La forte determinazione di voler ballare ad altissimi livelli ti ha portato a compiere delle scelte sofferte sin da piccolo: hai lasciato il tuo paesino in Campania, i tuoi genitori, la tua quotidianità per inseguire i tuoi sogni. Guardandoti indietro, cosa vedi? E soprattutto: avresti magari agito diversamente?
Non avrei potuto fare che questa scelta. Vent’anni fa non c’erano tutte le opzioni che, invece, ci sono oggi: non c’era Internet, non avevamo una vasta scelta di programmi televisivi e nemmeno un carnet di studi liceali e universitari. Nel mio piccolo paese le alternative di studio erano poche: indirizzo scientifico, classico o tecnico…e nessuno di questi faceva per me. Le possibilità di svago, inoltre, erano pressoché inesistenti. La frequentazione di una scuola di musica e di danza mi faceva sentire diverso: avevo delle passioni fuori dal comune che probabilmente preoccupavano e al contempo affascinavano la mia famiglia. Ogni nuovo brano musicale che ascoltavo (che scoprivo dai Juke box della spiaggia quando si andava al mare o guardando i pochi programmi musicali presentati in tv) era per me un incentivo a passare del tempo chiuso in casa ad improvvisare e a sognare. Soprattutto sognare di partire, lasciare il paese dove già da tempo non mi sentivo più a mio agio. Alcuni dei miei amici di scuola avevano già scelto di voler trovare un lavoro perché c’era la necessità di apportare un aiuto finanziario alla famiglia o perché non avevano altri interessi. Invece quello che volevo fare io avrebbe portato tutta la mia famiglia a grandi sacrifici soprattutto economici: doveva essere ancora di più una scelta meditata. Ancora oggi é vivo in me il ricordo della grande determinazione a voler partire a tutti i costi. E ringrazio la mia famiglia di avermi alla fine sostenuto. Ma é proprio adesso che, ripensando al passato, mi accorgo che non avrei potuto agire diversamente. Aver fatto tutto questo? Una scelta normale che sono molto felice di aver fatto. Ho sempre cercato di superare tutte le difficoltà e oggi ne conservo solo dei bellissimi ricordi. È vero: ho fatto degli errori ma sono stato capace di affrontarne le conseguenze, forse anche grazie alla consapevolezza di non dover deludere e di cercare di riuscire, perché non ci sarebbe stata una seconda possibilità. Ho avuto la fortuna di aver incontrato maestri di danza bravissimi che mi hanno portato a volere studiare sempre di più. Pochi complimenti e molte critiche sono serviti giornalmente a crearmi una disciplina e a cercare di migliorarmi.
Il diploma di danzatore e poco dopo…sei partito immediatamente per una tournée molto importante. Come ti sei sentito prima e soprattutto dopo aver ballato?
È stato meraviglioso: per la prima volta sono partito per un paese così lontano. Ritrovarmi in Messico era prima di tutto una sensazione di libertà e di riuscita, e in più potevo mostrare ai miei genitori che ballare non era solo un hobby ma una vera opportunità di guadagno. Ricordo una grande emozione nel prepararmi, un forte stress a Mexico City per le difficoltà di respirazione a causa delle condizioni ambientali e una grande felicità dopo ogni spettacolo quando, usciti dai teatri, la gente ci aspettava per vederci da vicino. Le prime serate tra veri ballerini, i primi scherzi tra colleghi: un grande divertimento. Ricordo molto bene anche le critiche del maestro di ballo dopo ogni spettacolo. In ogni caso una bellissima esperienza.
Anche tu, come numerosi tuoi colleghi, hai deciso di proseguire a danzare in Germania. Che cosa ti ha dato questo paese?
La Germania é stata per me come una seconda patria. Ci sono rimasto per 13 anni e ne sono molto felice, anche se devo dire che non era proprio lì che sognavo di passare parte della vita o comunque costruire quella artistica. Ad essere sincero, la Francia mi affascinava di più ma è andata diversamente…e per fortuna! È il paese che mi ha dato la libertà di esprimermi e di crescere come persona e come ballerino. Non è stato sempre facile, soprattutto per quanto riguarda la lingua. Nel momento in cui sono riuscito ad averne una buona padronanza tutto è diventato più semplice, almeno nel quotidiano: collaborazioni, amicizie, ma anche amori e delusioni. Tutti sono stati molto importanti.
Se ti dico Uwe Scholz, a cosa pensi?
Uwe é colui che ha fatto di me quello che sono come artista. Ha creduto in me e mi ha dato la possibilità di entrare nel suo mondo creativo. Mi ha spinto a superare ostacoli e mi ha dato i mezzi per potermi esprimere e ricercare. Mi ha aiutato a trovare un mio modo di interpretare le sue opere ma anche ruoli del repertorio classico, neoclassico e contemporaneo. Mi ha dato la possibilità di sviluppare anche un senso critico non solo nei miei confronti per affinare il mio modo di ballare, ma anche per potermi costruire un futuro dopo il palcoscenico. Già da un anno, ad esempio, mi é stato affidato il compito di rimontare balletti di Uwe Scholz e di Marco Goecke. Un compito non facile ma che mi sta regalando molte soddisfazioni e che mi aiuta a crescere ancora di più.
La danza comporta tanti sacrifici: tu come hai reagito e come hai saputo affrontare le difficoltà incontrate sul percorso di danzatore?
Le soluzioni ai miei problemi? Il lavoro, l’emozione e il divertimento. Quello che mi ha dato la voglia di andare in teatro tutti i giorni e prepararmi per le prove e gli spettacoli. Affrontare le difficoltà tecniche consapevole che soltanto con un lavoro giornaliero si raggiungono certi risultati. Cercando di non peccare di presunzione ad ogni piccolo successo ma con la voglia di arrivare al giorno dopo per un nuovo inizio. A riconoscere prima di tutto i miei limiti e ad avere fiducia nei miei colleghi di lavoro e a non pretendere ma a dare. Ho sempre cercato di fare tutto al massimo delle mie possibilità, anche con un pizzico di follia a rischiare e cercare di ritornare a casa a fine giornata, conscio di essere stato onesto. Non ho mai pensato di fare tutto quello che ho fatto per il successo o per altri futili. L’ho sempre presa come una devozione e voglia vera di esprimermi e continuare un percorso iniziato già 29 anni fa. Un giorno, purtroppo, tutto finirà: voglio arrivare a quel momento ed essere soddisfatto di tutto quello che ho fatto e senza nessun rammarico.
Hai interpretato tantissimi ruoli…quale manca ancora alla tua lista di “preferiti”?
Sono sicuro di essere, forse, uno dei pochi a non avere una lista di ruoli preferiti. Non ho mai inseguito una compagnia o un direttore per il suo repertorio: sono arrivato a Nizza perché era uno dei miei sogni andare in Francia e vivere in questo paese per un po’ di tempo. Sono stato a Dresda perché c’era una grande personalità come Derevianko e un mio amico me lo aveva consigliato vivamente, pensando facesse per me. Ha avuto proprio ragione! Mi sono, successivamente, trasferito a Lipsia per Uwe Scholz. Ho seguito un coreografo, non un repertorio non di ruoli ma di personalità. Interpretare, comunque, ruoli di balletti classici è stato anche motivo di arricchimento del mio bagaglio artistico: credo sia importante per un ballerino spaziare nei diversi stili rispettando sempre le proprie qualità. Ma il mio vero interesse credo, con il passare degli anni, si sia spostato sempre più sulla ricerca e la creazione. Sono stato richiesto per un progetto in Giappone che mi metterà in scena con il massimo esponente di Teatro Noh giapponese, il Maestro Reijiro Tsumura.
Un ballerino interpreta un personaggio e ne esprime sensazioni e sentimenti. Tu riesci a mettere “del tuo”, le tue paure e le tue gioie quando danzi?
Sempre. Ho sempre voluto riportare ogni ruolo alla mia realtà. Credo sia l’unico modo per essere liberi nel ballare ed essere se stessi. Spesso è anche capitato che alcuni ruoli intensi o drammatici capitassero proprio in momenti magari un po’ più tristi: non ho proprio potuto evitare un coinvolgimento emotivo più profondo. Ho sempre cercato di dare un significato ad ogni passo e ad ogni gesto perché potesse risultare il più naturale possibile. Se ci sono riuscito non lo so: sta al pubblico deciderlo! Quello che posso dire è che ho sempre cercato di metabolizzare ogni ruolo perché potessi essere sempre io, Giovanni. Non uno stereotipo o una copia di qualcuno.
C’è un interprete a cui ti ispiri quando prepari una coreografia?
Ho sempre preferito dare un significato a stile e personalità: Anthony Dowell, Micha Baryshnikov, Manuel Legris, Roudolf Noureyev, Fernando Bujones sono alcuni. Ho, comunque, imparato molto anche da colleghi magari non famosi come quelli citati.
Una domanda che non può mancare: come ti vedi tra dieci anni?
Spero sempre in buona salute e sempre con la voglia di sorridere. Se ci sarà anche una persona al mio fianco con cui condividere bei momenti, non solo in campo lavorativo, ancora meglio…Spero solamente di poter fare sempre qualcosa di interessante non solo per me stesso. Avrò sicuramente accumulato esperienze importanti per intraprendere una nuova carriera e ricoprire altri ruoli, sempre se me ne sarà data la possibilità. Ma non forzerò nulla. Accadrà come è successo fino ad ora nella mia vita. Io ce la metterò tutta come sempre per fare meglio: se il mio futuro sarà nel mondo della danza o dell’arte in generale ne sarò ancora più felice. Spero che il mio modo di vedere il mondo dell’arte e della danza in particolare non sia solo utopia. Stiamo attraversando un periodo un po’ difficile ma ce la si può fare, soprattutto se si sposta l’interesse dal personale all’altro e si risveglia l’interesse negli altri. I giovani di oggi devono avere la possibilità di capire cosa si sa fare nella vita. Allo stesso tempo, bisognerebbe far capire che non tutti possono sempre fare quello che vogliono. Anche nell’ambiente artistico un esempio, a mio avviso, resta un’eccezione e non una generalità. Bisogna dare sempre la possibilità alla maggioranza di provare e fare cose di qualità, con ottimi professionisti. Si ha avuto, si ha e si avrà sempre bisogno di arte come modo di espressione e di comunicazione di persone con una sensibilità diversa. Allo stesso tempo, bisognerà fare anche qualche passo indietro e vedere se tutto ciò che si vede e ci viene presentato oggi ne vale veramente la pena.
Valentina Clemente
Foto di Felix Aarts