Anna Rita Larghi è un’artista-coreografa versatile di grande esperienza, attiva in ambito teatrale, televisivo, così come nell’ambito di eventi, senza comunque rinunciare all’attività di insegnamento, in cui si distingue per uno stile personale e ben riconoscibile. In teatro cura, tra le altre cose, le coreografie del tour di Irene Grandi e degli spettacoli Dance, Incontro, Notte Magica, Tre metri sopra il cielo, Musical Awards, Centenario Fiat. Cura inoltre le coreografie per Elisa al Festivalbar con i performer della Compagnia Montaggio Parallelo da lei diretta. Per la televisione segue la parte coreografica delle trasmissioni: “Ci vediamo in tv” con Paolo Limiti e Natalia Estrada; “Alle 2 su Raiuno” e “Ci vediamo su Raiuno” sempre con Paolo Limiti; “Speciale Telethon” con Milly Carlucci; “Paolo Limiti Show” con Emanuela Folliero; “Italialand” e “Crozza nel paese delle meraviglie” con Maurizio Crozza; “Musical Awards 2014”; “E state con noi in tv” con Paolo Limiti. In campo pubblicitario firma parecchie campagne di successo. È stata dance coach per: Notre Dame de Paris, Momix Sunflower, Kataklò, Tanz der Vampire. Nel 2004 Anna Rita fonda la compagnia “Montaggio parallelo” con la quale nascono gli spettacoli: Dentro fino al collo, Time’n, Super Heroes, The House, La Voce del Silenzio. Realizza i video-danza “Legame”, “Play’n House” (vincitore della menzione speciale “Il Coreografo Elettronico”) e “Scrambled”. Attualmente mantiene costante la sua attività di insegante sia in Italia che all’estero.
Carissima Anna Rita, raccontami come è nata in te la passione per la danza e per lo spettacolo?
È iniziata abbastanza tardi, fino ai 14 anni praticavo ginnastica artistica e ricordo che mi piaceva moltissimo la parte dell’esercizio di corpo libero con la musica, decisi quindi a quell’età di iniziare a frequentare lezioni di danza e conobbi, per mia grande fortuna, l’insegnante Paola Olivieri, un genio folle, che mi fece innamorare di quest’arte e, libera e creativa com’era, mi insegnò a non mettere barriere alla creatività.
Quali studi hai seguito per coltivare questa professione e per la tua formazione?
Iniziai appunto nella scuola della Sig.ra Novaro “Danza Jazz” con Paola Olivieri e poi mi spostai allo “Ials” di Milano dove cominciai a studiare anche danza classica con Gabriella Valenti e classico/carattere con la maestra Zingarelli (altro genio folle), e in seguito tip tap, funky, sbarra a terra; ero molto curiosa e mi piaceva tantissimo avvicinarmi a diverse discipline. Iniziai poi a viaggiare e andai a New York per periodi brevi ma costantemente per cinque anni. Ebbi anche la fortuna di incontrare in Italia, durante gli stage maestri fantastici. Mi avvicinai poi dal mio mondo jazz e commerciale alla danza contemporanea ed anche in questa occasione mi si aprirono nuovi orizzonti. Mi è sempre piaciuto studiare, appagava la mia sete di curiosità ed ancora oggi studio Gyrotonic con la maestra Claudia Monticoni, fantastica ed esperta. Mi sono poi dedicata da dieci anni al Tango Argentino, che è diventata la mia forte passione. Devo anche confessare che negli anni Novanta mi appassionai all’aerobica per rinforzare il fisico e vinsi, con mie due colleghe, il Campionato italiano di Step Challenge nel 1993.
Come ti sei avvicinata al lavoro di coreografa?
Iniziai subito a lavorare a diciotto anni, erano tempi in cui c’era molta offerta di lavoro e con talento, passione e determinazione si riusciva a costruirsi una carriera. Cominciai a lavorare come assistente con Brian e Garrison che ancora oggi sono nel mio cuore e ricordo come un periodo bellissimo, poi collaborai con Manuel Frattini, altro mio grande e superbo artista/amico, lavoravamo a ritmo serrato per convention e trasmissioni televisive. Poi dopo quattro anni, in cui appresi parecchio decisi che era tempo di scoprire altro. Sono sempre stata attratta dal lavoro di coreografa, quando sentivo una musica, fin da piccola, visualizzavo immagini, storie e spesso mia madre si preoccupava poiché, quando mettevo un disco (c’erano i 45 e 33 giri) mi fermavo e rimanevo così immobile per tutta la durata della canzone e poi la rimettevo sette, otto, nove volte di seguito. In realtà ero in un mondo fantastico, proiettavo nella mia mente storie, personaggi, film… capii poi crescendo che era la mia attitudine ed entrando mano a mano nel mondo della danza, le immagini diventarono storie danzate e fluivano così liberamente. In seguito questo divenne la mia professione, ovviamente sperimentando e “facendo palestra” con i lavoretti minori, ad esempio con i saggi. Poi a 28 anni iniziarono ad arrivare proposte di lavoro in qualità di coreografa, per sfilate, convention e più tardi per trasmissioni televisive e teatro.
Credi che l’attuale metodo di insegnamento della danza, in Italia, sia efficace? Cosa manca a livello regolamentativo?
A livello legislativo manca una regolamentazione, ma vivendo da molto in questo paese che è, sì bellissimo ma per alcuni aspetti un po’ naif, credo che solo il determinare le persone competenti che possano discutere e proporre una regolamentazione sia già un’impresa titanica. La danza è ancora considerata uno sport e chi insegna danza o ha proprie Compagnie o deve ancora aprire una ASD!! Vedo tempi molto lunghi, certo se la politica si interessasse al mondo dell’Arte e nello specifico a quello della Danza, che peraltro in Italia è ricco e denso, mi farebbe assai piacere poter partecipare in modo costruttivo alla proposta di una regolamentazione per l’insegnamento.
Quali sono stati i momenti più emozionanti della tua brillante carriera?
Sono stati tanti, i più vicini sono legati a “La voce del silenzio”, l’ultimo spettacolo prodotto da me con la mia Compagnia Montaggio Parallelo, ogni volta che usciamo a fine spettacolo per ricevere gli applausi è un grande “bagno d’amore”, riuscire ad arrivare al cuore delle persone è comunque una enorme gioia e soddisfazione. Sicuramente anche le prime dirette con la trasmissione di Paolo Limiti “Ci vediamo in TV” nel 1989, furono fonte di particolare emozione nel veder ballare in diretta i miei danzatori. Naturalmente nel mio cuore c’è sempre “Tre metri sopra il cielo”, uno dei primi musical “moderni” con la regia di Mauro Simone e quella associata di Loredana Sartori, due speciali artisti ed amici, coraggiosi!
Chi ti ha aiutato o ha creduto maggiormente in te e nelle tue doti?
Uno di questi è certamente Paolo Limiti; lui, oltre ad essere un grande compositore, è anche un eccellente conoscitore della storia della musica, della danza e del musical. Mi ha fatto conoscere svariati film musicali non così celebri in Italia ma pur bellissimi e ogni volta mi incanta con i suoi racconti e aneddoti sui personaggi che ha incontrato. Paolo mi ha dato molta fiducia, per conquistarla con lui bisogna lavorare duramente, come d’altronde da sempre lui svolge. Nei cinque anni di attività come coreografa al suo fianco, ha dato moltissimo spazio alla Danza, uno dei pochi e si è sempre battuto per avere un Corpo di ballo, anche quando nelle trasmissioni si cominciava a “tagliare”. Abbiamo fatto medley di musical di sette/otto minuti quasi tutti rigorosamente in diretta, con trentadue danzatori e Paolo ci ha sempre sostenuto.
Tra tutte le tue creazioni qual è il balletto che hai più amato?
Non potrei dirlo, sono tutti figli miei!!
Tra i coreografi del passato e quelli della scena attuale chi segui con particolare interesse?
Scuramente Jerome Robbins, Marta Graham, Roland Petit, Maurice Bejart (sempre attuale) e Mats Ek.
Qual è stato il tuo primo lavoro coreografico e in quale occasione?
Una sfilata danzata per la casa sportiva Diadora, erano gli anni Novanta, se ne facevano moltissime nelle fiere sportive, e ricordo che tra i danzatori c’era anche Kledi che avevo appena conosciuto e che era un forte e disciplinato ballerino. Ancora oggi lo rivedo ed abbraccio sempre con enorme affetto.
Solitamente quando ti prepari a una nuova creazione a cosa ti ispiri e da cosa parti per sviluppare il lavoro?
Se non è un lavoro su commissione, quindi non ho richieste da parte del cliente, ma una “produzione” mia, catturo le idee che mi sorgono spontaneamente, per “The House” mi ispirai ad un film meraviglioso “Far from Heaven” che raccontava la storia di un uomo sposato che scopriva la sua omosessualità nell’America puritana e borghese degli anni Cinquanta e mi domandai come doveva essere affrontare ed accettare il proprio orientamento sessuale in una società così conformista e quale poteva essere il dolore e la comprensione della moglie nel comprendere tale situazione. Anche la produzione successiva “La voce del silenzio” è stata ambientata nel 1961, proprio perché adoro “scoprire i personaggi” spesso costretti in quegli anni a vivere una esistenza di convenzioni per poterli scoprire nel loro intimo. E il 1961 a cavallo tra gli anni Cinquanta e l’inizio dei primi movimenti di liberazione degli anni Sessanta mi fornirono un’epoca adattissima per narrare le storie dei miei nove personaggi.
Quali sono oggi i maggiori problemi per una Compagnia di danza, tu che ne dirigi una tua “Montaggio Parallelo”?
Sicuramente la sopravvivenza!! Mi spiego: senza aiuti e sovvenzioni, è molto dura riuscire a mantenere una compagnia di danza in Italia, inoltre il “mercato” della Danza non è così ampio, spesso, confrontandomi con i Comuni e gli Assessori, noto l’uso assai frequente del concetto: “l’Arte fa bene, bisogna valorizzare”, ma al momento pratico del budget, ciòè dell’offerta economica per l’acquisto di uno spettacolo, tutto ciò si scontra con la realtà. Sarò concreta: come può una Compagnia, ad esempio, di nove persone più tre come minimo fuori scena, mantenersi vendendo uno spettacolo a € 1000,00? Pagando danzatori, il tecnico luci, il coreografo, la sarta, l’ENPALS, anche chi non ha esperienza di spettacolo capirebbe che è impossibile. Ovviamente ci sono alcuni bandi regionali e nazionali a cui partecipare ma non bastano per tutte le Compagnie valide che ci sono in Italia. Fortunatamente esistono, se si riescono a trovare, gli sponsor, ma anche qui bisogna avere fortuna ed impegno nel cercarli. Esistono pure Assessori alla Cultura, in verità pochi, con cui confrontarsi e che comprendono ciò di cui si parla, ma ripeto sono molto pochi. Mi spiace poiché viaggiando vedo realtà italiane interessanti ma, tolte le pochissime che riescono ad entrare in un circuito un po’ elitario di danza, dove peraltro le compagnie sono composte da due o tre elementi, per il resto non c’è tanto spazio.
Hai sempre investito sui giovani, a tuo avviso, quanto è importante supportare sul “nuovo che avanza”?
Il mondo avanza e quindi anche la Danza, si esercita diversamente da come si ballava nel passato. È bello vedere che l’arte tersicorea va avanti e vive in sintonia con ciò che accade nel mondo. Quindi certo “viva i giovani” ma anche viva chi si mantiene al passo con i tempi e non si ferma solo al passato. Anche per chi è innovatore è comunque importante conoscere ciò che è stato, capire perché e in seguito buttarsi con coraggio nel nuovo che avanza.
Oltre la danza, quale altre passioni coltivi Anna Rita?
Mi piace visitare tutti i mercatini dell’usato e i negozi “vintage”, ho infatti una costumeria ormai ricchissima. Adoro scovare pezzi unici e pregiati, abiti degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta… infatti il 70% dei costumi di “The House” e de “La voce del silenzio” li ho scovati nei miei viaggi sui mercatini. Mi appaga e mi rilassa totalmente!
Uno dei tuoi maggiori successi “La Voce del Silenzio”, sempre richiesto e amato dal pubblico, ha visto la tua collaborazione con Paolo Limiti. Com’è stato lavorare lui?
Come ho già precedentemente risposto, Paolo è un grande ed è assai coraggioso, rivolto al “nuovo” più di quanto si possa immaginare. Non conoscevo tutta la sua parte di compositore, ho scoperto canzoni meravigliose, ne ha scritte parecchie e alcune delle quali “erano già avanti” oltre a risultare trasgressive per l’epoca…
Parlami dei tuoi danzatori e della tua Compagnia “Montaggio Parallelo”?
È nata nel 2005 proprio dall’idea di iniziare a produrre e dare vita a dei racconti in Danza. Mi piace l’idea di raccontare attraverso il “movimento” rendendolo immediato senza alcun bisogno dell’uso della parola… un po’ come immaginavo sin da piccola. Credo e spero di esserci riuscita, il complimento più bello che ricevo solitamente è sempre quello che arriva da chi non conosce la Danza ed il Balletto: “È stato come veder un film, mi sono emozionato”. Mi riempie il cuore, vorrei una danza non d’élite ma per tutti, ovviamente ognuno, a seconda del proprio background saprà cogliere le diverse sfumature.
Quanto è importante poter lavorare con un gruppo stabile e ben amalgamato di danzatori?
È basilare, oltre alle doti tersicoree, interpretative, musicali e tecniche, è necessario che gli artisti abbiano un buon controllo del proprio Ego, una naturale propensione a lavorare in gruppo ed insieme, poiché ovviamente in scena sara così, non si è soli, e questo si vede!
Hai avuto tante celebri collaborazioni tra televisione e teatro… di chi conservi un piacevole ricordo?
Di artisti Natalia Estrada, forzata in un ruolo un po’ di “supervamp” e scosciatona mentre nella realtà è una grande danzatrice, determinata ed intelligente.
Un aneddoto legato alla tua carriera?
È sempre importante conoscere il significato e i testi delle canzoni che si montano, anche se in una lingua straniera. Ero giovane, eravamo in una delle trasmissioni di Limiti, lavoravamo tantissimo, avevo avuto poco tempo e mi aveva commissionato “La Valse Brune”, avevo solo cinque minuti per parlare dei costumi, non conoscendo bene il francese, sentii qualche accenno di nota e, il ritornello era un grande ed ampio valzer; allora dico al costumista di usare gli abiti e i frac rosa (spesso usavamo ciò che si trovava nei magazzini Rai). All’epoca si costruivano tantissimi pezzi ed io, erroneamente mi ero dedicata ad un altro medley ed avevamo veramente poco tempo per questa Valse. Scendiamo in studio (alcune volte montavo al mattino e poi alle 14 si andava subito in diretta!), parte la canzone, entrano i miei danzatori vestiti di rosa e, nei monitor scorrono i sottotitoli in italiano (Paolo li faceva mettere sempre), leggo il testo che parla dei bassifondi di Parigi, di prostitute e ladri che si muovono nell’oscurità, guardo i miei danzatori che danzano ignari e gioiosi vestiti di rosa come delle bomboniere e in quel momento sarei voluta sprofondare! Per mia fortuna quel giorno Paolo era distratto dalla scaletta della diretta e non si accorse, o se si accorse mi perdonò… giuro da quella volta ho cercato sempre di non sottovalutare nulla. Ancora oggi racconto questo aneddoto ai miei allievi come monito per la loro carriera!
Insieme abbiamo condiviso una Giuria ad un concorso internazionale di Danza, come ti accosti nel dare un giudizio agli allievi, chi ti colpisce al di là della tecnica e secondo te quanto sono importanti questi tipi di manifestazione?
Sono importanti per consentire agli allievi di confrontarsi con altre realtà oltre alla scuola in cui stanno crescendo. A me personalmente colpisce particolarmente la musicalità e la parte interpretativa di chi concorre oltre naturalmente ad alcuni doti tecniche basilari. Ma, ad esempio, se in una coreografia di 2 minuti e mezzo vedo tre giri attitude, o slanci di gambe ampi e belli, non ho bisogno di vederli dieci volte… Ecco mi piace la somma di tutte queste qualità: tecnica, musicalità, interpretazione, generosità e ovviamente se c’è anche la parte coreografica, questa deve risultare libera e coraggiosa.
E un tuo parere sui talent televisivi, genere che imperversa ovunque?
All’inizio sono stati un’ottima opportunità per chi non aveva magari possibilità di studiare in grandi città e veniva da un paesino sperduto, hanno mostrato che siamo un paese ricco di Arte e Artisti. Ora mi sembrano un po’ troppi, mi piacerebbe ancora vedere dei bei varietà, nel senso moderno del termine, dove ci sono artisti eccellenti con altrettanti numeri (l’ultimo di Fiorello mi era piaciuto moltissimo e il pubblico lo ha premiato con gli ascolti e il gradimento!).
C’è in particolare un ballerino o una ballerina del panorama internazionale con cui ti piacerebbe lavorare?
Mikhail Baryshnikov, farei qualsiasi cosa… lo amo da quando avevo quindici anni.
A tuo avviso per un coreografo è necessario essere stato in passato anche un danzatore?
Posso parlare per me, nel mio caso sì, poiché quando monto posso attingere da me e il mio corpo riesce a trasformare la musica in danza, oltre ad una parte che produce sul lavoro e l’improvvisazione dei danzatori.
Cosa ami di più nella tua professione di insegnante e docente?
Riuscire a tramandare agli allievi. Con questo gesto ti torna indietro una tale quantità di gioia e soddisfazione inimmaginabile, la quale ti nutre e non ti fa sentire mai stanco.
Tra tutti i tuoi maestri del passato a chi vorresti dire un sentito “grazie”?
Paola Olivieri, genio folle e un po’ sfortunato…
Nella tua carriera sono sempre state tutte “rose e fiori”? Hai incontrato grandi ostacoli?
Nella prima parte della mia carriera non ero proprio così “collaborativa”, ai tempi pensavo fosse giusto poiché volevo difendere la mia idea il mio “bambino creato”, ho compreso poi che con una sana discussione si può giungere ad una via di mezzo (in senso bhuddista ciòè che l’apporto degli altri, se li stimi, può dare un altissimo valore aggiunto al tuo lavoro).
Le tue coreografie nascono sempre dalla disciplina modern ma nell’ambito della danza classica, quali sono i balletti del grande repertorio a cui sei più legata?
Ho amato molto il “Don Quixote” con Mikhail Baryshnikov a cura dell’ABT e lo “Swan Lake” di Matthew Bourne’s.
Quanto è importante la musica in una tua creazione? E quali sono i tuoi generi più amati, musicalmente parlando?
È importantissima, spesso è quella che fa nascere la storia. Amo tutti i generi, la musica leggera, quella classica, la musica più attuale e maggiormente raffinata. Amo i testi sia in italiano che in inglese. Nell’ultimo anno ho riscoperto la musica degli anni ’60 e ’70 italiana, montando “La voce del silenzio” e ho provato piacere constatare che viene apprezzata anche a chi, oggi, ha vent’anni e me lo conferma a fine spettacolo, malgrado qualche perplessità iniziale scoprono poi tale bellezza melodica. Trovo indispensabile far conoscere anche ai miei giovani allievi, le diverse tipologie musicali così da poter amare anche loro celebri brani come quelli dei Supertramp, Arisa, Katie Melua, Stateless e Fade Out Lines.
Siamo amici e ti ho sempre apprezzata per la tua cortesia e professionalità. Ma com’è, in realtà, Anna Rita Larghi?
Sono buddhista e per noi il credo è quello di saper vivere in maniera consapevole ed illuminata e nel rispetto degli altri. Cerco sempre di farlo, a volte non è così semplice, soprattutto nella mia giovinezza; ora penso che comprendere qualcuno diverso da noi sia meglio che criticarlo superficialmente, e quindi preferisco affrontare anche le difficoltà o le incomprensioni creative. Inoltre, come tutti gli artisti, adoro essere amata dalle persone che ho intorno, dagli allievi, dai danzatori e dal pubblico e questo mi infonde tanta forza e gioia.
Meglio il teatro o la televisione?
Tutti e due purché fatti con dedizione e amore.
Per te cosa rappresenta realmente l’Arte della danza?
Rappresenta ciò che sono, una grandissima parte di me, una continua e perenne gioia.
Michele Olivieri
Foto di Cristian Quinto
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