Fai il ballerino? Bene, hai una bella “passione”. La compagnia con cui hai lavorato fino a ieri si ferma perché non ci sono fondi per un’altra ed immediata produzione, tu devi cercare un altro coreografo e non lavorerai, se decidi di restare in Italia e se sei fortunato, per un paio di mesi? Sei, a tutti gli effetti, un disoccupato. E magari pure bamboccione, perché va di moda dire così. La soluzione? Ti devi arrangiare: lo stato non ti paga il sussidio di disoccupazione.
Sostanzialmente questo potrebbe essere uno scarno, seppur vero ed alquanto amaro, riassunto della Circolare 105 dello scorso 5 Agosto, secondo cui l’INPS dice addio una volta per tutte al sussidio di disoccupazione per gli artisti dello spettacolo. Dal diritto all’indennità di disoccupazione sono escluse tutte le figure artistiche come registi, scenografi, coreografi, lighting designer, attori, musicisti, cantanti, danzatori. Il sussidio viene riconosciuto alle sole categorie tecniche ed amministrative.
Ciò a seguito della confusione generata dalla sentenza del 20 maggio 2010 della Suprema Corte di Cassazione n. 12355 che a sua volta fa riferimento al Regio Decreto 1827 del 1935 che recita: “Non sono soggetti all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria: (…) il personale artistico, teatrale e cinematografico”. La definizione di personale artistico è quella secondo cui “Non sono considerati appartenenti al personale artistico, così teatrale come cinematografico, agli effetti tutti coloro che al teatro o al cinematografo prestano opera la quale non richieda una preparazione tecnica, culturale o artistica”.
Questa sentenza ha anche stabilito il principio secondo cui il versamento del contributo contro la disoccupazione non è un presupposto costitutivo del diritto alla disoccupazione da parte del lavoratore. La sentenza escludeva dall’indennità di disoccupazione tutti quei lavoratori che, pur essendo assunti come lavoratori dipendenti da una ditta che versava la dovuta quota contro la disoccupazione, risultavano comunque essere lavoratori “autonomi” in quanto in possesso di preparazione tecnica, culturale o artistica. La sentenza dava una definizione precisa dei lavoratori appartenenti alla categoria. E “sembra” che con la circolare 105 dell’Inps tutto venga chiarito.
Tale circolare inoltre chiarisce che il testo è scaturito da “ulteriori approfondimenti nonché dal confronto con l’ENPALS e con le parti sociali interessate”. Il tam tam che da alcuni giorni impazza nella rete, creato appositamente per coinvolgere più persone possibile ma soprattutto rendere pubblico un disagio che colpisce tantissimi addetti ai lavori, ha messo in evidenza alcune e chiare domande: Perché dei lavoratori dipendenti vengono esclusi dall’indennità di disoccupazioni a cui tutti i lavoratori dipendenti dovrebbero invece aver diritto? Perché viene richiesto alle ditte che assumono i lavoratori artistici dello spettacolo il versamento della quota INAIL che spetta ai lavoratori dipendenti se poi questi ultimi non vengono considerati tali? E perché le quote DS versate dalle ditte non vengono restituite se non danno diritto all’indennità di disoccupazione? Perché la circolare non chiarisce quali sono gli “ulteriori approfondimenti in base ai quali si è giunti a queste conclusioni? Per un danzatore, un coreografo, un attore o un musicista avere dei periodi disoccupazione durante l’anno è normale, quasi parte integrante di esso. Anche le compagnie che lavorano di più hanno ugualmente dei periodi di pausa.
L’Italia, purtroppo, è rimasto uno degli ultimi paesi europei a non riconoscere i lavoratori dello spettacolo come dipendenti intermittenti e a non riconoscere loro il diritto alla disoccupazione. I lavoratori dello spettacolo sono rimasti in una vera e propria “no man’s land”, una terra di nessuno, disciplinati soltanto da una legge risalente al 1935 che, per ovvi motivi, non ha gli accorgimenti utili per essere valida ai nostri giorni. È fondamentale, quindi, mobilitarsi affinché il decreto di cui sopra venga abrogato quanto prima. Lavorare in teatro non è semplice e nemmeno ci si può improvvisare artisti: bisogna lavorare, lavorare, lavorare. Danzare non è una bella passione, bensì un’attività porta via tempo, fatica, energie. Richiede impegno, passione e molti sacrifici. Come del resto tutti i lavori. E come tale, deve essere protetto.
RICHIESTA DELLA PETIZIONE:
Chiediamo l’abrogazione in tempi brevissimi del Regio Decreto Legge 4 ottobre 1935 n. 1827 (convertito, con modificazioni,nella legge 6 aprile 1936, n. 1155) nonché l’abrogazione del Regolamento di cui al R.D. 7 dicembre 1924 n. 2270
Valentina Clemente