La Sua carriera è iniziata dietro i “banchi di scuola” dell’Accademia Nazionale di Danza: che ricordo ha di quel periodo?
Quando da bambina frequentavo l’Accademia ero ribelle e recalcitrante alla disciplina. Soltanto con il tempo, da adulta, ho compreso l’importanza delle atmosfere e degli insegnamenti dell’AND nella mia vita personale ed artistica.
Terminati gli studi, ha iniziato a ballare con importanti compagnie, interpretando ruoli bellissimi e talvolta altrettanto difficili. Come si preparava?
Sebbene la mia carriera sia stata breve (ho smesso quando avevo 29 anni), le esperienze e l’intensità di lavorare al fianco di grandi danzatori e coreografi hanno sicuramente fecondato la mia creatività e il desiderio per la contaminazione di generi diversi e apparentemente inconciliabili. La mia preparazione per andare in scena avveniva con assoluta naturalezza: la sbarra innanzitutto e subito dopo, sdraiata sul palcoscenico, la concentrazione sui passi e la visualizzazione dell’insieme coreografico. Mentre tutto ciò avveniva… i maestri d’orchestra accordavano i loro strumenti.
Dopo le Sue numerose esperienze italiane, il grande balzo in avanti: un volo per il Canada, per iniziare la bellissima avventura del Vancouver City Dance Theatre, di cui lei è Direttore Artistico. Ci può raccontare come è nata l’idea di iniziare questo progetto?
La creazione del VCDT ha corrisposto alla mia esigenza di dare vita ad una “non-compagnia” avendo la necessità di costruire un progetto di comunicazione, piuttosto che una compagine stabile che ricalcasse il modello tradizionale. Per fare questo la dimensione virtuale del VCDT mi ha consentito e mi consente di privilegiare di volta in volta i contenuti e le scelte artistiche di produzione, ottimizzando al massimo le nostre risorse a beneficio dell’obiettivo che è quello di far pervenire i messaggi al più vasto pubblico possibile.
E perché proprio il Canada?
Avrei potuto realizzare questo progetto ovunque nel mondo proprio grazie alla sua virtualità. Il Canada è stata una scelta dettata da considerazioni di carattere generale. È un paese in formazione dove la multiculturalità è una fonte di ispirazione e di arricchimento artistico e culturale.
È stata da poco in Italia, portando nel nostro paese la pièce “Dreams of Dalì”, spettacolo che rappresenta un mondo surreale, una sorta di immersione nell’immaginazione di Dalì. Lei è riuscita ad unire attori e danzatori in uno spettacolo a dir poco unico nel suo genere. Ci racconta come è nato questo progetto?
La vita è un sogno o i sogni ci aiutano a vivere? L’immaginario di Dalì rappresenta per me l’invito e la speranza a trasformare i nostri sogni nella realtà di un mondo sempre più alla ricerca di un cambiamento, che come diceva Ghandi deve avvenire prima di tutto in ciascuno di noi.
E perché proprio Dalì?
Dalì è solo un caso, un pretesto, avendo più di ogni altro artista espresso in maniera eclatante l’immaginario dell’inconscio, un luogo, uno spazio dove possiamo cercare e valorizzare le soluzioni che la natura umana può mettere in gioco.
Lei cosa cerca nei danzatori che sceglie?
L’intelligenza, la professionalità e la capacità di sentire di essere parte di un progetto che va oltre la danza, un progetto di comunicazione.
Lei ha la fortuna di “osservare” la danza italiana da un altro punto di vista: che cosa vorrebbe augurare al nostro paese?
Che la danza e l’insieme della cultura italiana siano tra le protagoniste di un nuovo rinascimento per l’Italia, e dall’Italia verso il resto del mondo. Quindi la danza non come fine, ma come strumento di cambiamento.
C.V.