Quando si parla di Caterina II di Russia, detta “la Grande”, si pensa subito a una delle sovrane più potenti e illuminate dell’Europa del Settecento.
La sua figura domina per le riforme, le conquiste territoriali, la corrispondenza con Voltaire e Diderot.
Meno noto, ma altrettanto affascinante, è il suo rapporto con l’arte della danza.
Sotto il suo regno, il balletto non fu soltanto uno svago di corte: divenne uno strumento politico, culturale e identitario, che contribuì a forgiare l’immagine della Russia come potenza moderna e raffinata.
Caterina, nata principessa tedesca con il nome di Sophie von Anhalt-Zerbst, arrivò in Russia nel 1744 per sposare il futuro zar Pietro III.
Ma fu solo dopo aver preso il potere con un colpo di Stato nel 1762 che iniziò davvero a plasmare il Paese secondo la sua visione.
Fra i suoi obiettivi principali c’era la “civilizzazione” della nobiltà russa, che passava anche attraverso l’adozione delle arti occidentali.
La danza, in questo contesto, non era un semplice passatempo aristocratico.
Era il simbolo di una cultura sofisticata e razionale, che si basava su regole, disciplina e armonia. Caterina ne comprese perfettamente il valore: promuovere il balletto significava avvicinare la Russia ai canoni estetici e morali dell’Illuminismo europeo.
Sotto Caterina, il balletto ricevette un impulso senza precedenti.
Nel 1776, fondò il Teatro Bolshoi Kamenny a San Pietroburgo, destinato alle grandi rappresentazioni di opera e danza.
Fu il primo teatro stabile dell’Impero, e rappresentava un chiaro messaggio: la Russia intendeva diventare un protagonista nel panorama artistico europeo.
Caterina non si limitò a finanziare teatri e spettacoli. Fece arrivare coreografi, scenografi e ballerini da Parigi, Venezia e Vienna, volendo trapiantare il cuore del balletto occidentale nella sua capitale.
Ma fu anche attenta a sviluppare talenti locali, incentivando la formazione di ballerini russi e ponendo così le basi per quella scuola nazionale che, un secolo dopo, avrebbe dato al mondo nomi come Pavlova e Nijinsky.
Per Caterina, ogni gesto aveva valore politico. Le rappresentazioni di balletto a corte erano coreografate tanto quanto la vita diplomatica.
I temi delle opere spesso celebravano la monarchia, la stabilità dell’impero, la virtù della sovrana.
Il palcoscenico diventava un’estensione della corte: un luogo in cui l’ordine, la grazia e la bellezza incarnavano l’ideale di governo illuminato.
In alcune lettere, Caterina si riferisce esplicitamente alla danza come esercizio dell’intelligenza e del corpo, un’arte in cui la disciplina personale si traduceva in armonia sociale — proprio ciò che cercava di instillare nella nobiltà russa.
Sebbene non fosse ballerina né coreografa, Caterina la Grande fu tra i più grandi mecenati della danza nella storia russa.
Il suo impulso al balletto non fu superficiale né effimero: generò una tradizione che sarebbe fiorita nell’Ottocento e avrebbe fatto della Russia uno dei cuori pulsanti del balletto mondiale.
In un’epoca in cui la cultura era ancora fortemente maschile e militare, Caterina seppe usare la raffinatezza e la bellezza come leve del potere.
La danza, sotto il suo regno, smise di essere solo un divertimento da salotto per diventare un linguaggio politico e carico di simboli.
Mentre gli eserciti avanzavano e i trattati si firmavano, tra le colonne dorate dei teatri si scriveva un’altra storia: quella di un impero che imparava ad esprimere la sua grandezza anche in punta di piedi.
Michele Olivieri
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