Alla vigilia della fiera di danza più attesa dell’anno, il giornaledelladanza.com ha raccolto per i suoi lettori i commenti e i dati di Sonia Ciaranfi, che sin dalla prima edizione di Danzainfiera si occupa dell’organizzazione e della gestione dell’evento in qualità di responsabile della comunicazione. Anche grazie al suo prezioso lavoro è stato possibile realizzare all’interno della manifestazione la nuova iniziativa “Uomini della danza” promossa dal direttore del giornaledelladanza.com Sara Zuccari.
Siamo alla vigilia della settima edizione di Danzainfiera: un appuntamento oramai divenuto imprescindibile per gli amanti della danza e non solo. Lei si occupa della manifestazione sin dalla prima edizione, nel 2006, in qualità di responsabile della comunicazione e si può dire che, da questo punto di vista, l’ha vista nascere e crescere. Dalla sua esperienza, ci può dare qualche dato che renda l’idea di come l’evento sia cresciuto fino a diventare quello che è oggi?
Per moltissimi aspetti, si può dire che Danzainfiera sia nata fin dall’inizio già grande perchè il suo “concept” ha puntato subito all’unione di 3 aspetti diversi ma complementari come spettacolo, formazione e impresa. Quello che è cresciuto nel tempo è la diffusione e la conoscenza sulla sua struttura “aperta e partecipativa”. In effetti, all’inizio è stato difficile comunicare la formula innovativa di DIF, dove il pubblico non si limita ad essere spettatore ma invece è invitato a prendere parte a tutte le attività proposte: ballare, sul palco e nelle aule, scoprire prodotti utili per la danza, parlare con i grandi maestri, provare stili e generi di ballo inattesi… Adesso, alla settima edizione, possiamo dire che il progetto è stato davvero compreso e condiviso da chi ama la danza e il ballo ed oggi Danzainfiera è diventato un punto di riferimento, di confronto, di scambio e di promozione per tutto il settore.
In sei edizioni, dal 2006 al 2011, Danzainfiera ha contato circa un milione di visitatori. Come si riesce a gestire dal punto di vista comunicativo un evento che peraltro oltre a ballerini, casting, spettacoli e visitatori, cioè all’aspetto prettamente artistico, deve preoccuparsi anche dell’ambito commerciale?
Questi ambiti convivono normalmente e non sono diversi. Non è per niente strano “pagare” – associando l’idea del denaro a quella del ballo e della danza – per veder danzare una étoile o per acquistare un magnifico abito da esibizione. L’idea è quella di presentare queste cose insieme – in spazi diversi, ma nello stesso evento – in modo da poter entrare davvero nel “mondo della danza”. Che è fatto, sì di artisti e coreografi meravigliosi, ma anche, ad esempio, di grandissimi artigiani, stilisti e designer di moda. Anche loro sono una parte fondamentale del mondo della danza e non c’è motivo di ritenere la loro passione come qualcosa di semplicemente commerciale.
Tra le novità di quest’anno c’è anche l’iniziativa “Uomini della danza” ideata dal direttore Sara Zuccari con la sua collaborazione: una serie di incontri e interviste sul tema sempre attuale del rapporto tra danza e essere uomo. Verranno ricordati danzatori rimasti nella storia come Nijinsky e Nureyev, la cui immagine è forse la più comunicativa di sempre nella storia della danza maschile. Quanto conta secondo lei, nella danza come in ogni altro ambito, l’immagine che si da di sé e quanto un’immagine può essere portatrice di una valenza simbolica in grado di rimanere impressa nelle menti di più generazioni, come è avvenuto per questo grande artista?
Le passioni degli uomini e delle donne, quando si parla di arte, possono essere davvero molto simili. È anche vero che, alla base, lo spirito competitivo dei “maschi” li porta più spesso (ma non esclusivamente, certo) ad esprimersi fisicamente in attività, come gli sport, piuttosto che in quelle più strettamente artistiche, come la danza. È così che le scuole di danza sono più frequentate da ragazze che da ragazzi; e quando diventano étoile, allo stesso livello delle donne, gli uomini diventano ancora più importanti perché più rari nel panorama dei grandi artisti. Per le donne, questa componente è davvero più complessa, perché la sfida passa anche attraverso la quantità di “concorrenti” da superare.
I grandi ballerini, e sono comunque grandissimi, restano scolpiti nella mente proprio perché più “rari”.
Ancora una domanda che le porgiamo in qualità di esperta del settore della comunicazione: oggi l’arte, e la danza in particolare, ha trovato nuovi canali di divulgazione rispetto a quelli tradizionali che la confinavano nei teatri o nei musei. Basti pensare alla televisione, al web, al cinema etc. Qual è il suo punto di vista rispetto alla diatriba tra chi sostiene che i nuovi media siano un bene e chi li ritiene tra le cause di una presunta decadenza dell’arte di oggi?
La crescita di canali di comunicazione è sempre un bene, perché permette a tutti di esprimersi, ad ogni livello. È possibile che alcuni “strumenti” mainstream, come ancora la televisione, abbassino la loro proposta al livello del target generalista, ma quando la grande danza si poteva vedere solo nei grandi teatri e solo dal vivo, una grandissima parte degli appassionati non poteva neanche accedere al grande spettacolo della danza.
Conoscere e farsi conoscere, diffondere la propria passione, cercare il confronto con gli altri o cercare la propria nicchia di attività, utilizzare a fondo le opportunità dei new media (che non sono utilizzati esclusivamente da chi fa danza di avanguardia) sono tutte attività che possono aiutare a far crescere la danza.
Francesca Romana Famà