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Kledi Kadiu: dalla classica al tango con il linguaggio universale della danza

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Caro Kledi, da cosa è nato l’amore per la danza e come ti sei avvicinato a questa nobile arte?

 

Cominciai per gioco, circa all’età di sei anni, quando per la prima volta andai al Palazzo dei Pionieri, una struttura in cui tutti i ragazzi occupavano il loro tempo libero eseguendo attività come la danza, il canto e la recitazione a livello amatoriale. Poi quando mio padre vide che ero portato ed entusiasta, decidemmo di andare a sostenere l’audizione per l’Accademia di danza di Tirana.

 

Come descriveresti questa tua esperienza all’Accademia Nazionale?

 

Presso l’Accademia ho vissuto un’esperienza molto valida, quel tempo mi marcò molto. Ringrazio la mia generazione di maestri, allora appena giunti dall’ex Unione Sovietica, i quali seguirono la mia formazione e mi hanno permesso di essere oggi qui a parlare.

 

E nel Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera sempre di Tirana che aria si respirava?

 

Si respirava un’aria piuttosto tranquilla, come in tutti gli enti lirici: i ballerini sapevano esattamente che ruolo dovevano interpretare e il repertorio era quello tradizionale oppure limitato a temi patriottici e predisposto a causa del regime, non avevamo quindi particolari stimoli o forti competizioni.

 

Prima di trasferirti dall’Albania in Italia hai ricoperto ruoli solistici in balletti di repertorio quali Giselle, Schiaccianoci, Don Chisciotte, Dafni e Chloe e tanti altri. Cosa conservi di quel periodo?

 

I primi ruoli solistici ricoperti all’Opera furono le mie iniziali esperienze lavorative, quindi le più emozionanti e gratificanti in quanto tutto risultava nuovo e immenso ai miei occhi. Ricordo con immenso piacere il primo ruolo assegnatomi, il passo a due dei contadini in Giselle, ma anche il ruolo del Torero in Don Chisciotte e quello principale nella versione rivisitata dal nostro coreografo albanese in Dafni e Chloe.

 

Tra tutti i tuoi maestri chi ricordi con più gratitudine?

 

Ricordo in primis il mio maestro che mi ha cresciuto e seguito durante il percorso accademico, Ilir Kerni, attuale direttore del Teatro dell’Opera di Tirana ma anche il direttore della scuola dell’epoca Ramazan Kellezi e il coreografo del Teatro, Agron Aliaj, che ha accompagnato diverse generazioni di ballerini fino alla sua scomparsa due anni fa.

 

 

La tua famiglia ti ha supportato in questa scelta di entrare nel mondo della danza?

 

Sì sempre, la mia famiglia mi è rimasta accanto e come ho già detto fu mio padre il vero “promotore” di tutto. All’epoca in Albania non esisteva però il pregiudizio del “maschio che studia danza” come vige tuttora in Italia, quindi riconosco di aver avuto facilità ad inserirmi nella società.

 

Sei l’unico in famiglia che si occupa di danza?

 

Sì sono l’unico artista in famiglia.

 

Una volta giunto in Italia, precisamente nel 1993 a Mantova e poi a Rovereto hai incontrato il maestro Carlo Palacios che ti ha indirizzato verso la carriera televisiva. Come ti ha arricchito quel periodo trascorso a Mantova e Rovereto e quale insegnamento ne hai tratto per la tua carriera?

 

Mantova fu la mia prima esperienza in Italia, la più difficile a causa del cambiamento di lingua, abitudini, mentalità e tradizioni. Carlos Palacios fu il primo maestro che mi notò e mi aiutò ad inserirmi nel “giro” e da lì ebbi le mie prime esperienze anche con la danza moderna visto che il mio studio in accademia era rigorosamente ed unicamente classico.

 

Che differenza hai notato tra la danza accademica in Albania e in Italia?

 

Sicuramente l’Albania mantiene tuttora la tradizione del metodo russo mentre trovo che l’Italia si sia evoluta e abbia integrato diversi stili, tecniche e pensieri innovativi da tutto il mondo. Il mio paese natale è rimasto molto indietro sotto questo aspetto, avrebbe bisogno di una ventata di modernità ma stiamo lavorando su questo punto affinché anche lì la Danza possa evolversi.

 

Purtroppo vige ancora il pregiudizio nei confronti dei danzatori maschi, soprattutto per quelli che intraprendono la carriera classica. Per molti genitori è considerata una professione da “femminucce”. Cosa si può rispondere a tali affermazioni e a tutti coloro che ostacolano i sogni di tanti giovani ballerini che preferiscono lasciar perdere piuttosto che doversi confrontare con dicerie e soprusi?

 

 

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Parto dal fatto che in Albania un ragazzo che iniziava a seguire lezione di danza, lo faceva per stare in mezzo alle ragazze ed è per questo che io iniziai!!! Detto ciò non voglio assolutamente presupporre niente… la danza è una disciplina talmente sofisticata, intima e specifica in ogni singolo movimento che è praticamente impossibile per chi ne sta al di fuori comprenderne l’intimo rapporto che si crea tra il corpo e l’anima del danzatore. È sempre stata un’arte “stereotipata”, rappresentata da tutù e scarpette rosa, ma è ovvio che il significato è molto più profondo e chi ne è appassionato lo sa perfettamente.

 

Con quale coreografo ti piacerebbe lavorare?

 

Mi piacerebbe molto lavorare con il coreografo Amedeo Amodio che ho avuto modo di intervistare nel programma di Danza su Rai 5 dove abbiamo dedicato un’intera puntata alla sua biografia e alle sue creazioni. Lo stimo molto sia dal punto di vista professionale sia come persona: ha una sensibilità umana e un vissuto splendido. Dei suoi lavori cito la Carmen, uno spettacolo incredibile interpretato dalla mia collega e connazionale Anbeta Toromani al Teatro Massimo di Palermo.

 

Il mondo della danza è per molti versi affascinante anche se venato da gelosie e invidie. Potresti descriverlo per i nostri lettori?

 

Ho sempre detto che per inserirsi nel mondo della danza, specialmente a livello professionale bisogna essere preparati e soprattutto possedere un carattere particolare. Ho assistito a talmente tante cattiverie legate alla gelosia che non saprei quale raccontare… ricordo quando alcune colleghe di una mia cara amica le tagliarono i lacci nelle punte 15 minuti prima dell’inizio dello spettacolo, che cattiveria!

 

Come si svolge la tua giornata tipo attualmente? Sei in sala danza tutti i giorni?

 

Ora come ora no. Mi alleno molto spesso facendo la classe di danza o andando in palestra ma sento la necessità di dedicarmi anche ad altro. Rimane comunque la disciplina che più amo svolgere.

 

C’è uno spettacolo che hai visto da spettatore che maggiormente ti ha colpito?

 

Sì, ricordo con grande piacere una serata del Nederland Dans Theater, una delle mie compagnie preferite in Olanda. I ballerini sono meravigliosi e il loro repertorio è vastissimo e molto rinomato.

 

Mentre in quelli interpretati da te, quale ruolo ti ha emozionato in particolare?

 

Il mio ruolo nello spettacolo Contemporary Tango anche perché visto il successo, ho avuto modo di poterlo perfezionare nel corso del tempo e renderlo mio al 100%.

 

 

Ti abbiamo visto anche al cinema interprete in alcuni film. Ti piacerebbe ripetere quest’avventura? E quali sono le sostanziali differenze espressive nel linguaggio artistico del cinema e della danza?

 

Certo! È stato un vera sfida per me, specialmente per l’ostacolo della lingua, però mi è piaciuto molto, lo rifarei. Per quanto nella danza è il linguaggio dei muscoli che parla e il suono della musica che traina il tutto, nel cinema purtroppo si usa spesso e volentieri solo la parola… E per me è molto più semplice eseguire passi complicati piuttosto che sostenere un dialogo faccia a faccia con qualcuno (per esempio).

 

Qual è il sacrificio più grande che richiede l’essere danzatore?

 

Il controllo costante del fisico: evitare gli eccessi nella dieta, le dure ore di lavoro e gli inevitabili infortuni… il corpo è il nostro strumento.

 

Oggi dopo anni di esibizioni, provi sempre le stesse emozioni a salire sul palcoscenico?

 

Ogni volta è come se fosse la prima… ovviamente ora ho molta più esperienza e sicurezza ma uno spettacolo non sarà mai uguale a uno già fatto. Dipende da tanti fattori: lo stato d’animo, le condizioni fisiche, il pubblico, il teatro… è sempre una sorpresa.

Inevitabile la domanda e magari anche un po’ banale dato che attualmente sei nel cast di “Amici” una delle trasmissioni cult della televisione italiana. Cosa ne pensi dei talent televisivi sulla danza? Di tutto questo proliferare di trasmissioni votate al talento… a tuo avviso servono realmente per i giovani che desiderano intraprendere la carriera artistica e non solo di danza? A volte sembra che la lite prevalga sulle effettive doti artistiche e sul lato tecnico?

 

Sicuramente i talent televisivi, per quanto estremamente criticati, sono la più grande vetrina che un artista possa avere. Sono dell’idea che se una trasmissione è fatta seriamente, con le giuste regole e con veri professionisti, i quali possiedono competenze allora sia un bene per gli artisti. Ovviamente si parla di televisione ed è normale che le dinamiche siano diverse da quelle quotidiane, gli scontri e i litigi sono comunque normali, non tutti la pensiamo allo stesso modo per fortuna. Sono anche il primo a dire che la via della televisione non sia l’unica, anzi! Per arrivare al successo e far carriera bisogna fare la gavetta, innumerevoli audizioni, andare all’estero e vedere più realtà possibili.

Un aggettivo per descrivere Maria de Filippi?

 

Maria è una grande stratega ed è davvero brava a fare il suo lavoro.

Oggi hai una Scuola di danza molto affermata. Secondo te quale sono i punti di forza della compagnia e della scuola?

 

Ho due scuole a Roma e sicuramente riconosco come punto di forza gli insegnanti che ho scelto. Hanno tutti una buona formazione ma soprattutto hanno avuto esperienza sul palcoscenico, valore molto importante da trasmettere agli allievi.

 

A tuo avviso come si riconosce un buon insegnante di danza?

 

L’insegnante dev’essere in primis metodico. Deve avere chiare le basi dello studio ed essere appassionato e soprattutto deve saper trasmettere chiaramente i concetti… è molto importante specialmente per i più piccoli.
Oltre alla danza quali altri passioni coltivi?

 

Sono malato di tecnologia!

La letteratura a mio avviso è fondamentale nella formazione culturale di una persona, tu hai scritto anche un libro di successo, la tua autobiografia “Meglio di una favola”. Quale valore dai alla lettura? E quali sono le tue letture e gli autori preferiti?

 

“Leggere un libro non è uscire dal mondo, ma entrare nel mondo attraverso un altro ingresso”. Mi piace leggere qualsiasi cosa purché mi prenda da subito. Attualmente sto leggendo La fine è il mio inizio di Tiziano Terzani che stimo particolarmente e non solo come scrittore.

Non credi che nelle scuole di danza oltre alle lezioni pratiche si debba ritornare anche allo studio teorico della Storia della Danza? Molti giovani allievi ignorano le origini del balletto, le differenze tra i vari stili, i grandi nomi che hanno segnato e rivoluzionato l’arte coreutica…

 

Sì è vero, molti ragazzi che studiano danza non sanno nemmeno come e dove sia nata e come si sia evoluta. Nelle grandi scuole e accademie gli allievi studiano sia storia della danza sia educazione musicale: credo che anche nelle scuole private queste discipline potrebbero essere un “plus” per i ragazzi ma devo ammettere che alla maggior parte non interessa proprio.

Sei chiamato spesso a tenere Stage come maestro in rassegne e scuole di danza? Quali sono gli aspetti positivi e negativi legati alle piccole realtà scolastiche di danza al di là delle Accademie?

 

Sì certo. È interessante tenere classi in tutta Italia, conoscere scuole, insegnanti e ragazzi in continuazione. Mi fa sorridere l’ammirazione e l’entusiasmo con cui sempre vengo accolto… gli insegnanti si impegnano per permettere agli allievi di studiare con maestri diversi ed avere stimoli nuovi in continuazione. È ammirevole. Ovviamente non sempre le cose funzionano; come in tutti i contesti dipende dalla professionalità delle persone con cui si ha a che fare.

 

Sei anche impegnato nel sociale, testimonial dell’Unicef e dell’AISM. Ci vuoi parlare di questa nobile esperienza al servizio dei più deboli?

 

Credo che non ci sia niente di più appagante del poter fare del bene agli altri. Queste esperienze sono davvero ricche di significati… ti aprono gli occhi, ti danno la spinta per reagire e voler cambiare le cose, per questo ho profuso tutto il mio impegno.

 

Ho avuto modo di conoscerti personalmente più volte, di averti visto danzare in teatro e di intervistarti in pubblico e la mia impressione rimane sempre la stessa… sei una persona di grande umiltà, semplicità e rispetto! Doti rare nel mondo della danza e questo ti rende onore! Secondo te quali sono i veri valori per una “sana” società?

 

La parola chiave per me è “rispetto”. Rispetto delle regole e per gli altri… La gente è molto egoista e spesso sleale.

 

Lo spettacolo “Contemporary Tango”, di cui parlavamo prima, con te protagonista insieme al Balletto di Roma ha avuto enorme successo. Cosa ha rappresentato attingere dall’anima del tango tu che arrivi da una cultura diversa e soprattutto dalla danza classica?

 

Questo spettacolo è un mix di stili raggruppati in un unico aggettivo (Contemporary) e in un ensemble di 12 danzatori. Il Tango è passione, irruenza e desiderio. Ammetto che non ho avuto difficoltà a immergermi in questo tema, è stato un processo naturale, anche nella vita sono così.

 

Qual è il tratto principale del tuo carattere?

 

Mi reputano spesso una persona entusiasta e appassionata.

 

Qual è stato il tuo momento di maggior orgoglio?

 

Il mio momento di maggior orgoglio è senz’altro l’aver ricevuto nel 2012 un riconoscimento dal Presidente del mio paese natale Bamir Topi, come divulgatore dell’arte a livello internazionale.

Qual è la delusione più grande che hai avuto nel mondo della danza?

 

Le delusioni nel nostro mestiere sono all’ordine del giorno, in particolare mi è rimasta impressa una delusione a livello burocratico, in quanto a causa del mio permesso di soggiorno non ebbi, a suo tempo, la possibilità di lavorare a un progetto per cui ero stato scelto.

 

Qual è la tua città preferita, tu che hai viaggiato moltissimo per lavoro?

 

Le mie città preferite sono Firenze e Lecce dove mi reco spesso per lavoro.

Tra tutti i generi musicali, quale ti piace ascoltare?

 

Di tutto.

Il tuo colore preferito?

 

Bordeaux.

 

Dal 2010 sei diventato anche uno dei volti di Rai 5, una delle più belle realtà culturali a livello mediatico, e il tuo programma “Danza” ti ha visto anche nelle vesti di conduttore, attento e capace. Ti sei trovato a tuo agio? Chi ricordi maggiormente tra tutti i personaggi intervistati e gli eventi condotti?

 

Ho avuto la fortuna di incontrare la famosa giornalista, scrittrice e critico di danza Vittoria Ottolenghi che mi ha in qualche modo “passato la staffetta” del suo memorabile programma Maratona d’estate andato in onda su Rai 1 per più di vent’anni. Da lì è poi iniziato il mio percorso di intervistatore appassionato di grandi personaggi della danza. Ricordo in particolar modo le due diverse rivisitazioni de Il Lago dei Cigni; quello di Dada Masilo energico, umoristico, contaminato dal suo particolare e unico stile afro e con accanto il grande tema dell’omofobia e dell’Aids e quello di Matthew Bourne così audace e originale. Molto diversi tra di loro ma entrambi geniali nella loro unicità.

 

Qual è la vacanza o il viaggio che vorresti fare e che non hai ancora fatto?

 

Un viaggio attraverso il sud-est asiatico.

 

Com’è il tuo rapporto con il cibo? Qual è il tuo piatto preferito?

 

Mi piace mangiare tutto, sto solo attento alla quantità. Adoro le lasagne!

A chi non ti conoscesse cosa vorresti far vedere di te?

 

Non so, forse la mia riconoscenza per qualsiasi piccola cosa.

 

La carriera del danzatore è sicuramente una delle più “fragili” e tra le più brevi. Come guardi all’evoluzione della tua professione?

 

Mi piace seguire i miei ragazzi nella loro formazione, organizzare eventi ma anche lo studio anatomico del corpo del ballerino… Tutto comunque in relazione con l’insegnamento e la trasmissione della mia disciplina.

 

Cosa fai prima di salire sul palco? Hai qualche rito scaramantico?

 

Quattro o cinque giri di corsa intorno al palco per riscaldarmi.

 

Cosa non manca mai nel tuo camerino?

 

Tre bottiglie grandi di acqua e un po’ di frutta secca.

 

Chi sono i ballerini attualmente in scena, sul piano internazionale, a cui riconosci l’eccellenza?

 

Non saprei, ne stimo molti e ognuno per un fattore speciale. Ammiro assai Massimo Murru e Davide Dato e tra le donne la splendida interprete Aurélie Dupont che ho avuto modo di ammirare nei suoi addii alle scene ad aprile, presso l’Opéra di Parigi nel balletto L’Histoire de Manon.


 

Per finire vuoi inviare un in bocca al lupo ai tanti ragazzi che sognano la carriera professionale da danzatori e anche lanciare un tuo consiglio per chi vuole intraprendere questa carriera?

 

Di avere coraggio e di essere pronti a rinunciare a tante cose, di essere consapevoli che è un mestiere difficile e selettivo e di saper accettare i NO. Di trovarsi un secondo lavoro e non affidarsi solo alla passione che spesso si rivela essere semplicemente un’illusione… purtroppo è così.

 

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

 

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