Ancora un congedo doloroso dalla vita di tutti i giorni e da quella dell’arte. Quando Irene Pitt si trasferì da Milano a Roma per continuare l’esercizio del suo insegnamento della lingua italiana presso il British Institute chiese di potermi incontrare: voleva conoscermi, scambiare con me “parole di danza”. Ricordo ancora il colore marrone del suo vestito, l’atmosfera cordiale che subito avvolse il nostro incontro, l’uno e l’altra disposti ad ascoltarsi, a comprendersi. Mirabile dictu! Due distinti storici e critici con mentalità e gusti certamente diversi, concordi nell’accettarsi, nel ragionare sui casi della danza nei nostri due Paesi. Irene, certamente molto british e nello stesso tempo di sentimenti liberali, per un certo periodo non gradì molto l’insistenza con la quale le rivolgevo la parola adottando il Lei.
Quando, sciolta ogni remora da parte mia, adottai un tono più confidenziale, anche lei si sciolse e mi sorrise. Non tardammo a passare dal rapporto di colleganza a quello amichevole e professionale di due persone che avevano a cuore con lo stesso fervore, con gli stessi intendimenti, le sorti dell’arte prediletta. Nessun cedimento alla simpatia del giudizio sereno ed obiettivo del soggetto trattato. Posso riconoscere in lei, a parte il naturale sentimento patriottico mai patriottardo, una moralità diffusa. Importanti i suoi articoli sul Royal Ballet e sulle produzioni alle quali cercava di non mancare mai, ovunque esse fossero rappresentate (infatti la trovavo sempre, attenta e sensibile, a Londra come a Parigi, a Milano come a Roma).
Non amava le cosiddette camarille del nostro ambiente tersicoreo, l’infamia degli opposti giudizi causati da personali interesse e smanie di potere, senza reale fondamento. La Pitt restava fedele al suo giudizio senza dipendere da influenze male intenzionate. Non esitò, in occasione della Mostra “Ricordo di Diaghilev” al Museo Teatrale alla Scala, nel 1972, a segnalare le indubbie manchevolezze in un ambiente forse sovraccarico di documenti e questo sull’autorevole rivista “Dancing Times” di Mary Clarke, mente e anima della danza nel mondo. Un elemento curioso nella sua poliedrica attività: Irene aveva simpatizzato con un foglio torinese “Musical brandé” (Gli alari musicali), nel quale era riuscita a inserire articoli riguardanti la danza. Linguaggi diversi (piemontese e italiano) si intersecavano in una farandola di impulsi emotivi.
Addio Irene Freda Pitt, umile e pacifica com’è il significato sei suoi due nomi, messaggera di pensieri, anche nell’eventuale dissidio, sempre rappacificati, indizio di rispetto tra colleghi.
Alberto Testa