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Michele Abbondanza e Antonella Bertoni: la prova provata che non sappiamo più provare

Corpi emblemi di una cieca società: “Gli orbi” di Abbondanza/Bertoni

Excursus semiserio

Ed eccoci qua privati del minimo sindacale per lavorare: il “tu mi guardi e io faccio” respirando la stessa aria, non è più possibile. E poi sai, noi che in gioventù abbiamo visto Animal-house, ricordiamo che quando una cosa dura nel tempo e quindi si fa più dura, i duri cominciano a giocare (to play, recitare, suonare).

E con un vetro in mezzo o attraverso un video, non solo non è la stessa cosa: semplicemente non è.

Crediamo che per un teatro e una danza sani, a maggior ragione in questo periodo, servirebbero inspirazioni ed espirazioni sane, ancorché in solitaria, cogliendo, se vivi da artista (ars, artis=mestiere), la preziosità che un eremitaggio forzato può nascondere.

Beninteso che di questi tempi, la questione più che logica é pneumatologica, noi creativi del movimento, in questa “danza immobile” alla quale siamo sottoposti, dovremmo almeno fare in modo che le mascherine che indossiamo nascondano e rivelino nello stesso tempo, anche forme fantastiche; come a dar forma allo status quo creativo del portatore.

Qualche idea per creativi titubanti: novelli Joker? Il nero nasone di Pulcinella, phantom, the mask fino alla bianca algidità delle maschere orientali…e ognuno inventi quella che vuole.

Ancora una volta, parlando di teatro (danza) e quindi della vita, più che ispirazioni ci vorrebbero dinamiche e volatili traspirazioni dal vivo, l’indispensabile effluvio del teatro che non può passare da quei vetri, in quel baratto tra sangue e lacrime che dovrebbe sovrascrivere l’origine ed essenza del teatro stesso: il  separarmi (sipario!) da te mentre ti sussurro “guardami”, “ascoltami” e poi giudicami.

Ognuno è il “suo” teatro, il suo strumento; sai che sempre lo puoi suonare, sempre ti ci puoi muovere dentro e questa condizione che stiamo vivendo di solitudine e assenza di sguardi dovrebbe indurci, invece che a ripetere quello che facevamo dal vivo  attraverso click monologanti e sbarre da tastiera, anche ad una riflessione verso un autocentratura formativa e creativa.

E allora facciamo finta che io ero….(così si dice nelle fiabe):

Il Maestro più bravo del mondo e che sto preparando un assolo! (ad esempio…) e allora giro la luce in dentro, respiro quel mondo (non chiede altro che essere respirato) e parto.

Insomma bisognerebbe provare ad entrare, con la visionarietà che dovrebbe essere lasciapassare sicuro di ogni salvifico anticorpo, in quello stato mentale e situazione fisica che caratterizza quel particolare momento che chiamiamo:  “prove”.

Magari se ci riusciremo da soli (provare, provarci, vuol già dire: riuscirci), il risultato quale che sia, sarà una grande conquista per le eventuali lezioni, condivisioni e prove collettive che prima e dopo dovranno ricominciare per forza!

Ma al di qua dal vetro (e non al di là) et voilà:

La prova provata che sappiamo allenarci e provare.

Auspichiamo che quel germogliare di primavera, al quale ora ci è negato l’accesso, corrisponda ad un identico germogliare dentro ognuno di noi. Altrimenti temiamo che quei vetri di cui sopra, attraverso i quali non possono passare gli odori del teatro, saranno una barriera che tenteremo sempre inutilmente di oltrepassare.

In fondo il simbolo del teatro stesso è rappresentato da due mascherine: una che piange e l’altra che ride, decidiamo di volta in volta quale mettere, sapendo che una può contenere l’altra e che il mondo in cui siamo immersi può essere anche un meraviglioso contagio perpetuo.

Senza paure, senza vetri, quel “guardami”, provando una danza o una scena, potrà diventare “..mi guarderai e sarà ancor più bello”.

Compagnia Abbondanza/Bertoni

  (MA)

www.giornaledelladanza.com

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