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L’estensione del gesto verso infinite direzioni

L'età dell'horror © Federico Ranieri

C’è una potente energia nell’ultimo lavoro di Riccardo Buscarini dal titolo L’età dell’Horror. Il riferimento centrale prende spunto ed avvio dall’Arte della fuga di J.S. Bach, un presagio autoritario del compositore da cui il coreografo trae originalità e potenza nella visione. Ad accogliere l’attesa creazione (in prima assoluta) il PimOff di Milano si è fatto luogo deputato per il concept, velato da soffi di intensa emotività, la quale si è riverberata negli elementi, la forza antenata di un misticismo che fuoriesce grazie ad una contemporaneità in cui l’aspetto più celato contiene il suo contrario e al contempo fonde sentimenti tra purezza e avversità. Il pubblico, intimamente, ha delimitato i confini nello spazio vitale dei danzatori Alberto Alonso e Joahn Volmar (straordinari per ineguagliabile profondità) contenendo e non lasciando disperdere una robustezza illimitabile.

Questo lavoro, in evoluzione, appare come il contenuto esatto della ricerca introspettiva sulla realtà umana tanto da trasformarsi in una sorta di autoanalisi. Gli esecutori in scena, godono di ampia nitidezza, lasciando scorrere tra intrecci, sudore, fatica, incastri, pulsazioni i tanti enigmi della trascendenza, sempre colmi di una consapevolezza che non viene mai meno, neppure durante l’enigmatico finale, delineando così un microcosmo dove l’oscurità si rivela allo sguardo rapito dello spettatore. Esiste dunque una inequivocabile vigoria nella performance, nel risveglio di percezioni sopite, le quali lottano sotto la soglia della coscienza, lasciando la loro impronta in un tacito atto liberatorio “di coppia” per vincere la presenza o il pensiero di pericoli reali ed immaginari.

Sensi che spingono ad una colta meditazione artistica riflettendo pienamente sui contenuti oscuri dell’esistenza. Uno stile che vuole essere forma, quindi, ma anche messaggio, nel delineare l’identità e la cifra stilistica cogliendo ogni frammentaria sfumatura della “movenza” e dello “sguardo”. L’essenziale suggestivo allestimento (luci di Beatrice Rocchi, costumi di Riccardo Buscarini, realizzati da Ludivina Prol), pone in risalto la serialità del progetto, irradiando lo spazio compreso sui volti dei due interpreti – ravvicinati e per lo più paralleli – intenti a ritrovare quanto andato perduto in un palpitante conto alla rovescia.

Buscarini coreografo appare sempre più “esploratore del movimento”, creando un assoluto equilibrio armonico di forme, proporzioni ed opposizioni, sfogliando così un’inedita etimologia tersicorea. La sua danza è un risveglio per essere restituiti, a fine spettacolo, a nuova vita chiedendo ai ballerini figure al limite, lasciando in eredità immagini dove le torsioni del corpo e dell’interiorità si fondono costantemente in un abbraccio di mani a volte voluto, a volte rubato, a volte desiderato.

Un modo per marchiare l’emozionalità della dipendenza ma anche della ribellione, del grido e della passione, donando un’ora di sublime “arte”, sull’incomprensibilità della paura e dell’accettazione nella capacità di porre in primo piano le grandi questioni della vita. Una gestualità ampia – che richiede potenza e contorsione – caratterizzata da improvvise perdite di equilibrio continuamente recuperate, brevi corse, cadute incorniciate di candida sensualità. Riccardo Buscarini con il suo “canto danzato” è voce autorevole nel celebrare la “bellezza” mediante un rinascimento culturale, estendendo il possibile gesto verso infinite direzioni!

Un flusso in entrata e in uscita portato in scena come fosse una bilancia dove l’esito non è mai scontato e la chiusura può risultare un pareggio in attivo o in passivo tra poetiche traslazioni ed interessanti rotazioni con un lungo distacco finale. Lo sgretolamento tra i due uomini anima l’intera produzione, giocata sulla polarità tra lo stare insieme e il conclusivo dividersi che rimanda ad uno specchio tra due identità diverse o forse ad un’unica identità che si specchia in sé stessa…

Gentilmente il Professor Alessandro Pontremoli, presente in teatro, mi ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Questo concept è estremamente interessante dal punto di vista della composizione coreografica, mi è piaciuto davvero molto perché il lavoro di Buscarini è analogo a quello di Bach, non è facile in quanto ti tremano le vene ai polsi però la sfida è riuscita, trovo che il coreografo abbia lavorato sulla costrizione delle due mani esattamente come Bach lavorava sulla costrizione del contrappunto che risulta essere una tecnica estremamente costrittiva. Il compositore tedesco ha fatto del “contrappunto” un capolavoro assoluto e il coreografo piacentino lavorando con la costrizione ha saputo dare vita ad un vocabolario interessante con i ritorni analoghi al processo creativo di Bach senza essere per niente didascalico… “L’età dell’horror” è una piccola cattedrale!”

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

Foto di Federico Ranieri

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