“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di raccogliere una serie di interviste e di articoli mirati a dar voce e spazio a tutte le fasce creative del mondo coreutico che costituiscono giovani realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi, o realtà già consolidate, di spiccato talento, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.
Juanjo García Férnandez, protagonista dell’Omaggio ad Antonio Gades tenutosi a Napoli il 5 gennaio 2015, si racconta in esclusiva al giornaledelladanza.com
Sei stato protagonista dell’Omaggio ad Antonio Gades tenutosi a Napoli il 5 gennaio 2015, senza dubbio una sfida artistica affrontare tre dei principali capolavori del suo repertorio?
Una sfida per un artista sì, ma, più che una sfida, un piacere fare questo spettacolo insieme a Lily De Cordoba, con la partecipazione di tre scuole di danza campane, dirette, rispettivamente, da Alba Buonandi, Annalisa Cernese e Sergio Ariota. Un piacere poter trasmettere la mia passione alle giovani future ballerine.
Gades diceva che “lo zapateado non è percussione, è il prolungamento di un sentimento”, la tua idea?
Sono d’accordo che è il prolungamento di un sentimento, dipende dal contesto, dalle intenzioni e soprattutto dal sentimento che si vuole trasmettere.
Quali sono stati i passaggi più significativi della tua carriera artistica?
Diversi: la prima volta da solista di fronte ad 8000 persone al Grande Teatro Nazionale di Pechino e poi a New York, con diverse coreografie, recensito anche dal New York Times, con molta pressione, e da lì in tutto il mondo, più volte, anche per otto mesi l’anno in tournée.
Quando hai deciso di diventare un “bailaor” e chi sono stati i tuoi maestri?
Ho deciso a 11 anni, dopo 2 anni di scuola, di conoscere Antonio El Bailarin, imparando la sua danza.
Il Flamenco non è solo uno stile di danza, è un modo di vivere. Per te che cos’è?
È un modo di vivere, di respirare, di capire la vita attraverso il movimento e le sensazioni che si hanno e che si trasmettono.
Il Flamenco ha radici molto antiche, ma, nel contempo, è un’arte di evoluzione estrema. Nel momdo flamenco esiste una sorta di divisione tra coloro che sono ancorati alla tradizione in senso stretto e coloro che sono a favore dell’innovazione. Tu cosa pensi?
Penso che bisogna capire sempre la tradizione e dopo poter fare qualunque cosa, ma capire sempre che serve rispetto per la vecchia scuola, la mamma della danza.
Ti piace di più ballare o coreografare?
Adesso coreografare, dopo aver ballato per 21 anni da professionista. Non mi sono stancato, ma voglio nuove strade come la coreografia. Mi basterebbe la metà di quello che ho fatto da ballerino!
Un aggettivo che ti rappresenta come uomo e come artista?
Sensibile come uomo; un duende.
Quali saranno le prossime tappe della tua tournée artistica?
Un progetto di musica classica spagnola, in Francia, che si intitola “La Taverna de Aranjuez” e che inizia ad aprile con una tournée.
E i tuoi progetti futuri?
Arrivare ad essere un maestro del Conservatorio di Barcellona e trasmettere ciò che ho imparato ai giovani allievi.
Lorena Coppola
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