Pierluigi Abbondanza nasce in una famiglia di fotografi, comincia fin da piccolo a interessarsi del lavoro dei genitori, continua a seguire il lavoro di famiglia parallelamente agli studi fino a 27 anni quando apre uno studio proprio eseguendo foto per pubblicità e ritratti. Verso i 38 anni viene affascinato dalla disciplina della danza classica, segue lezioni in sala per averne una comprensione migliore e comincia a fotografare spettacoli e lezioni. Viene invitato in Scala alla Scuola di Ballo, segue e fotografa le lezioni per quattro anni con risultati apprezzati a tal punto che le sue foto vengono utilizzate per il calendario Porselli del 1998. Nello stesso periodo segue e fotografa per due anni all’Accademia Nazionale di danza di Roma le lezioni di danza e viene invitato a fotografare lo spettacolo finale dell’Accademia Princesse Grace a Montecarlo dalla direttrice Marika Besobrasova. Dal 1997 segue come fotografo ufficiale gli stage estivi della Royal Academy of Dance di Londra in Italia e dei maestri di San Pietroburgo a Rapallo. Da questa collaborazione viene realizzato il calendario ufficiale Royal Academy italiano del 2000. Dal 1999 segue costantemente le Scuole di danza e ha avviato una linea propria di poster, cartoline e calendari. Prosegue ad eseguire foto di grandi artisti quali Luciana Savignano, Svetlana Zakharova e molti altri.
Carissimo Pierluigi, partiamo con i ricordi legati alla tua infanzia e con il primo approccio all’arte della fotografia?
I miei ricordi sono legati a cose ormai scomparse, camere buie con la luce rossa e vasche per gli sviluppi; una volta la fotografia era costruita tutta a mano, una conoscenza e un’emozione che ormai si sta perdendo. La mia prima macchina fotografica avuta all’età di 9 anni era una Koroll 2 della Bencini, la peggiore sul mercato ma indistruttibile. La pellicola permetteva solo 12 scatti quindi ti allenava a cercare il soggetto che davvero meritava.
Qual è stata, poi, la molla che ha fatto scattare la tua passione e l’interesse per la danza?
È stato un invito a fotografare un saggio. C’era una strana magia che non capivo ma mi affascinava. Qualche tempo dopo mi è stato proposto di fotografare delle lezioni che mi hanno appassionato molto di più e da lì è cominciato il mio percorso dentro la danza.
Ormai sei celebre per le tue fotografie in cui racconti la nobile arte della danza. Da quando hai iniziato, com’è cambiato il mondo coreutico dal tuo punto di vista?
Sicuramente la tecnica è migliorata tantissimo ma a mio avviso ha preso troppa attenzione rispetto all’espressione e alle emozioni che la danza deve trasmettere.
La tua passione per gli scatti di danza ti portano a fotografare “attimi in movimento”, usi qualche tecnica particolare?
Sinceramente no, ho solo l’attenzione a trovare l’attimo che mi emoziona di più, curiosamente è anche il momento in cui il passo è perfetto e l’emozione è al massimo.
Come si riesce a cogliere il famoso “attimo fuggente”?
Lo si vive insieme all’artista invece di “inseguirlo”, non c’è altra tecnica.
A tuo avviso, per tutti i giovani che desiderano accostarsi a quest’arte, come si vive di fotografia nel nostro paese?
È un bel lavoro che regala molte soddisfazioni estetiche ma si vive in modo difficile, come per tutti i lavori legati all’arte che nel nostro Paese non sono assolutamente riconosciuti e rispettati come invece succede all’estero.
Quali sono i fotografi che ti hanno maggiormente ispirato nella tua carriera?
Direi Robert Doisneau che scattava fotografie estremamente vive con attimi unici. Nonostante siano datate conservano la stessa vivacità dell’attimo dello scatto. E poi i ritratti di Berengo Gardin molto descrittivi della vita delle persone.
Hai avuto la fortuna di collaborare con realtà internazionali, a tuo avviso ci sono differenze tra la fotografia italiana e quella straniera nella metodologia?
No, non ci sono particolari differenze, solo che nei teatri stranieri hanno un uso migliore delle luci di scena rendendo più semplice il lavoro.
Quali sono le tue tappe più significative nel mondo fotografico tersicoreo?
Sicuramente gli anni passati a fotografare le lezioni della Scuola di ballo della Scala, che mi hanno infuso una conoscenza della danza preziosa per il mio lavoro. E poi l’incontro con Svetlana Zakharova che mi ha permesso di scoprire che ero all’altezza anche delle più grandi étoile.
In termini emotivi cosa rappresenta per te la fotografia?
Attraverso la fotografia riesco a far provare agli altri l’emozione che provo osservando la danza.
Nel tuo tempo libero ti diletti comunque con la fotografia o è solo una professione?
Quando si lavora nell’arte non c’è mai un confine netto tra il “lavoro” e la vita privata. L’arte ti lascia poco spazio per fare altro. Per me la fotografia non è solo una professione ma parte della mia vita.
Qual è stato l’incontro nel mondo della danza che si è rivelato importante per la tua crescita professionale?
Un maestro di danza, Carlos Palacios, che mi ha insegnato a cogliere nelle foto la vita dei passi. Mi diceva: “c’è un attimo nel passo dove è vivo, devi riuscire a vederlo e catturarlo prima che resti solo la forma”. Un insegnamento di grande valore.
Oltre alla danza cosa ti piace fotografare?
In genere paesaggi e animali, ho tre gatti…
Oggi si usa molto photoshop e il fotoritocco, cosa ne pensi a riguardo?
Il fotoritocco è nato con la fotografia. Ai miei tempi si lavorava sul negativo per correggere ogni difetto che aveva e si continuava con la correzione in camera oscura durante la stampa e lo sviluppo. Photoshop è una grande evoluzione di questo. Un grande fotografo, Andreas Feininger, diceva: “C’è molta differenza tra come vede l’occhio e la macchina fotografica, l’occhio vede le cose più importanti e tralascia i difetti mentre la macchina riprende tutto”. Per cui c’è molto lavoro fatto prima, durante e dopo la ripresa per rendere la foto il più vicino possibile “all’immagine perfetta” che l’occhio aveva visto.
Quanto è importante la “luce” per il tuo lavoro?
Visto che la parola fotografia significa scrivere o disegnare con la luce direi che ha moltissima importanza. La luce è parte essenziale nell’emozione della forma che disegna. Gli stessi movimenti con una forte luce frontale o con un taglio in controluce descrivono due emozioni diverse. La luce è la terza componente indispensabile di uno spettacolo, assieme alla musica e alla coreografia. Dentro queste tre componenti l’artista crea e il mio compito è restituire nel modo più vivo possibile questa creazione.
Che tipo di interventi fai di solito (se ne fai) sulle fotografie scattate?
In genere intervengo sulla luce per salvare tutti i particolari che andrebbero persi se non corretti, poi come secondo intervento il taglio.
Qual è la tua fotocamera e obiettivo preferito? Cosa usi abitualmente?
Abitualmente uso Nikon D800 con l’obiettivo 70-200 F 2,8 ma sarei curioso di provare una Mirrorlens di ultima generazione.
Si usa ancora la pellicola o tutto è diventato solo digitale?
Si può ancora trovare qualcosa in pellicola ma il digitale ha reso molto più pratico il lavoro, non devi ricorrere a laboratori esterni per gli sviluppi sperando che ti diano il prodotto che vuoi ma lo puoi controllare direttamente sul computer. Inoltre le grandi ditte come la Kodak hanno già annunciato la fine della produzione delle pellicole.
Ho avuto il piacere di leggere il tuo libro dedicato a Svetlana Zakharova. Raccontami com’è nata l’idea di questo volume e com’è stato lavorare con una grande étoile protagonista della scena attuale?
Io e Svetlana ci siamo piaciuti professionalmente fin dai primi incontri, a me affascinava la qualità del suo movimento e l’emozione che trasmetteva e a lei piaceva ritrovarle nelle mie fotografie. Svetlana aveva espresso il desiderio di fare qualcosa assieme così le ho proposto il libro che ha accettato con entusiasmo. A questo sono seguiti due anni di intenso lavoro, questo libro su sua richiesta doveva suscitare in chi lo sfogliava un “wow” ad ogni pagina. Svetlana con se stessa è esigente ed essenziale, sa esattamente ciò che vuole, e ha deciso la scelta delle foto con lo stesso spirito. È stato molto appagante lavorare con lei e al contempo molto semplice. Non ha prezzo per me avere sulla mia copia personale del libro come dedica un “grazie” a piena pagina!
Mi dicevi, recentemente, che avete in cantiere, tu e Svetlana, un altro libro, giusto?
Sì, le è piaciuto così tanto il primo che durante la presentazione del libro al Teatro San Carlo di Napoli ha annunciato che le foto che le avrei fatto a Giselle erano l’inizio del suo secondo libro.
Passiamo all’album dei ricordi… Se ti dico Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, cosa ti sovviene immediatamente?
Un’impressione particolare che non dimenticherò più è stata la percezione dell’Accademia stessa come qualcosa di magico. L’eleganza e l’educazione delle ragazze che ti salutavano inchinandosi, ti davano la percezione di un posto senza tempo e fuori dal mondo. Il lavoro in classe era durissimo ma intuivi che essere lì era un privilegio sia per le ragazze che per me. Gli anni passati in Scuola di ballo sono stati fondamentali, da essi ho tratto la conoscenza profonda di quest’arte esattamente come devono viverla i danzatori per farla propria. Non finirò mai di ringraziare la signora Anna Maria Prina all’epoca direttrice della Scuola per avermi concesso questo dono.
Mentre all’Accademia Nazionale di danza di Roma?
Il passaggio dalla Scuola di ballo del teatro alla Scala all’Accademia Nazionale è stato molto netto. L’atmosfera dell’Accademia era più “statale”, l’impegno delle allieve a lezione era sempre notevole ma diverso. Effettivamente c’è molta differenza tra una scuola che vive all’interno di un teatro in costante contatto con i suoi artisti e il suo palcoscenico come in Scala, dalla vita di scuola come è in Accademia a Roma.
Attualmente sei il fotografo ufficiale degli stage estivi della Royal Academy of Dance, che tipo di esperienza è?
Sono gli Stage più importanti e frequentati d’Europa per le scuole affiliate RAD. Per me è una bella e appagante sfida fotografare tante lezioni diverse con bravi insegnanti che sono quasi sempre ex ballerini professionisti.
Hai avuto la fortuna anche di fotografare e collaborare con i maestri di San Pietroburgo a Rapallo, uno stage che conosco benissimo e si può annoverare come una vera istituzione italiana, il più storico a livello classico. Se non ricordo male ne era nata anche una mostra?
Sì, è stata tra l’altro la mia prima mostra di cui conservo un piacevole ricordo. È stato lo Stage che mi ha permesso di conoscere la scuola russa e i danzatori del Mariinsky di San Pietroburgo. Rammento ancora con un brivido le splendide “sbarre” dei danzatori russi ospiti assieme ai ballerini professionisti di compagnie italiane presenti allo stage, sembravano venuti da un altro pianeta, stupendi!
Oltre alla Zakharova chi vuoi ricordare tra tutti i danzatori e danzatrici che sono passati davanti al tuo obiettivo?
Con il mio lavoro ho il vantaggio di conoscere gli artisti non solo professionalmente ma anche nella loro umanità. Ricordo Natalia Osipova, in scena elettricità pura e nel privato apparentemente fragile, Ivan Vasiliev esplosivo in scena e fuori da essa, appassionato di lirica che ha cantato durante una cena l’opera intera dei Pagliacci di Leoncavallo, Leonid Sarafanov e Olesya Novikova elegantissimi e innamoratissimi, la prima volta che ci siamo visti Leonid mi ha presentato sua moglie dicendo: “il mio amore”, Dinu Tamazlacaru dai salti prodigiosi, e potrei ricordarne tanti altri, Polina Semionova, Evgenia Obraztsova, Luciana Savignano, Lucia Lacarra e Marlon Dino, Myrna Kamara, Claudio Coviello e tutti gli scaligeri ecc. Alla fine posso dire che ogni artista è un intero universo a sé stante e ognuno di loro è stata un’esperienza unica.
Per te l’arte della danza, al di là della fotografia, che significato ha?
Per me è una terra di confine tra la realtà e il sogno dove i danzatori come antichi contrabbandieri ci regalano emozioni e sogni. I movimenti diventano vivi e intensi, le forme e le luci ci permettono di assaggiare estetiche che nella vita di tutti i giorni sfuggono.
Un consiglio per tutti coloro che desiderano accostarsi alla fotografia legata al mondo del balletto?
Innanzitutto di amare la danza, non smettere mai d’imparare e di essere sempre curiosi.
A distanza di anni, a chi devi dire un sentito grazie per la tua importante carriera artistica?
Ad Anna Maria Prina, per avermi aperto le porte della Scuola di ballo, a Carlos Palacios per avermi insegnato la valutazione qualitativa delle mie immagini, a Svetlana Zakharova per avermi scelto per il suo primo libro e a Frederic Olivieri che ha promosso il primo contatto con Svetlana, ma sopratutto alla mia compagna di vita e di avventura per avere creduto in me più di quanto ci credessi io.
Per concludere un tuo pensiero sul mondo della danza visto dall’interno?
Posso dire, che nel bene e nel male, è bello esserci, dovessi ricominciare da capo ci entrerei di nuovo senza pensarci due volte.
Michele Olivieri
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