Si può pensare di materializzare sul palcoscenico il tempo, senza l’utilizzo di un orologio? A questa domanda c’è la risposta affermativa di William Kentridge che la scorsa settimana ha messo in scena al Teatro Argentina di Roma Refuse The Hour. Il suo spettacolo è un’unione omogenea di molteplici linguaggi: danza, musica, teatro, video arte, cinema, animazione e stravaganti macchinari. La musica è una componente fondamentale del suo spettacolo, che ha infatti inizio con una batteria che, sospesa in aria, inizia a suonare da sola, grazie ad un particolare meccanismo. La scena è cosparsa di strumenti formati, un po’ sulla scia dadaista, da oggetti comuni, come ruote, corde e megafoni, che via via prendono vita, da soli o per mano dei performers. Sulla destra del palco ci sono anche dei musicisti che, indossano stravaganti grembiuli da cuochi e suonano gli strumenti più vari: pianoforte, fisarmonica, musica digitale, tromba. Il tutto è correlato con la partitura originale per tre voci femminili, creata da Philip Miller. Kentridge, protagonista per la prima volta, come attore di un suo lavoro, insieme alla danzatrice e coreografa Dada Masilo, conduce personalmente questo viaggio nel tempo, partendo da un episodio della sua infanzia, fino ad arrivare sul precipizio di un buco nero. ...
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