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Emozioni, ricordi, personaggi e coreografi: intervista a Silvia Azzoni

Silvia Azzoni 1

Silvia Azzoni è nata a Torino, città in cui ha studiato danza alla “Baletna Skola” e in seguito presso la “Scuola del Balletto di Amburgo” con gli insegnanti Dragica Zach, Marianne Kruuse, Ilse Wiedmann e Kevin Haigen. Nel 1993 entra a far parte del “Balletto di Amburgo”, nel 1996 viene nominata Solista e nel 2001 Prima Ballerina. Il suo repertorio include i ruoli principali in balletti creati da John Neumeier: Pallas Athena and Nausikaa (Odyssey), Chloe (Daphnis and Chloe), Ballerina (Petrushka), Helena (Sogno di una notte di mezza estate), Marguerite e Manon Lescaut (La Signora delle Camelie), Giulietta (Romeo e Giulietta), Aurora, La fata buona e la Principessa Florine (La Bella addormentata), Marie, (Lo Schiaccianoci), Cenerentola e una Sorellastra (A Cinderella Story), Giselle, Elaine (La Saga di re Artù), Rosalind (Come vi piace), Romola Nijinsky (Nijinsky), Constanze Weber (Windows on Mozart) e Nina Saretschnaja (Il gabbiano), Préludes CV, Morte a Venezia, il Messia, Nocturnes da “Songs of the Night”, Winterreise e Oratorio di Natale. Il suo repertorio include anche i ruoli nei balletti di Frederick Ashton, George Balanchine, Mats Ek, Christopher Wheeldon e Jiri Bubenicek. Come ballerina ospite si è esibita a Monaco di Baviera, Mosca, Milano, Tokyo, Varsavia, Vienna, Cremona, Verona, Macerata, Taormina, New York e Australia. Silvia Azzoni ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Dr. Wilhhelm-Oberdörffer-Prize, il Premio Danza&Danza come miglior danzatrice italiana all’estero e il Rolf de Maré Prize. Nel 2008 ha ricevuto l’ambito “Premio Benois de la Danse” per il suo ruolo principale in “The Little Mermaid”. È sposata con Alexandre Riabko, celebre danseur.

Gentile Silvia, tu arrivi da Vinovo in Piemonte. Come hai scoperto la danza e dove hai iniziato i tuoi primissimi studi?
Ho iniziato perché tutte le mie amichette frequentavano un corso di danza/ginnastica e mia mamma pensò che potesse farmi bene intraprendere una disciplina, qualunque essa fosse. Due anni dopo, ad un saggio di quella piccola scuola, la mamma di una bimba nostra vicina di casa, disse a mia madre che vedeva del talento in me e che forse sarebbe stata una buona idea mandarmi, con sua figlia, in una scuola maggiormente grande a Torino dove una ex ballerina di Belgrado insegnava a piccoli e grandi! E così iniziai alla “Baletna Skola” diretta da Dragica Zach!

Che ricordi conservi, bene appunto, del periodo trascorso alla Baletna Skola e in particolare di Dragica Zach?
Con Dragica si è subito instaurato un rapporto molto forte, lei vedeva in me il futuro ed io in lei la mia guida. Mi insegnò tantissimo: disciplina, musicalità e ad imparare non solo passi di danza ma coreografie. La cosa più importante che è riuscita a trasmettermi è stato il sognare e sapere che con il duro lavoro si ottiene quello che si desidera!

Dopo due prestigiose audizioni a Colonia e Amburgo hai optato per la seconda. Cosa rendeva così speciale ai tuoi occhi questa Scuola di Ballo?
Sempre Dragica vide che dopo alcuni anni lì nella sua scuola ero limitata e mi spinse a sostenere l’audizione all’estero dove intravvedeva una più grande possibilità di lavoro rispetto all’Italia. Amburgo colpì subito la mia attenzione e quella di mia mamma… un edificio molto grande con nove sale da ballo, un internato e soprattutto la compagnia al lavoro nello stesso palazzo. Arte e danza dal mattino alla sera. Naturalmente scelsi questa strada!!

Insieme a te c’erano anche Valentina Scaglia e Jacopo Munari, altri due danzatori che hanno reso onore alla danza italiana nel mondo. Vi siete più rincontrati?

Non solo loro ma Alessandro Tiburzi e Annarita Bernardini erano per me come la mia famiglia italiana lì in quel paese freddo e lontano! Ci incontravamo spesso e cucinavamo insieme piattini prelibati e guardavamo film italiani… per non scordarci la lingua e la nostra terra. Mi sono stati di grande aiuto nei momenti di sconforto e in quelli di successo. Tifavano tutti per me! “La piccola Silvia di Torino che ha tanto talento e disciplina!” Con Jacopo ci incrociamo ogni tanto in Italia quando porto i miei Azzoni&Friends e lui aiuta con le luci e sul palco, ma Valentina purtroppo è da molto che non la incontro!

Tu sei un validissimo esempio per tanti allievi di come una “ballerina italiana” trovi successo e notorietà in una compagnia estera. Che tipo di scuola è quella amburghese e cosa ti porterai sempre con te di quegli anni di studio in Germania?
È triste ancora vedere come giovani talenti debbano lasciare un paese bello come il nostro, per trovare inspirazione, ma soprattutto lavoro. Anch’io come tanti ho dovuto cercare altrove. Abbiamo bisogno di più scuole sullo stile dell’Accademia di Amburgo o come quelle di Amsterdam, Parigi, Monaco, Montecarlo… Realtà didattiche dove non solo si studia la danza classica ma anche passo a due, folclore, moderno, coreografie, anatomia e musica! Un insegnamento completo come nei grandi conservatori russi, un esempio bellissimo di un’educazione completa.

Poi è arrivato l’ingresso all’Hamburg Ballett, ti ricordi in quale prima produzione ti sei cimentata al fianco della Compagnia?
La mia prima produzione è stata mentre ancora ero nella scuola e dovetti ballare il Valzer dei fiori con la compagnia. Era Natale e tutti i miei compagni tornavano dalle loro famiglie, ma io e un’altra ragazza eravamo state scelte per partecipare agli spettacoli… Ero felicissima! Non solo ballavo nelle file del Corpo di ballo ma ero il primo fiore che usciva dalle quinte.

Qual è stata poi la grande occasione che ti ha condotto a diventare Solista?
Penso che ci siano stati dei momenti decisivi nel primo anno in compagnia… Ad iniziare da quando uno dei miei colleghi mi scelse per eseguire il suo pezzo nella serata “giovani coreografi”. Dopo quello spettacolo John Neumeier mi diede il primo ruolo da solista in “Now and Then” un balletto su musiche di Ravel creato per il “National Ballet of Canada”, poi la decisione di Mats Ek quando nel mio primo anno in compagnia mi scelse per entrare nel secondo cast di Aurora nella creazione della “Bella Addormentata”, una decisione da parte sua convintissima: io molto meno! Il ruolo era enorme con uno stile che io non avevo neanche mai visto. Mi buttai nelle prove e mi divertii moltissimo, perché comunque mi avevano detto che avrei ballato la stagione dopo… Purtroppo alla prova generale Bettina Beckmann, la ballerina che creava Aurora, si ruppe il legamento crociato… Oddio! Mi venne da svenire!! Con punture e pomate lei riuscì a danzare la serata di apertura, il giorno dopo però non camminava più e così senza prove toccò a me interpretare Aurora! Un’esperienza unica dover imparare e danzare un balletto così duro in un solo giorno… L’adrenalina, la voglia ma anche la paura di non farcela hanno reso quel momento unico!! Fu un successo e ne ballai tante altre recite dopo di quella! In seguito John iniziò ad affidarmi tante parti: Marie nello “Schiaccianoci”, Giulietta, Helena in “Sogno di una notte di mezza estate”, un ruolo nella passione di Matteo… E così a luglio del 1996 al Teatro Carlo Felice di Genova venni promossa Solista!

Quali sono i ruoli che hai prediletto maggiormente nella tua carriera fino ad oggi?
Di ruoli ne ho sostenuti tanti e parecchi di loro mi sono molto vicini e cari… La più importante penso sia comunque la “Sirenetta” la quale sento proprio sotto la pelle! Margherite nella “Dama delle camelie”. Blanche in un “Treno che si chiama desiderio”. Hippolita in “Sogno”. Alma Mahler in “Purgatorio”. Eleonora Duse in “Duse”. Vivette in “Arlesienne”. Giulietta. Nina nel “Gabbiano”. Sono tutte donne e ragazze forti e determinate, purtroppo con un destino comune molto tragico… questo è  ciò che le rende interessanti e complicate da indossare e in cui trasformarsi, ma è proprio la difficoltà che mi attira e le rende uniche l’una dall’altra.

I momenti più importanti ed emozionanti, che hanno determinato una svolta nella tua vita professionale, quali reputi siano?
Come ho detto prima sicuramente il primo spettacolo dell’Aurora di Mats Ek. Poi dopo il mio infortunio del 1997 fino al 1998 dove ho subìto due interventi al piede, il duro ritorno in cui per mesi ho danzato nel corpo di ballo sostenendo una scaletta molto più veloce quasi come agli inizi; John mi affidò l’Angelo nella Terza sinfonia di Gustav Mahler con Maximiliano Guerra! Lui una star mondiale… io una piccola Solista dell’Hamburg Ballet! È stato magnifico lavorare con John e lui ispirato cambiava la coreografia per me e Max! Mi sentivo rinata e percepivo che quella musica celestiale mi trasportava ogni giorno in un mondo diverso: un mondo senza infortuni e dolori. Non potevo crederci, dopo tanto tempo passato in vari ospedali e con le stampelle!

A tuo avviso in cosa consistono, per tua esperienza diretta, le differenze tra la danza in Italia e all’estero?
Penso che sia un problema di interessi, comunicazione e soprattutto educazione! Posso parlare della Germania dove vivo ormai da venticinque anni. I genitori portano i bambini piccoli a concerti di musica classica, balletti, teatro… E così già da un’età precoce si entra naturalmente nel mondo dell’Arte. Per danza non intendo i balletti della televisione ma la vera danza classica o moderna che si vede solo a teatro, e se si comincia presto è normale che per ragazzi giovani invece di andare solo ad un concerto di musica pop o in discoteca vadino anche ad assistere a un balletto o a sentire un concerto sinfonico. I tedeschi amano la cultura e l’arte e sono aperti ed interessati a tutto. Questa penso sia la differenza di fondo.

Qual è l’arte che ami maggiormente dopo la danza?
Rimpiango non aver imparato a suonare il pianoforte e a cantare musica classica. Penso che siano dei regali straordinari saper interpretare un’aria di Puccini o di Mahler o sedersi ed improvvisare al pianoforte!! Un dono incredibile.

La danza classica è sempre stata vista come un’arte per l’élite. Cosa ne pensi a riguardo?
In Germania o in Russia no!! Tutti vanno a teatro. Dai ricchi ai poveri ed è questo l’incredibile! L’interesse appartiene a tutti i ceti sociali. Da noi in Italia rimane ancora un evento mondano! Ho amici che ogni tanto mi dicono: “Sai sono andato alla Scala a vedere Roberto Bolle o la Zakharova” o un’altra stella della danza “era magnifico!” Poi chiedo cosa hanno visto: “Oh non mi ricordo. Avevano il tutù”. Che tristezza… non si può andare a teatro solo per vedere una star che hai visto magari in una pubblicità o in un giornale e nemmeno sapere cosa sta interpretando… Sono tutti ballerini meravigliosi ma bisogna anche degnarli di un interesse più profondo e culturalmente preparato!

Quale metodo di danza classica hai seguito o amato maggiormente?
Sono cresciuta imparando con Dragica Zach una sorta di metodo russo, poi ad Amburgo sono stata confrontata con la tecnica danese da Marianne Kruuse e il metodo americano con Kevin Haigen e Gisele Roberge. Quando poi sono entrata in Compagnia per anni ho studiato puro metodo Vaganova con Irina Jacobson. Devo dire che si impara tanto da tutti ed è un dono aver potuto studiare e tastare i diversi sistemi. La velocità dagli americani, i port de bras e la tecnica dai russi, i piccoli salti dai danesi. Penso che questo pot-pourri mi abbia anche aiutato ad affrontare i diversi coreografi con cui ho lavorato in tutti questi anni.

Quali sono state le grandi difficoltà che hai incontrato all’inizio della carriera?
Penso che innanzi tutto il salto da una scuola alla compagnia sia non solo uno choc fisico ma soprattutto mentale, per me è stato durissimo. A scuola ero seguitissima, ogni esercizio era sacro e doveva eseguirsi alla perfezione, nel saggio finale ballavo da solista; poi membro del corpo di ballo!! Lasciata sola, la classe era sì importante ma dovevi prenderti tu la responsabilità di conoscere e sapere i tuoi sbagli e correggerli… mi sentivo in balìa di una tempesta!

Secondo te, a quali criteri corrispondono le qualità indispensabili richieste a un giovane per entrare in un’Accademia?
Sono molto importanti le doti fisiche, gambe lunghe, l’andehor. Flessibilità del corpo e poi la musicalità! Anni fa si guardava e cercava più l’elemento particolare, una personalità che staccava certo con alcune doti di sicuro; ma i gusti sono cambiati, tutti vogliono vedere ballerini che fanno otto giri e salti circensi e che siano belli come modelli! Trovo che si sia persa l’originalità e l’artisticità in questo senso.

È importante calcare il palcoscenico nel periodo della formazione?
Penso che sia importantissimo perché ti infonde confidenza, donandoti la possibilità di portare ad un livello professionale cosa impari e pratichi tutti i giorni. Ti forgia per una vera vita da ballerino… le prove e le classi sono una preparazione! Il vero scopo è lo spettacolo!

Un talento lo si riconosce subito oppure può sbocciare anche avanti nel corso degli studi?
Credo che già dall’inizio bisogna vedere un qualcosa nell’individuo. Ci sono ragazzi fisicamente meno dotati ma che quando ballano ti raccontano una storia, sono musicali e capiscono la naturalezza sul palco. Devi comunque possedere delle doti coreutiche che ti permettono di eseguire la tecnica.

Non pensi mai a un tuo domani in qualche Compagnia italiana di danza?
Mi piacerebbe tornare in Italia dopo tanti anni all’estero. Ho imparato molto e ho ballato tutti i ruoli più grandi nel repertorio internazionale, mi sento di poter portare un bel bagaglio di ispirazione, ma prima dovrò conoscere le regole e le restrizioni dei teatri italiani, regole che noi all’estero non conosciamo. In Germania si lavora ore senza pensare alle pause o ai diritti che uno ha o non ha! I sindacati tedeschi non seguono la nostra giornata ora per ora e gli scioperi non esistono se non c’è un enorme problema da considerare. Ci dedichiamo più all’arte senza pensare a quanto lavoriamo… se si deve lavorare di domenica andiamo in studio e si lavora, se si deve rimanere mezz’ora in più alla fine della giornata… si rimane! In Italia questo non potrò farlo e questa sarà la grande sfida!

Cosa ti ha colpito e cosa ti ha insegnato in particolar modo John Neumeier?
L’importanza del trasmettere e dell’essere vero sul palco! Più si è trasparenti e autentici con se stessi più si riesce a portare la verità nei ruoli che interpreti.

Che tipo di direttore è?
È una persona estremamente dedicata al suo lavoro, con visioni e idee molto umane per i suoi balletti. La persona privata non la conosciamo, si tiene molto distante dai suoi ballerini e così per noi è una relazione abbastanza professionale anche dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco.

Quali produzioni ha creato appositamente per te?
Non ha mai creato un grande balletto per me, piccoli ruoli qui e là come una coppia nel Nocturne di Chopin, Sarah Bernhardt in Duse, l’Angelo nell’Oratorio di Natale. Ruoli sì importanti ma mai un balletto per me.

Mentre con Christopher Wheeldon quale creatività hai riscontrato?
Chris è una bomba di energia… giovane, inglese con un tocco di americano. Ho come primo incontro studiato un suo passo a due “Mercurial manouvres” un duetto su musica di Schostakovich. Lirico, musicale, con una bellezza poetica! Poi la creazione di VIII dove con tre ragazzi abbiamo creato un divertissment. Ci siamo divertiti dal momento in cui iniziavamo le prove fino all’ultimo minuto! Challenging, positivo ed estremamente energetico. Una persona molto carica e con un amore per il movimento infinito.

Tra i tuoi partner ricordiamo Januz Mason ma soprattutto Alexander Riabko che è diventato in seguito tuo marito. Cosa lo ha reso speciale ai tuoi occhi sia in palcoscenico che nella vita privata?
Januz è stato il mio primo grande partner… lui già primo ballerino e io la nuova piccola arrivata! Mi ha aiutato a migliorare tecnicamente, mi ha dato la confidenza per affrontare i miei primi duri ruoli: Aurora, Giulietta, la visionaria nella passione di Matteo. E lui è sempre rimasto umile e generoso. Poi nel 1997 decise di smettere di ballare, io ero infortunata e così persi la possibilità di dargli l’addio sul palco! Ero triste, sola e consapevole di aver perso il mio match! Per fortuna due anni dopo John iniziò ad accoppiarmi con Sascha e subito capii che avevo trovato il mio partner ideale non solo sul palco ma anche nella vita! È un ballerino estremamente musicale che quasi sembra cantare o suonare la musica su cui danza, è un perfezionista come me ma anche lui interessato alla qualità e non alla quantità! In tutti i teatri del mondo lo apprezzano e adorano e io posso solo essere felice e orgogliosa di essere sua moglie!

Sei stata ospite in varie realtà internazionali come al Queensland Ballett, a Monaco di Baviera, all’Opera di Varsavia e al prestigiosissimo Royal Ballet di Londra. Dove ti sei sentita particolarmente emozionata e perché?

Dappertutto… Sono state esperienze uniche ed emozionanti! Naturalmente al Royal Ballet è stato un momento molto importante. Un ruolo meraviglioso quello di Nikiya, tecnico, lirico allo stesso tempo, assai drammatico e sapere che la Makarova mi aveva scelto non solo per Amburgo ma come ospite a Londra è stato incredibile. Ho ballato con Ivan Putrov che combinazione come mio marito è ukraino e della stessa sua scuola e quindi mi sentivo perfettamente a mio agio al suo fianco, abbiamo lavorato con la mitica Leslie Collier che ci ha regalato dei momenti bellissimi nello studio e con Jonathan Cope il quale ci ha levigato subito prima dello spettacolo… Il giorno antecedente ero nervosissima. Non riuscivo a smettere di pensare che avrei ballato al Covent Garden di Londra! Notte insonne e febbre a 38! Il giorno dello spettacolo sono entrata a Teatro ancora febbricitante e con una strana sensazione di assenza; come se il mio corpo non fosse lì. Poi il sipario… Una calma dentro di me ha iniziato ad effondersi e mi sono goduta tutte le due ore e mezza senza esitazioni. È stato magico!!

L’incontro con Natalia Makarova per la produzione di Nikyia in Bayadere come ti ha arricchita?
Natalia è la mia ballerina preferita in assoluto! Versatile, emozionante. Con una classe unica al mondo! Ogni volta che mi avvicino ad un ruolo penso sempre come lo avrebbe potuto rendere Natalia elegante e vero! Lavorare con lei è pura ispirazione… Osservare le sue braccia, i suoi port de bras, i suoi movimenti sinuosi e musicali ti portano a migliorare te stessa e a percepire la fisicità in un altro emisfero! È severa, ma dolce al contempo…

Hai avuto la fortuna di dividere il palcoscenico con Roberto Bolle, Alessandra Ferri, Denis Matvienko, Manuel Legris partecipando anche a rinomati festival internazionali. Chi è il danzatore e la danzatrice che ti hanno stupita?
Sicuramente Alessandra! Non solo una ballerina fenomenale ma un’attrice nata. Una ballerina da guardare e amare in ogni secondo dello spettacolo, la sua naturalezza la porta ad essere totalmente istintiva nei pezzi che danza e quindi a un abbandono, inusuale in una danzatrice.

Con l’étoile Massimo Murru com’è stato l’impatto e quale empatia scenica si era creata?
Massimo è una persona dolcissima ed è stato perfetto averlo come Romeo! È delicato, ma forte di emozioni e per me un Romeo molto diverso dai nostri ballerini di Amburgo e quindi anche un modo di interpretare, per lui e di conseguenza per me, il balletto! È un vero peccato che non abbiamo avuto più opportunità di ballare insieme.

Tra tutti i grandi della danza del passato con chi ti sarebbe piaciuto danzare o essere diretta?
Mi sarebbe piaciuto tanto vivere alcuni momenti con Rudolf Nureyev. Ho sentito tanto su di lui ma sarebbe stato un arricchimento trascorrere ore di prove anche solo ad osservarlo. Ho saputo che era una persona molto difficile, ma mi sarebbe piaciuto lavorare con Robbins: ho ballato “The Concert” e “Dances at the Gathering”. Ma sicuramente studiare al fianco del creatore rende il balletto certamente più profondo! Ed infine mi sarebbe garbato essere in sala con John Cranko. Ho ballato “Tatiana” ma purtroppo la preparazione del ruolo è stata assai superficiale. Non solo è interessante danzare un ruolo ma è il cammino verso l’incognito e la trasformazione che lo rende unico!

Ti ricordi la prima volta che sei “salita in punta”? Come vivi il tuo rapporto con le scarpette, indispensabile strumento di lavoro ma anche fonte di sofferenza?
Be’ come tutte le piccole ballerine l’inizio è stato doloroso e con vesciche e calli in formazione. Emozionante perché si è già consce che si è ad un passo dalla professionalità! Ora sono parte del mio corpo e del mio quotidiano mediante il mio essere!

Secondo la tua opinione da addetta ai lavori, qual è la dote che non può mancare ad una ballerina?
Naturalmente la passione non deve mancare perché non è un lavoro solo tecnico ma l’anima deve esserci al 100%! Penso che le doti fisiche siano essenziali ma cosa distingue una ballerina speciale da tante altre è la ricchezza interiore che la rende vera e umile sul palcoscenico!

Ti piace vivere ad Amburgo e che tipo di pubblico è quello tedesco per il balletto e la danza?
Adorerei Amburgo se non fosse per il clima… è una città elegante con molto verde e una sorta di metropoli in miniatura. Purtroppo la pioggia che persiste per mesi e mesi e il grigiore la rendono un po’ triste! Il pubblico è molto aperto ed interessato a tutto. Abbiamo 100-110 spettacoli a stagione e sono quasi tutti esauriti… è bello vedere che la gente si entusiasma a venire a teatro ed è pronta ad assorbire nuove emozioni e nuove storie. È quello che manca ancora in Italia… l’esperienza personale non mondana!

Qual è il tuo rapporto con gli altri componenti della Compagnia?
Sono anni e anni che sono ad Amburgo e ho visto venire e partire tanti ballerini. Molti di loro cari amici con cui non solo avevo un rapporto professionale ma erano come parte della mia famiglia. Siamo tutti abbastanza armonici tra di noi e visto che sono una delle ballerine più in età, sono considerata una consigliera e una mamma per alcuni di loro!

Tra i tanti premi ricevuti forse quello più prestigioso è il “Premio Benois de la Danse”. Cosa ricordi di quella giornata?
Ricordo ancora adesso la reception dell’albergo a Vienna, dove su un computer per clienti, trovai la mail di Nina Loory: la direttrice del Premio Benois! È stata una sorpresa veramente non aspettata e che mi riempì il cuore di adrenalina e gioia! Mesi dopo sono poi partita per Mosca dove il tutto mi sembrava un sogno… Il mio caro amico Marcelo Gomes dell’ABT era lì anche lui e anche lui come me nominato! Mi ricordo che mi disse che voleva proprio vincerlo il premio; io ero già contenta così, essere nominata, essere stata apprezzata fino a quel punto era una vincita! Durante la cerimonia, Sergey Filin, entrò sul palcoscenico ad annunciare la miglior ballerina: io ero distratta guardando il palco del Bolschoi e a vedere quante centinaia di persone assistevano alla cerimonia e… Tamara Rojo mi disse “Silvia hanno chiamato te… hai vinto”. Io non avevo capito perché Sergey parlava in russo e così lo guardai con un punto interrogativo e lui mi fece cenno di andargli incontro… ecco che ricevetti così l’Oscar della danza!

Oggi si può dire che hai coronato il tuo sogno divenendo una danzatrice di grande spessore a livello internazionale. Come vivi la tua popolarità?
Molto semplicemente… Penso che sia importante tenere i piedi in terra ed essere grati di tutto quello che ti riserva la vita. Non sopporto la gente che diventa famosa e all’improvviso cambia e diventa irrispettosa e ingrata verso gli altri! Alla fine della giornata siamo tutti umani e tutti uguali… non bisogna dimenticarselo!

Per concludere, cara Silvia, l’essenza dell’arte della danza come si può riassumere in poche parole?
Oddio non sono una poetessa e penso sia difficile esprimerla in parole… forse posso ballartelo?

Michele Olivieri
www.giornaledelladanza.com

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