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Un tuffo nel “Lago” della storia

Un tuffo nel “Lago” della storia

 

Interessante messa in scena che, poco dopo un anno dal debutto ritorna con successo, sul palcoscenico del Piermarini a conferma degli intenti del coreografo Alexei Ratmansky incentrati sul recupero e sull’integrazione del patrimonio storico.

Una serata con protagonista, oltre alla disciplina classica anche la relativa ricostruzione e corretta interpretazione delle intenzioni originarie. Un  viaggio che volge all’indietro nel tempo, collegando – tramite un minuzioso lavoro di studio sulle notazioni Stepanov ed altri documenti messi a disposizione da Sergey Konaev e dal Museo Teatrale di San Pietroburgo – le reali disposizioni di Petipa e Ivanov risalenti al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1895, grazie agli anelli assenti di una tradizione coreografica che si credeva ormai perduta.

In scena emergono fascinosi dettagli che consentono agli spettatori di comprendere la struttura del balletto così creato, in cui convivono l’equilibrio tra la danza e la pantomima, sviluppando e offrendo le impressioni di una differente tecnica stilistica.

La creazione ribadisce ed invita a riflettere sulle osservazioni coreografiche dell’epoca aprendo una strada già ben rodata negli ultimi anni. Vladimir Ivanovič Stepanov fu ballerino e maestro di danza russo, il quale ispirandosi ai principi della notazione musicale, mise a punto un suo personale sistema che pubblicò a Parigi in un libro intitolato “Alphabet des mouvements du corps humain. Un metodo che venne poi ufficializzato nei corsi di studi della scuola dei Balletti Imperiali per poi approdare, successivamente, anche al Teatro Bolshoi di Mosca.

Un ritorno alla massima tradizione che segna un deciso confine dove lo spettatore più attento si lascia trasportare nell’attrazione narrativa figurativa, facendosi assorbire dall’intramontabile storia tra peccato e purezza. Questo “lago” alimenta ulteriormente la leggenda di un mito, dentro ad un sogno, replicato milioni di volte a cui non ci si sottrae mai, nell’apoteosi dello stile classico, adorato da schiere di generazioni.

Ai più tale versione può apparire a sorpresa lasciando confluire un tema abbastanza ricorrente di questi tempi e cioè la ricerca della perfezione originale, con prospettive e risultati inattesi. L’indagine di Ratmansky mostra la via a come riprodurre un balletto in chiave filologica. Il ritrovare vecchie espressioni non toglie nulla al ritmo e all’incanto ma infonde un notevole charme “antico” all’opera immortale dove il principe Siegfried incontra un cigno, in realtà la principessa Odette, trasformata dall’incantesimo del mago Rothbart.

Nei ruoli principali, nella replica di martedì 18 luglio 2017, Martina Arduino ad interpretare Odette/Odile, accanto a lei Nicola Del Freo nel ruolo di Siegfried, e Mick Zeni nel ruolo di Rotbarth. L’allestimento andato in scena acquista una forza storica e culturale, mantenendo una dimensione onirica del tutto candida restituendo inserti sia musicali che coreografici di assoluta novità.

La Regina è Caroline Westcombe, Wolfgang è Andrea Pujatti, Benno è Marco Agostino, il Passo a tre Virna Toppi, Alessandra Vassallo, Marco Agostino; Quattro piccoli cigni Vittoria Valerio, Duygu Erkut, Jennifer Renaux, Marta Gerani; Quattro grandi cigni Francesca Podini, Virna Toppi, Alessandra Vassallo, Maria Celeste Losa; Due cigni Alessandra Vassallo, Virna Toppi; Danza spagnola Giulia Lunardi, Paola Giovenzana, Edoardo Caporaletti, Emanuele Cazzato; Coppia ungherese Marco Agostino, Maria Celeste Losa ed infine il restante Corpo di Ballo del Teatro alla Scala nei ruoli di Corte, Paesani, Cacciatori, Cigni, Invitati al ballo e lacchè.

La coppia Arduino/Del Freo incanta per la sinergia, lei è un’Odette delicata, eterea, drammaticamente dolente e per contraltare un’Odile sinuosa e seducente, impreziosita da una tecnica sicura, dall’interpretazione e personalità convincenti; lui è un Siegfried di intensa musicalità e predisposizione. Da segnalare lo svettante Marco Agostino nel ruolo di Benno.

Applausi per le variazioni in scena, le grandiose costruzioni geometriche, il delizioso passo a quattro dei cignetti (buono di gambe e sincronia delle teste) e lo struggente pas de deux.

L’allestimento di Ratmansky, coreograficamente complicato esige una maggiore cura sulla dolente forza espressiva e sul lavoro di piedi ed uso del collo con braccia convergenti che sviluppano un elegante port de bras appena accennato, attitudini totalmente recepite dall’intero Corpo di Ballo diretto con maestrìa da Frédéric Olivieri. Tale allestimento, può lasciare alcuni spettatori dell’oggi, di ardua decifrazione per una non abituale pratica formale, la quale è comunque risultata vincente dopo i lunghi e ripetuti applausi.

L’Accademia Teatro alla Scala è stata presente, dando valore aggiunto all’evento, con alcuni cigni-bambini impersonati dalle graziose allieve della Scuola di Ballo seguite dal maestro Maurizio Vanadia. Ha diretto l’Orchestra del Teatro alla Scala con mano sicura e competenza Michail Jurowski, specialista del repertorio russo, rifacendo suonare nella sala teatrale milanese per eccellenza, la prima versione della partitura di Cajkovskij più breve e con alcune differenze rispetto alle note versioni in un inedito tracciato sinfonico-drammatico. Atmosfera festosa e crepuscolare nell’allestimento (scene e costumi) in linea con la versione originale, firmato dal meticoloso Jérôme Kaplan e dalle coinvolgenti luci di Martin Gebhardt.

L’impatto visivo finale è esaltante fra il bianco/nero splendente dei tutù e l’aria tenue, la musica suggestiva, lo scenario fiabesco, le movenze così cariche di fluttuante “storia”.

Un’autentica magia da assaporare con curiosità, tra un presente alla ricerca di un passato ed una inedita radicale riforma per far riaffiorare integra la struttura e lo spirito primigenio.

 

Michele Olivieri

www.giornaldelladanza.com

Foto di Brescia e Amisano Teatro alla Scala

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