché vi siano realtà e vi sia la voglia di cambiare o, semplicemente, di aggiornarsi. Poi c’è questa mania di saper fare tutto. Oggi tutti organizzano tutto, da un concorso a un’audizione o hanno una compagnia junior. Ma abbiamo realmente nozione di tutto questo? Essere un buon insegnante è già una gran bella cosa. Come essere coreografo. Organizzare però un’audizione o un concorso di danza vuol dire essere un operatore culturale e, in quanto tale, bisogna capire quelle che sono le dinamiche insite in tale ruolo. Purtroppo – e questo è un mio pensiero che può e deve legittimamente anche non esser condiviso – molti si addentrano in tali ruoli dandosi “in pasto” a pseudo-personalità artistiche che tutto sono tranne che artistiche. Spesso, o per la maggior parte, si punta al nome e all’etichetta “di fama internazionale”. Ma il nome e l’etichetta non sono sinonimo di esperienza e competenza. Purtroppo oggi, con l’abuso spropositato di Internet, diventa anche difficile poter capire le reali competenze di questi personaggi. Costruirsi un sito internet è alla portata di tutti. E facebook è la prima piattaforma di autoglorificazione. Ma l’abito non fa il monaco!

Il tuo ultimo lavoro, che ha debuttato lo scorso febbrario ad Osnabrück, è stato “Brahms 1. – Reflection”, una scrittura coreografica della Prima Sinfonia di Brahms congiunta a ”Nymphea Reflection” della compositrice finlandese Kaija Saariaho, qual è stato il tuo approccio?

Brahms 1. – Reflection è senz’altro il lavoro più complesso che abbia fatto sino ad oggi. Non mi ero mai confrontato con una sinfonia, un’opus che a differenza di una musica composta per un balletto (come ad esempio Prokofiev per Romeo e Giulietta) è libera drammaturgicamente. Brahms vi ha impiegato diversi anni per comporla. Solo il primo movimento oltre 10. Quello che mi è “saltato agli occhi” all’inizio è stato il suo incredibile controllo nella composizione. C’è un rigore matematico, una struttura che muove la sinfonia che ritrovo molto simile al mio lavoro di coreografo. Ho voluto quindi tradurre in danza tutto questo concentrandomi sull’architettura coreografica di corpi costantemente in movimento in uno spazio dove la luce gioca un ruolo importante emotivamente. È stata un’esperienza fantastica da vivere quanto pesante. Ma aver avuto al mio fianco i miei danzatori e tutto il mio team mi ha aiutato a potermi mettere in gioco ed esplorare questo capitolo che non avrei mai potuto affrontare come coreografo ospite.

Sul piano stilistico credi nel cambiamento o piuttosto nel consolidamento?

Si parla, e penso si parlerà sempre, di cambiamento/innovazione e tradizione. Onestamente mi tengo fuori da tutto questo perché per me rappresenta solo un’etichetta. Il cambiamento è costante ed è vero nel momento in cui si è coscienti di quello che si fa. Certo, in quello che sto dicendo vi è un controsenso, perché l’arte è in primis emozione e quindi irrazionale. Ma tutti i Grandi che hanno fatto evolvere la danza sino ad oggi sono partiti – forse irrazionalmente – da qualcosa di razionale/cosciente. Se Forsythe non avesse fatto e vissuto le sue esperienze di danzatore a Stoccarda e non si fosse interessato alle teorie di Laban non penso che avrebbe mai potuto sviluppare quanto fatto sino ad oggi. Giusto per fare un esempio! Ciò che oggi conta è far sì che la danza non sia museale! E per far questo bisogna avere conoscenza della tradizione, di quello che è stato fatto sino ad oggi, e guardarla e viverla con gli occhi ed i corpi odierni. Solo così potremo continuare a crescere ed evolverci.

Cos’è l’innovazione per te?

Non saprei. E semmai un giorno sarò in grado di dare una risposta, vorrà dire che avrò terminato di far parte di questo meraviglioso mondo.

Dal tuo punto di vista coreografico, qual è l’aspetto comunicativo più importante e attraverso quale registro le tue opere si fanno portatrici di un messaggio? 

L’emozione del gesto attraverso il movimento, la luce e la musica.

E il tuo messaggio per la Danza?

Amare la danza non per affermare se stessi ma per condividere un pensiero con altri artisti e con il pubblico.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Foto © Uwe Lewandowski

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