Imponente e solenne, severo. Il vento freddo non ne ammorbidisce gli spigoli. Minaccioso sia per gli eserciti che scendevano dall’alta valle che per quelli che risalivano dal fondo. Ai suoi piedi il silenzio e il fiume, così da mille anni. Il suo volto, come un Giano bifronte, ha guardato e servito la Savoia e la Francia. E quando all’una sorrideva, all’altra riservava un ghigno di ghiaccio. Si dice che fu carcere del misterioso Maschera di Ferro, prigioniero durante il regno di Luigi XIV, per Voltaire il gemello dello stesso Re. La dualità è la prima bellezza del grande forte, il suo esser voltafaccia e ammaliante traditore. Così, a mio avviso, lo ha temuto il popolo e lo ha amato. Così il girovago lo ha osservato dal basso, con solido e ambiguo fascino, passando dalle strade che ne sfioravano le solide fondamenta. Qui ci conducono gli artisti, girovaghi e ospiti allo stesso tempo. Ci riportano al primo significato del termine passacaglia, una danza popolare che si ballava attraversando le strade. Attraversando le strade del Forte, offerto loro come residenza creativa, ad un crocevia, si incontrano i diversi volti dell’arte con Franco Sepe, il poeta, Giovanni Sollima, il compositore e violoncellista, Alessandro ...
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