Un “classico” fuori dal Tempo, una celebrazione della “bella danza” immortale: queste le parole con cui meglio si potrebbe riassumere il balletto Giselle andato in scena lo scorso 7 marzo al Teatro Auditorium Manzoni di Bologna ad opera del Balletto dell’Opera Nazionale di Odessa. Nonostante, infatti, l’impostazione vetusta e un po’ paludata dei ballerini – ad eccezione di tre dei protagonisti principali – l’atmosfera magica e sublime che il capolavoro ideato da Théophile Gautier ha conservato nel corso dei secoli è rimasta ancora intatta. Merito di ciò è certamente l’eccelsa preparazione tecnica che contraddistingue la “scuola” est europea, dall’impeccabilità e dal rigore incomparabili, ma non è del tutto sufficiente: la vera fiamma alimentatrice di Giselle, infatti, sta nella teatralità dei gesti, dei volti, delle interpretazioni, in quella “bacchetta magica” atta a trasformare la consueta vicenda di un amore impossibile nella storia di fedeltà e passione che si altalena tra il mortale e il sovrannaturale. Sfortunatamente martedì sera questo quid espressivo non è riuscito appieno a sfondare la “quarta parete” del palcoscenico: i volti sembravano solo incorniciare maschere stereotipate e i movimenti danzati, seppur precisissimi, erano così eccessivamente marcati o mimati da suggerire un’immagine di assoluta finzione. Solo i personaggi ...
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