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Victor Litvinov, un percorso da maestro

Parlami di te dall’inizio della tua esperienza con la danza

Questo risale a molto tempo fa. Ero un bambino molto vivace, entravo in casa dalla finestra e facevo tante cose che fanno i ragazzi di strada. Mia madre aveva paura che prendessi una brutta strada e così decise di mandarmi a studiare danza. Dopo aver conosciuto una famiglia in cui c’era una bambino molto educato e corretto che studiava danza, mi disse: «voglio questo» e mi iscrisse a scuola di danza. Così mi ritrovai nel ‘64 all’Accademia di Kiev. Era l’accademia nazionale di danza e, all’epoca, avendo pochi elementi maschili, aveva fatto una grande pubblicità per coinvolgere giovani ballerini. Alle audizioni eravamo migliaia e un giovanissimo maestro scelse solo sette ragazzi, tra cui me. Ricordo che ci disse: «bambini, credo che diventerete i più grandi ballerini del mondo, ma da questo momento dovete credere in me» e noi ci abbiamo creduto.

 E quando tua madre ti ha spinto a studiare danza qual è stato il tuo primo approccio?

Sentivo la danza, sentivo di esservi portato, perché tutti notavano le mie doti fisiche, anche gli altri ballerini o i ragazzi della scuola e del teatro più grandi di me. Questo mi faceva sentire bene, ma ero come un lupo, sempre guardingo, ricordo che un giorno correvo in corridoio e la mia maestra mi fermò e, toccandomi la fronte, mi disse: «rilassati, perché la danza è bella». Così, piano piano, mi sono innamorato di quest’arte e a 12 anni già sapevo cosa volevo fare della mia vita.

 E quando sei venuto via dalla Russia?

All’epoca ero solista al Teatro di Odessa ed ero sposato con una donna ebrea. Lei mi diceva che un giorno avrebbe voluto lasciare la Russia, me lo ripeteva sempre. Io all’inizio pensavo scherzasse e non ci pensavo proprio, poi ci furono problemi in teatro col cambio di direzione artistica e, poiché  la sorella di mia moglie era uscita dalla Russia, mi avevano bloccato il visto per le tournée. Ero riuscito qualche volta ad andare a Parigi, in Iran, Iraq, Bulgaria e Cecoslovacchia, ma dopo mi bloccarono il visto ed eliminarono dal repertorio molte opere di un coreografo che era stato mio maestro ed aveva montato due balletti per me. C’erano conflitti in direzione, così, ad un certo punto, decisi di andare via.

Sono arrivato prima in Italia e poi ho deciso di andare in Canada.

 E com’è stato il Canada per te?        

Il Canada è un paese bellissimo, però per me c’era troppa neve, anche se vengo dalla Russia. A Montreal c’era sempre troppa neve. Prima del Canada, in attesa dei documenti, sono stato in Italia per un anno. Per caso, un giorno, al mercato di Porta Portese, conobbi una bambina che comprava delle scarpe. Le chiesi l’indirizzo di qualche scuola di danza o di qualche teatro e fui indirizzato verso l’accademia. Ci andai e chiesi alla signora Pensi il permesso di studiare, però quando finivano le lezioni sentivo il bisogno di lavorare ancora, allora restavo da solo in sala a studiare. Il maestro mi guardava, però io non parlavo né italiano, né francese, né inglese, parlavo solo russo ed era difficile comunicare, ma, dopo tre giorni, mi fissò un appuntamento col direttore del teatro, che all’epoca era André Prokovski, che mi propose subito di insegnare. Feci una prova e a lui piacque, mi disse però che la mia lezione era troppo pesante e mi chiese di farne una più leggera. Tornato a casa, ho ripetuto quella lezione migliaia di volte, però il giorno dopo, quando sono entrato in sala ed ho visto settanta ballerini davanti a me che mi guardavano con la tensione negli occhi, ho perso tutto quello che avevo preparato e ho improvvisato. Finita la lezione, siamo andati a firmare il contratto e, quando il direttore artistico del teatro mi ha chiesto: «ti va bene uno stipendio di 1.200.000 lire?», io sono letteralmente svenuto, perché aspiravo a guadagnare massimo 50.000 delle vecchie lire e pensavo che sarei stato ricchissimo se fossi riuscito a guadagnarne 100.000. La cifra che mi avevano offerto mi sembrava davvero esagerata. Noi in Russia per comprare una macchina spendiamo tutta una vita di risparmi e io in Italia, con lo stipendio di un solo mese di lavoro, ho potuto acquistare un’auto, usata, ma pur sempre la mia auto!

 Le principali compagnie con cui hai lavorato?

In Italia ho lavorato con tanti teatri, però la mia storia è legata al nome di Renato Greco. Quando stavo a Roma ho sempre collaborato con la sua scuola e con la compagnia. Altre compagnie più importanti per cui ho lavorato sono state l’Aterballetto, il Balletto di Toscana e il National Ballet of Canada, con Erik Bruhn.

 Per queste compagnie lavoravi solo come maître de ballet o anche come ballerino?

Ho sempre lavorato solo come maestro di danza. Insegnavo, davo lezione e poi tenevo anche prove. Con un’unica compagnia, Les Grans Ballets Canadiens, ho lavorato anche come ballerino in Schiaccianoci, però era nel ‘78, dunque 32 anni fa.

 Hai formato tanti danzatori, dimmi cosa hai cercato di trasmettere loro?

Innanzitutto mi piace la danza maschile, la danza tecnica, perché io avevo questa tecnica da giovane e ho sempre voluto trasmettere la forza maschile della danza. Nel ‘69, quando ancora studiavo in accademia in Russia, vinsi un concorso, ricevendo il primo premio a Mosca. Poi ho formato anche quattro allievi che hanno vinto sempre primi premi in concorsi internazionali, Stephen Legate, Pierre Quinn in Canada; Eugenio Buratti e  Fabrizio Bartoli in Italia. Non è che non mi piacciano le donne, mi piacciono tantissimo, ma sono più portato a trasmettere la danza maschile.

Secondo te qual è l’orientamento dei danzatori di oggi?

Oggi come oggi ci sono tantissimi ballerini bravi, ma in Italia c’è poco lavoro. Ricordo che negli anni fra il 1977 e il 1985 c’erano tantissime compagnie e riuscivano a ballare tutti. Ballavano 200 persone in televisione, ogni giorno avevo a lezione almeno 70 allievi, le mie classi erano sempre piene. Roma mi sembrava una città in cui si ballava molto. Oggi vedo tanti allievi, però non so perché non vanno nemmeno a vedere gli spettacoli e questa è per me una cosa gravissima, come si può diventare un ballerino senza andare a teatro e senza interessarsi a ciò che succede? E non credo sia una questione di costi, perché questi stessi ballerini spesso li vedo a ristorante a spendere tanti soldi per una cena.

Parlami della disciplina

La disciplina io ce l’ho nel sangue. Quando inizio la lezione, è come se mi trasformassi e tutto deve funzionare come un orologio. La pretendo, perché la disciplina e la danza sono una sola cosa.

 La tua esperienza con il Vancouver City Dance Theatre per lo spettacolo The Dali Universe

La prima cosa che voglio dire è che mi tolgo il cappello davanti a Roberta Baseggio, che è stata capace di creare uno spettacolo di tale portata alla sua prima esperienza. Lo spettacolo è riuscito benissimo. All’inizio abbiamo avuto qualche problema con i ballerini, ma sia alla generale che allo spettacolo hanno ballato tutti benissimo e lo spettacolo è riuscito.

 E i tuoi prossimi progetti sono in Canada o in Italia?

Certo che tornerò a casa in Italia, perché ormai l’Italia è diventata la mia casa. Ho una piccola proprietà in Toscana e con orgoglio dico che faccio un po’ di olio e un po’ di vino per me e per i miei amici. Attualmente  collaboro con una nuova scuola di danza, teatro e musica a Roma dove i ballerini studiano con me cinque giorni a settimana.

 Lorena Coppola

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