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Virgilio Sieni, in esclusiva per il giornaledelladanza.com, svela la genesi della sua ultima creazione

VIRGILIO SIENI

Il secondo appuntamento della Rassegna “Autunno Danza”, promossa dal CDTM, Circuito Campano della Danza, è con DOLCE VITA – Archeologia della passione, la nuova produzione di Virgilio Sieni, in scena sabato 15 novembre 2014 al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino. Un viaggio emozionale, in cui la danza, strumento del linguaggio del corpo, narra il presente inoltrandosi nel racconto evangelico della passione di Cristo. 

“Dolce Vita – Archeologia della Passione”: la danza come ricerca, il concetto chiave di questa produzione?

Si tratta principalmente un lavoro verso la trasfigurazione del corpo intesa come esercizio per stare al mondo, per rigenerarsi in una dimensione poetica del corpo, quindi un esercizio per stare al mondo poeticamente. In questo senso abbiamo affrontato le tematiche della Passione dividendo lo spettacolo in cinque parti, partendo dall’Annuncio per arrivare alla Resurrezione, per ripercorrere il concetto di iconografia attraverso il corpo inteso anche come un’archeologia del presente, cioè che incorpora tutte le figure che sono legate al dolore e alla tragedia, ma che sono anche legate alla possibilità e quindi alla speranza di bellezza.

Cosa si intende con “dolce vita”?

Ovviamente viene subito in mente il film di Fellini, ma l’immagine che ci dà il film di Fellini è anche un bellissimo affresco sulla malinconia dell’uomo e quindi è anche quel tratto della vita che apparentemente sembra dolce ma improvvisamente apre strade anche più profonde e spirituali.

Le dinamiche del passato riportate coreograficamente al presente partono da una rivisitazione simbolica?

Più che rivisitazione, ci ispiriamo a tutto il patrimonio iconografico del passato, della storia dal ‘300 a oggi, quindi un patrimonio culturale molto forte. Ci ispiriamo con l’idea dell’eco, della risonanza, come se queste figure risuonassero in noi, che però siamo esistenze contemporanee, quindi con l’idea di fare un viaggio verso l’oggi nel rinnovamento.

Il linguaggio di questa produzione in senso strettamente coreografico?

Il linguaggio tecnico è qualcosa che nasce da uno studio profondo del corpo e dunque è un lavoro nella danza attraverso tutta l’articolazione e la scomposizione del corpo in miriadi di direzioni. Parallelamente, la coreografia appare come un corpo organico in continuo divenire fondato su una diversità assoluta dei corpi, vale a dire non sull’idea di unisono ma secondo l’idea che un corpo è dislocato in vari organi.  Quello che vedremo, quindi, è una coreografia ferrea estremamente complessa ma che fa convivere tutta una serie di diversità.

Il concetto di archeologia è inteso come abbattimento di codici predefiniti?

I codici sono sempre predefiniti, nel senso che il codice è lì a segnalarci tutto ciò che è convergenza dello spirito verso qualcosa che non ci appartiene; si studiano delle tecniche proprio per definirsi attraverso di esse. Il lavoro che faccio è certamente un lavoro che usufruisce dei codici per smarginare, per andare a trovare una terza cosa. Tra l’uomo e il codice, io poi cerco di arrivare a una terza cosa.

La dimensione del tempo e dello spazio per Virgilio Sieni coreografo?

Intanto il tempo e lo spazio sono i temi del lavoro sempre e comunque, perché un coreografo lavora sempre su queste due dimensioni. Sono come il sottotitolo del lavoro. Il tempo è quello che ci permette di accumulare memorie e quindi che ci fa crescere come esseri umani e ci fa arricchire anche come patrimonio poetico; lo spazio è lo spazio del corpo e lo spazio intorno a noi, dunque si presenta come quel tratto dove si rende possibile la trasmissione.

Per un coreografo contemporaneo, qual è il principio che non dovrebbe mai mancare alla base di una creazione?

Sicuramente il concetto di coraggio, fondato sull’idea di variazioni. Una volta che il coreografo è in possesso di tutta la maestria e la conoscenza delle tecniche, a quel punto deve andare oltre, deve individuare nella notte, nel buio, quel barlume di luce. Quindi, l’idea non è confermare il già detto, il nostro compito non è quello di ripercorrere i luoghi comuni e stabilire una patologia dell’immagine ma di andare a ricercare tutto ciò che è smarginamento, in forma ovviamente molto umile, perché, altrimenti, si ottiene il risultato opposto, ossia una stravaganza.

Come coreografo Lei ha sempre prestato molta attenzione a progetti mirati anche alla formazione, crede che questa possa essere una chiave di volta per il progresso dello stato attuale della danza in Italia?

Tutto ciò che è formazione rappresenta le fondamenta della cultura di una società e questo è il problema in cui si trova l’Italia in questo momento, in senso generale e soprattutto per quanto riguarda la danza. È un problema molto grave, quindi, proprio adesso, che è un momento di crisi, bisogna buttarsi a capofitto nel concetto di trasmissione ed educazione.

La prossima produzione?  

La prossima produzione debutterà tra due settimane a Bruxelles, esattamente a fine novembre. Sono dodici frammenti coreografici per una quarantina di interpreti.  Si intitola Vita Nova. La produzione successiva è La Sagra della Primavera, che debutterà a marzo al Teatro Comunale di Bologna.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

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