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Dive e Divine: le ballerine romantiche dell’Ottocento

L’Ottocento è stato un secolo di grandi cambiamenti e innovazioni nel mondo della danza.

Fu in questo periodo che il Romanticismo si affermò come corrente artistica dominante, orientando profondamente il balletto.

Le ballerine romantiche dell’Ottocento furono donne eccezionali che, con la loro bellezza tersicorea riuscirono a conquistare il pubblico e a lasciare un’impronta indelebile nella storia della danza.

La vita delle ballerine romantiche dell’Ottocento non era facile.

Le ore di allenamento erano lunghe e intense, e le artiste dovevano essere sempre pronte a eseguire i passi più complessi senza errori.

Inoltre, le ballerine dovevano anche affrontare le pressioni della fama e della critica, che potevano essere molto severe.

La loro tecnica, la loro arte e la loro espressività influenzarono profondamente il balletto e le generazioni future.

Oggi, le ballerine romantiche dell’Ottocento sono ancora celebrate come autentiche dive e divine della danza classica.

La loro eredità continua a ispirare le generazioni future di ballerine e a omaggiare la magia della disciplina accademica.

Nell’Ottocento, il teatro non era solo il tempio dell’arte, ma il centro pulsante dell’immaginario collettivo. Il sipario si apriva, e con esso anche i battiti accelerati di nobili, poeti, ufficiali e sognatori.

Le ballerine – eteree, impalpabili, celestiali – erano idoli, muse e pretesti per guerre silenziose e talvolta sanguinose.

In un’epoca in cui l’onore maschile si difendeva con la spada o con la pistola, e l’amore si dichiarava con l’eccesso, il culto della ballerina non era solo estetico: era carnale, politico, sociale. E talvolta, mortale.

La prima “divina” del balletto romantico, Marie Taglioni, divenne oggetto di devozione quasi mistica. Quando debuttò nella Sylphide nel 1832, parve davvero che il suo corpo fosse disincarnato. Parigi cadde ai suoi piedi, letteralmente. Si dice che alcuni ufficiali francesi abbiano duellato per ottenere un suo sguardo dietro le quinte.

Nonostante la sua fama di donna riservata e dedita solo alla danza, la sua figura ispirò rivalità tra corteggiatori, tra ammiratori e anche tra coreografi gelosi. In un caso famoso, due giovani aristocratici si sfidarono in un duello notturno nei giardini delle Tuileries per contendersi una sua scarpetta — sottratta da un servo durante una prova.

Dove Taglioni era celestiale, Fanny Elssler era terrena, sensuale, fiera. Austriaca, interprete indimenticabile della Cachucha, divenne il simbolo della ballerina “di fuoco”. Le sue tournée europee provocarono veri e propri deliri, con code all’alba per accaparrarsi un biglietto e lettere infuocate da parte di nobili e ufficiali in carriera.

A Napoli, nel 1841, si racconta che due tenenti borbonici si affrontarono con la sciabola per la possibilità di accompagnarla a cena dopo una serata al San Carlo. Entrambi finirono feriti – e pare che Fanny, indispettita dall’episodio, abbia lasciato la città il giorno dopo, rifiutando ogni compagnia.

A Londra, una leggenda urbana racconta che un duello fu combattuto per un autografo ricevuto in privato. Il perdente, sopravvissuto, fece costruire una teca in cristallo per conservare l’autografo come reliquia.

La giovane Emma Livry, pupilla di Taglioni, divenne simbolo della tragica bellezza del balletto romantico. La sua grazia affascinava un pubblico già inebriato dalla nostalgia per l’ideale della danzatrice-spirito. Nonostante la sua breve carriera (morì tragicamente a 21 anni, avvolta dalle fiamme del suo costume infiammabile), anche lei fu al centro di attenzioni febbrili.

Un duello tra un banchiere e un visconte, avvenuto nel Bois de Boulogne nel 1861, avrebbe avuto come motivo scatenante un bouquet lanciato a Emma durante una rappresentazione de La Sylphide. Lei ne fu all’oscuro — o finse di esserlo.

Non solo spade e pistole: l’Ottocento vide anche feroci duelli verbali tra critici e intellettuali, schierati con furore da tifoserie degne di uno stadio moderno.

Taglioni contro Elssler divenne una rivalità culturale: i “taglionisti” sostenevano la purezza spirituale della danza, i “elssleriani” inneggiavano alla passione sensuale. I giornali parigini si affrontavano a colpi di editoriali infuocati, satire e disegni al vetriolo.

Victor Hugo, Théophile Gautier e Heinrich Heine scrissero versi e articoli che spesso somigliavano più a invettive amorose che a recensioni. I duelli non erano più solo tra ammiratori: erano tra visioni del mondo, incarnate da corpi danzanti.

Ma perché tutto questo sangue per un demi-plié? Perché la ballerina dell’Ottocento non era solo una danzatrice. Era simbolo di qualcosa che la società maschile del tempo desiderava ma non poteva possedere: la libertà femminile in forma di arte.

Le ballerine vivevano sospese tra l’adorazione e la condanna. Sante e cortigiane, muse e mercanti di bellezza, erano temute e venerate. Molte erano mantenute da nobili, e alcune usavano con astuzia la loro fama per garantirsi indipendenza economica e sociale in un tempo che negava quasi ogni libertà alle donne.

Eppure, il pubblico continuava ad ammirarle, come si ammira una stella: troppo distante per essere raggiunta, ma abbastanza vicina da volerla toccare. E quando due uomini volevano la stessa stella… sparivano le parole, e restava solo il rumore secco delle pistole all’alba.

Oggi il duello ci pare un gesto teatrale, fuori dal tempo. Ma nell’Ottocento, per una ballerina si moriva davvero. E forse, in quell’eccesso, si intravedeva una verità dimenticata: che l’arte, quella vera, non è mai neutra. Muove desideri, accende gelosie, divide mondi.

E quando una donna fluttua su un palcoscenico, eterea o sensuale che sia, non danza solo per bellezza: danza su una linea sottile, tra il sogno e la follia.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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