Si è spenta a Milano Loreta Alexandrescu, amatissima insegnante di danza della Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala. Malata da tempo, ci ha lasciati in maniera discreta, con lo sgomento di tutto il mondo della danza, così come ha vissuto tutta la sua intera vita.
Loreta Alexandrescu diplomatasi nel 1975 in danza classica all’Accademia Nazionale di Coreografia di Cluj-Napoca (Romania), inizia da subito la carriera di ballerina professionista ballando tutto il repertorio classico e venendo nominata, nel 1977, prima ballerina al Teatro Rapsodia di Bucarest. L’anno successivo si trasferisce in Italia dove, alla carriera artistica affianca quella di insegnante di danza classica, storica e di carattere e quella per Maître de Ballet. Dal 1988 insegna danza classico-accademica, danza storica e danza di carattere presso il Dipartimento Danza dell’Accademia Teatro alla Scala (già Scuola di Ballo del Teatro alla Scala), ove è anche assistente coreografa per i balletti messi in scena dai ragazzi della Scuola di ballo stessa. Attualmente collabora mensilmente con scuole di tutta Italia tenendo corsi di formazione di tutti i livelli.
Dall’intervista per il Giornale della Danza del 2017
Sei nata per la danza?
Nati per ballare? Credo proprio che il talento è importantissimo, ed è una dote fondamentale, ma non è tutto, bisogna sviluppare il cervello. Il nostro corpo fa ciò che il cervello dice, quindi se vuoi sviluppare il tuo talento e la tua memoria muscolare devi migliorare il tuo cervello intensificando la pratica. In due parole, lavoro e qualità. Ero una bambina felice che giocava nei boschi di una delle più belle città di montagna della Romania, Sinaia. A quei tempi era già un privilegio. Avevo una famiglia istruita e benestante, vivevo in una bellissima villa vicino al Castello Peles, ma la vita non era per niente facile e si viveva nella dittatura. La libertà d’opinione era completamente negata, la politica di Ceaușescu stava prendendo forza. Nella mia città c’era solo una piccola scuola di danza nella “Casa della Cultura” e io volevo studiare in una scuola professionale, quindi mi portarono nella scuola di Bucarest ma dopo quattro mesi me ne tornai a casa sotto le insistenze di mio padre che sognava una figlia medico. Durarono poco le sue speranze perché appena iniziato l’anno successivo, fui notata alla lezione alla “Casa della Cultura” dal Maestro O. Stroia direttore della scuola di Cluj Napoca, (ora la scuola porta il suo nome) e chiese a mio padre di portarmi a sostenere l’esame di ammissione. Lontano da casa, ma questa volta più determinata, cominciarono i miei nove anni di collegio, tra gioia e sofferenza.
Per te danzare è sempre stato un modo per sentirti libera?
Per me la danza significa libertà in due sensi, uno mio, personale, dare atto alla mia voglia di volare, inteso come voglia di crescere e vivere attraverso la danza, e quello che socialmente dovevo affrontare, sottrarmi al destino comune, uscire dallo squallore della quotidianità in un paese sempre più oppressivo. Devo però dare atto e ringraziare il mio paese per l’organizzazione scolastica di allora senza la quale non sarei mai riuscita a compiere il mio sogno. Vitto, alloggio, scarpette e punte, istruzione ad altissimo livello, tutto dato gratuitamente dal sistema di istruzione. Rigidissime le condizioni di vita, studio e lavoro ma altissima la selezione e la qualità.
Cosa ti rende più soddisfatta nel tuo lavoro all’Accademia Teatro alla Scala?
La Scuola di ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala, pur non essendo così giovane (più di 200 anni) non dà segni di stanchezza, anzi, il livello professionale dei ragazzi è in costante crescita. Sotto la direzione di Anna Maria Prina prima, e Frédéric Olivieri e Maurizio Vanadia ora, i nostri ragazzi riescono a trovare lavoro subito finiti gli studi. Sono molto contenta quando ragazze giovani come Nicoletta Manni, Rebecca Bianchi, (diplomate da me) sono già prime ballerine a 27 anni. Mi commuovo tutte le volte che vedo i miei ragazzi ballare. Perché i miei ragazzi? Perché li conosco da quando erano bambini, perché insieme abbiamo scritto una pagina di storia della nostra vita!
Redazione