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“I Ballerini” salutano Giorgio Bocca

Qualche rigo dal ritratto di una «professione rara» tracciato dal grande giornalista scomparso nel giorno di Natale

«E quelli chi sono?» chiese l’uomo pratico. «Dei ballerini» rispose l’uomo di gusto. Il primo stette a guardare le fanciulle con i piedi in fuori e i giovanotti snelli che uscivano dal teatro, poi disse: «Sarà, ma questa gente mi va poco, gente inutile, non le pare?» L’uomo di gusto sorrise: «Di utilità mi intendo poco – disse – ma i ballerini mi piacciono. Almeno sono una specie rara, coraggiosa e folle […]». Quanto al coraggio e alla follia pare che siano indispensabili alla professione. Senza un coraggio soave e un’innocua follia chi si darebbe a una carriera che è già al termine quando le altre incominciano appena a fiorire? In cui diventare qualcuno è un miracolo e restare nessuno è la regola?

Così comincia il primo capitolo de I BALLERINI di Giorgio Bocca, uscito a Firenze per la Vallecchi nel 1960 come n. 6 della Collana Il Bersaglio – Saggi e inchieste sulle professioni diretta da Giovanni Grazzini. Tenendo fede agli intenti annunciati nella terza di copertina

Le vecchie e le nuove professioni frugate nella loro realtà odierna e nelle loro prospettive future al di fuori di ogni schema convenzionale. Un contributo alla conoscenza della società italiana d’oggi e all’orientamento di quella di domani condotto nello stile della moderna inchiesta giornalistica. Il testo snocciola una serie di tematiche legate al mestiere del danzatore occupandosi del sistema lavorativo dalla formazione alla produzione con un taglio assai lontano dai cliché che dipingono il danzatore come artista geniale e sregolato.

Segnale dello stile puntuale e stringato di Bocca e già l’Indice generale:Una professione rara. Ballerini si diventa. L’Accademia e le scuole private. Le scuole dei teatri. Settantamila al mese. Dietro le quinte. Cercasi uomini. Ballare, per chi? Il piccolo firmamento. L’uomo che scrive la danza. La TV e il balletto. Oggi e domani. La passerella. Dal ballo allo strip-tease. Appendice [ordinamenti scolastici, leggi e documenti relativi alla danza]. Una visione laica, uno sguardo a volte tagliente e ironico che riporta la danza alla sua funzione sociale e invita al tempo stesso il danzatore a rendersi più consapevole del sistema produttivo in cui opera e a vedersi non solo come singolo individuo ma come lavoratore facente parte di una categoria.

Succede infatti che i  ballerini, sempre alle prese con le noiose faccende di denaro, non le capiscano mai a fondo. La loro noncuranza amministrativa conosce pochissime eccezioni. La loro imprevidenza è qualcosa che si stenta a credere. Mesi fa un giornalista si incontrò alla Scala con la ballerina che rappresenta il corpo di ballo nella commissione interna. Parlarono di salari, di contributi, di pensioni. «Quanto è la pensione di una ballerina?» chiese lui.  «Ah, non lo sappiamo, – rispose lei – […] come si fa? Per ora in pensione non c’è andata nessuna». «Nessuna?» fece lui. «Proprio nessuna – rispose lei. – Sa, il nostro lavoro è così breve che non si riesce mai a maturare gli anni per la pensione». Diceva queste cose sorridendo, come se parlasse di fatti curiosi.

Nel capitolo Settantamila al mese Bocca affronta gli aspetti squisitamente economici legati alla durata della carriera, ai contributi, alla riconversione dopo la vita di palcoscenico e qui i toni umoristici e quelli melanconici si alternano. Dopo aver ricordato che i ballerini guadagnano poco rispetto agli altri artisti e pochissimo rispetto alla durata della loro carriera, salvo che si chiamino Margot Fonteyn, Anton Dolin, Galina Ulanova, nota che le paghe medie, a parte quelle dei primi ballerini, corrispondono approssimativamente a quelle  dell’operaio specializzato. “Non solo essi non pensano e non vivono da operai – afferma Bocca – ma non sono nemmeno protetti dalla previdenza sociale, e assomigliano piuttosto alla cicala di La Fontaine”. Certo ci si può sempre riconvertire come casalinghi, anche se Bocca nota che le ballerine “amino assai poco trasformarsi in un domestic asset, cioè in una casalinga tuttofare.

Forse è più probabile che  ottimo uomo di casa diventi il ballerino, visto che quasi tutti sanno cucire, tenere in ordine i loro abiti e cucinare”. Il giornalista prosegue quindi inesorabilmente con questo taglio – che immagina poco gradito a chi vorrebbe che il suo testo avesse il compito di attrarre nuovi proseliti all’arte della danza – e si sofferma sulle pensioni e sul ruolo del sindacato in difesa della categoria con l’inevitabile conflitto tra grandi coreografi e sindacati, non tralasciando un confronto con le situazioni all’estero. Quasi a risvegliare i danzatori e riportarli con i piedi per terra il capitolo chiude con una frase brusca:

Insomma finché dura la buona stagione e sono forti e belli essi possono anche pensare che la vita non è poi quella vicenda complicata e piena di rischi che dicono i borghesi, i quali, per loro, sono tutti i non artisti. Ed è inutile rovinargli una gaia serata con qualche discorso savio: o non lo capiscono o non vogliono ascoltarlo.  È un aspetto di quella lieve follia che gli rende più facile la professione. Finché dura.

Oggi il settore, grazie anche a persone che hanno condiviso con Bocca la necessità di una difesa delle professionalità in campo coreutico,  può forse pensare di essere lontano da un periodo in cui più di un ballerino meritava questo duro giudizio da parte di un giornalista che, al di là dei toni sferzanti, ha saputo come pochi riconoscere alla danza la sua dignità.

 

 

 

Claudia Celi

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