Marlene Dietrich e Greta Garbo non furono ballerine di professione, ma in loro la danza visse in forma nascosta, come linguaggio del corpo e dell’anima. Nessuna delle due calcò i palcoscenici del balletto né dedicò la vita all’accademia tersicorea. Eppure, guardando i loro film si coglie qualcosa di coreografico nel modo in cui si muovono. Non recitavano semplicemente: danzavano attraverso la cinepresa. In L’angelo azzurro (1930), il numero musicale Falling in Love Again è eseguito dalla Dietrich quasi senza muoversi, eppure ogni battuta musicale è riflessa in un movimento minimo del busto, delle spalle, delle mani. Anche la Garbi possedeva una grazia danzante. Nei suoi film muti, dove il corpo era tutto, il controllo del gesto era totale. Ogni camminata era una coreografia mentale. Ogni espressione del volto era una variazione. In Mata Hari (1931), indossò l’abito della danzatrice esotica non per ballare davvero, ma per trasmettere, con il semplice peso del suo corpo, un’idea di femminilità come rito. Ci sono documenti che attestano che entrambe, nei primi anni di carriera, studiarono danza. Garbo, durante gli anni dell’Accademia di Arte Drammatica a Stoccolma, ricevette formazione nella danza espressiva scandinava, allora in pieno sviluppo grazie all’influenza di Isadora Duncan. Dietrich, invece, negli ...
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