Nei panni dello schiavo favorito, con i pantaloni alla turca dorati e la pelle dipinta di un grigio-azzurro scuro, Nijinsky correva sul palcoscenico come una creatura metà animale e metà serpente, pazza di desiderio; incantava Ida Rubinštejn, e poi moriva ai suoi piedi: «Era indescrivibilmente selvaggio, un gatto carezzevole, una tigre feroce; la sua leggerezza e la sua agilità erano incredibili, ma non perdeva mai la sensualità».
Si intitola Vaslav Nijinsky, un salto nel buio ed è uscita nel novembre 2014 la biografia di un grande genio della danza, un ballerino e un coreografo tra i più grandi di tutti i tempi, un artista della danza come pochi ne nascono, un pioniere che non ha mai perso il magnifico vizio di saltare nel buio, mirando sempre all’innovazione, sua fedele compagna di una vita.
Firmato da Lucy Moore, giornalista e autrice radiofonica, ed edito dalla EDT, nell’ambito della collana vite straordinarie, il libro racconta la storia di questa vita spezzata in due, seguendo una parabola che comincia alla Scuola imperiale di danza di San Pietroburgo nei primi anni del Novecento, passa dall’immenso successo dei Balletti Russi nella Parigi di Proust, Cocteau e Debussy, dal matrimonio con una giovane contessa ungherese, Romola de Pulszky, fino all’improvviso tracollo del 1917, a soli ventisette anni. Ne seguiranno altri trentatré, persi nelle tenebre della psicosi, fra ricoveri e momentanee riprese.
Nijinsky ha rappresentato un’esplosione di energia e sensualità tale da dividere ed entusiasmare le folle dei grandi teatri, la sua carriera fu straordinariamente breve: fra il debutto e l’abbandono delle scene passarono poco più di dieci anni. Sul suo talento grava- va l’ombra della schizofrenia, e un intenso ma distruttivo rapporto con il suo mentore e amante, il grande impresario Sergej Djagilev, non fece che accelerare le cose.
Al centro di questa grande arcata, il ritratto di un momento indimenticabile della storia artistica europea: il “successo di scandalo” del Sacre du printemps, il 29 maggio 1913. Un’esplosione di genio collettivo la cui eco non smette di riverberarsi anche ai nostri giorni, e di ricordarci il fascino e l’arte profonda ed elegante di Vaslav Nijinsky. Uno dei momenti più belli del libro è proprio la descrizione delle emozioni e dei pensieri di Nijinsky dietro le quinte, poco prima di aprire il sipario:
E poi, continuava a ripetersi, lui era il ballerino più bravo del suo tempo – il ballerino più bravo e, a Dio piacendo, anche il coreografo più bravo. Non solo un esecutore, dunque, ma un artista. Più di una volta il pubblico lo aveva proclamato il dio della danza; Sergej lo aveva eletto profeta del futuro del balletto. Un giorno, forse persino quella sera, con quel balletto, la potenza e la bellezza della sua arte avrebbero dimostrato che i critici si sbagliavano.
Leonilde Zuccari
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