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Au temps où les arabes dansaient

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Una finestra provocatoria e ardita per l’inaugurazione della sezione “Francia in scena” al Festival MilanOltre, presso il Teatro Elfo Puccini, il quale ha proposto in prima nazionale la “Compagnie de Soi” del poetico coreografo franco/egiziano Radhouane El Meddeb con lo spettacolo dal titolo Au Temps Où Les Arabes Dansaient…

Un omaggio all’Arabia e a un periodo fertile della propria cinematografia in un lasso di tempo che ha spaziato dagli anni ‘40 agli anni ‘70.

Quattro straordinari e audaci interpreti maschili: Philippe Lebhar, Rémi Leblanc-Messager, Youness Aboulakoul e Arthur Perole hanno coralmente infuso passione a un plateale corteggiamento, grazie a un gioco di movimenti eleganti, ampi e dolci, in cui la danza è stata resa fluida per mezzo del coinvolgimento armonico del corpo in sintonia con un antico rito di rara bellezza stilistica.

Dopo un inizio claustrofobico, ma necessario, in cui la ripetitività dei movimenti e dei gesti quasi maniacali, in un silenzio assordante, ha trasmesso agli astanti un senso di soffocamento come contraltare al decadimento di un periodo d’oro dove albeggiava il ritmo magico del cinema facendo sognare intere generazioni, il tutto si è pian piano ribaltato e l’ombra femminea si è impossessata dei corpi maschili danzanti rivelando una sorta di “cerimonia”, di un culto ipnotico in cui un incalzante e incessante palpito arricchito da fiabesche e travolgenti sonorità arabe, hanno trasmesso all’uomo e al proprio bacino (l’autentico protagonista della serata) uno specchio inteso come significato alla rinascita in un un’onirica visione dove il bacino ondeggiante si è eletto a “culla del nuovo nato”.

La musica stessa ha creato suggestivi effetti rilassanti e al tempo stesso rallegranti. Il ventre maschile si è assurto a “centro del mondo” riportandoci in un passato antico, in cui i movimenti sono apparsi sinuosi in un crescendo di sfumature e cerchi sempre più veloci tanto da trasformarsi in ancestrali e potenti vibrazioni.

Da sempre si narra che la danza del ventre non nasca come spettacolo di seduzione per l’uomo, ma bensì si racconta che essa venisse danzata in cerchio, intorno alla donna gravida dalle altre donne presenti, cosicché la partecipazione “simbolica” alla nuova vita fosse un momento di propiziazione collettivo.

Radhouane El Meddeb, con maestrìa e creatività, ha tratteggiato e pennellato un quadro volutamente ardito in cui gli atteggiamenti danzati hanno suscitato desiderio fisico, interesse sensuale per ridare “vita”, mediante anche ad antiche ma mai scolorite proiezioni in bianco e nero, “il sogno del cinema” con un finale in cui il “cuore della musica orientale” ha battuto accenti distensivi e pacificanti e, allo stesso tempo, gioiosi permettendo al pubblico di entrare in totale sintonia con gli artisti.

Una serata dove le espressioni catturate sui volti dei danzatori hanno generato nuove dinamiche coreografiche dal sapore agrodolce ma con la giusta consapevolezza di aver assistito a una pura “danza della felicità”.

 

Michele Olivieri

 www.giornaledelladanza.com

© PHAgathePoupeney_Photoscene

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