Ci sono figure che attraversano le epoche senza mai diventare nostalgia. Rudolf Nureyev è una di queste. A distanza di decenni dalla sua scomparsa, il suo nome continua a evocare ribellione, genialità e un’idea di danza che non smette di interrogare il presente. Nureyev non è solo un grande ballerino del passato: è un mito vivo, perché ha cambiato per sempre il modo di concepire il corpo, il ruolo dell’artista e il confine tra disciplina e libertà. Nureyev non incarnava semplicemente l’eccellenza tecnica. Era una presenza magnetica, inquieta, impossibile da contenere in uno stile o in una tradizione. Sul palco portava un’energia nuova, quasi selvaggia, che rompeva con l’idea del danzatore maschile come figura di supporto. Con lui, l’uomo diventa protagonista assoluto della scena, non per forza, ma per intensità, carisma e necessità espressiva. Ogni sua apparizione sembrava dire che la danza non è ornamento, ma urgenza. Il mito di Nureyev nasce anche da una scelta che va oltre l’arte: la fuga dall’Unione Sovietica nel 1961. Quel gesto lo ha trasformato in simbolo universale di libertà individuale, di affermazione del sé contro ogni forma di controllo. Ma ciò che rende questa vicenda ancora attuale è il modo in cui quella ...
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