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Vito Pansini, con successo al “Béjart Ballet Lausanne” [ESCLUSIVA]

Vito Pansini

Vito Pansini è nato a Molfetta (Bari) nel 1989, inizia il suo percorso di studi professionali all’età di undici anni alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Durante i suoi otto anni di studi, prende parte a diverse parti da solista in balletti firmati da celebri coreografi internazionali come Bournonville, Lichine e Mats Ek, danzando anche al fianco dell’étoile Luciana Savignano. Si diploma con eccellenti voti nel giugno 2008 e viene subito scelto in una produzione intitolata “Cassandra” di Luciano Cannito come solista danzando nel ruolo di Ulisse con Eleonora Abbagnato per il Teatro Massimo di Palermo. Nello stesso periodo entra come Solista al Balletto Teatro di Torino con il coreografo Matteo Levaggi e vi rimane sei anni prima di unirsi al “Béjart Ballet Lausanne” nell’agosto 2014.

Carissimo Vito, apriamo il libro dei ricordi e iniziamo con le prime emozioni “in danza”?

 

L’artefice per questa grande passione è stata mia sorella Carmela, grazie a lei è nata la voglia e il sogno di danzare. Da bambini giocavamo e ballavamo sul lettone dei nostri genitori con le canzoni di Michael Jackson. In seguito, a otti anni, ho iniziato con la danza moderna e sono stato nominato campione italiano di danza latino americana. A nove anni ho preso parte alla trasmissione televisiva “Bravo Bravissimo” condotta da Mike Bongiorno e negli studi televisivi il coreografo propose ai miei genitori di farmi studiare presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano… fu allora che cominciai seriamente a pensare e desiderare che la danza diventasse parte della mia vita.

La tua famiglia ti ha sempre supportato nella scelta della “danza”?

 

La mia famiglia ha sempre creduto in me e nelle mie capacità, e di questo gliene sarò per sempre grato. Sapevano che avrei dovuto separarmi da loro, per dedicarmi completamente alla danza. Avevo solamente dieci anni e credo proprio, non sia stato facile lasciarmi andare via. Durante tutto il percorso di studi ho sentito costantemente il loro supporto… so quanti sacrifici hanno dovuto affrontare eppure non hanno mai smesso di credere in me. Grazie a loro ho potuto esprimere completamente il mio talento. Questo è il dono più grande che un figlio possa ricevere.

Fin da piccolo sognavi la carriera di danzatore professionista?

 

La danza è un arte che permette di esprimere il proprio “essere” mediante il talento. Questa dote è innata e vive all’interno di noi. Il mio talento è stato il miglior compagno per aiutarmi ad esprimermi con il corpo. Chi nasce con quest’attitudine è ben cosciente che non potrà mai farne a meno ed è per questo che fin da piccolo sognavo con gioia di diventare un ballerino professionista.

La Scuola di Ballo del Teatro alla Scala ha giocato un ruolo “fondamentale”. Quali ricordi conservi di quegli anni e del giorno del diploma?

 

La Scuola di ballo del Teatro alla Scala impone, senza ombra di dubbio, “disciplina e dedizione” verso questa nobile arte e per questo, nonostante il forte impegno richiesto, posso affermare con assoluta certezza che è stata l’esperienza più importante e formativa durante il mio iter artistico. Del giorno del Diploma riesco ancora, a distanza di anni, ad avvertire la gioia e l’emozione provate, nel veder la mia famiglia seduta in prima fila e la consapevolezza di non aver raggiunto un semplice traguardo ma di aver dato inizio ad una nuova ed importante fase della mia vita e della mia crescita interiore.

Un tuo pensiero per la Direttrice, la Signora Anna Maria Prina, icona del mondo accademico?

 

Noi allievi l’idolatravamo, era la nostra Direttrice e nutrivamo un forte rispetto per lei ed il suo lavoro… Sicuramente è stata lei ad insegnarci il rigore, la costanza e la disciplina verso l’arte della danza! La porterò sempre nel mio cuore, per me è stata una fortuna iniziare i miei studi sotto la sua direzione! Una grande signora della danza con un forte carattere accostato anche ad una forte sensibilità!

Tra i  tuoi maestri scaligeri chi rammenti con maggiore gratitudine?

In verità porto con me un ricordo di ciascuno di loro, maestri di danza, ma anche di vita. Colgo questa occasione per salutarli e ringraziarli nuovamente e in particolare al maestro Leonid Nikonov che mi ha accompagnato verso l’ambito traguardo del Diploma.

Mentre del direttore Frédéric Olivieri?

 

Il maestro Frédéric Olivieri ha ottenuto la direzione della scuola del Teatro alla Scala nel 2007, l’anno precedente in cui ho conseguito il diploma. Non ho avuto il piacere di lavorare direttamente con lui ma conosco molto bene il suo percorso artistico. La scuola non avrebbe potuto fare scelta migliore, sarà sempre d’ispirazione per molti studenti.

Una volta ottenuto brillantemente il Diploma ti sei trasferito in Piemonte al Balletto Teatro di Torino. A distanza di tempo, che tipo di esperienza è stata?

 

Degli anni passati al Balletto Teatro di Torino ricorderò sempre il momento della creazione dello spettacolo “Primo toccare”, portato in scena alla biennale di Lione. Da quest’esperienza ho compreso maggiormente quanto sia importante lo scambio artistico e creativo tra coreografo e danzatore. Credo che questo sia fondamentale per una buona riuscita dello spettacolo.

Con il coreografo Matteo Levaggi hai condiviso splendide creazione artistiche?

 

Matteo è un coreografo di fama internazionale; le sue creazioni cambiano, sono in continua evoluzione, per cui nonostante abbia lavorato con lui per sei anni, era difficile ogni volta entrarvi velocemente, ma questo era l’aspetto interessante del suo lavoro. Matteo crea non solo passi di danza, ma anche un rapporto artistico con i danzatori, cercando di tirar fuori, da tutti loro, il meglio del meglio.

Com’è il mondo della danza visto e vissuto dall’interno?

 

Il mondo della danza fa sognare intere generazioni, ma dal mio punto di vista posso affermare che per riuscire ad ottenere tutto ciò mantenendo il “sogno” sempre vivo nel tempo, un danzatore deve necessariamente sviluppare tenacia, caparbietà e determinazione per riuscire a confrontarsi con la realtà che lo circonda, affinché quel sentimento non si tramuti in una vana illusione.

Quando hai provato una forte emozione assistendo ad uno spettacolo di danza?

 

Sono tantissimi gli spettacoli a cui ho assistito che mi hanno notevolmente emozionato. Crescendo e acquisendo maggior senso critico l’emozione è differente di volta in volta. Però l’emozione più viva ed emblematica l’ho provata quando ho assistito al mio primo spettacolo in uno dei teatri più importanti al mondo… Era il periodo di Natale, ero entrato da poco a far parte della Scuola di ballo, il Corpo di Ballo della Scala era in scena e provava lo “Schiaccianoci”… Fortunatamente noi allievi avevamo l’opportunità di andare a vedere le prove.

Mentre tra tutti gli spettacoli in cui hai preso parte danzando?

 

Indicare uno spettacolo in particolare è quasi impossibile perché tutto ciò che ho danzato l’ho fatto con grande emozione… essa è il mio motore ed è sempre stata al centro di ogni lavoro portato in scena.

Recentemente siamo stati in Giuria insieme ad un Concorso di Danza. Era la tua prima esperienza, come l’hai vissuta?

 

Assolutamente sì, prima esperienza come giurato. Non ho mai partecipato ad un Concorso di danza prima d’ora nemmeno come ballerino. Ho sempre pensato che i concorsi fossero ingiusti; il danzatore, per mostrare il suo talento e la sua preparazione tecnica, ha a disposizione soltanto due minuti… un tempo relativamente piccolo in cui fattori come l’emozione, l’adrenalina e il desiderio di apparire perfetti, possono giocare un ruolo determinante, ai fini del risultato finale. E invece durante la manifestazione, ritrovandomi nel ruolo di giudice ho potuto rendermi conto di quanto possa esser formativa questa esperienza. Un evento denso di possibilità, in cui poter ammirare l’arte della danza e della sua bellezza; insomma una sana competizione che non può che accrescere e migliorare le potenzialità di ogni singolo danzatore. Indubbiamente ripeterei quest’esperienza, soprattutto perché mi ha dato la possibilità di conoscere il variegato panorama delle ottime scuole di danza presenti in Italia.

Fin quando, per un ballerino, si deve calcare il palcoscenico danzando, dal tuo punto di vista?

 

La danza è arte e credo che tutti abbiano il diritto di esprimere la propria arte nel miglior modo possibile. Di conseguenza reputo sia giusto danzare fino a quando questa disciplina non diventi sofferenza e frustrazione per via dei risultati negativi.

A un certo punto della tua carriera sei entrato a far parte della prestigiosa Compagnia del “Béjart Ballet Lausanne”. Com’è nata questa scelta verso Losanna?

 

Il mio ingresso al Béjart Ballet Lausanne è avvenuto mediante un’audizione privata. In quel periodo sentivo forte la necessità di vivere una nuova esperienza, credo che per un danzatore sia fondamentale mettersi costantemente alla prova. Una volta qualcuno mi disse: “Sali, guarda sempre dalle spalle dei giganti”.

Dopo due anni come reputi sia a livello formativo, artistico e accrescitivo la tua presenza al Béjart Ballet Lausanne?

 

Sono solito dire: “Tutto è necessario nulla è indispensabile”. Ecco questo breve pensiero può esemplificare al meglio, come io mi senta al Béjart. Reputo di non essere indispensabile alla Compagnia non tanto per un mancato interesse nei miei confronti quanto per il numero di ballerini presenti. Il Béjart Ballet è una grande produzione con una lunga storia alle spalle. Emergere come ballerino in certe situazioni non è automatico. Questi due anni sono stati un vero banco di prova… ho acquisito maggiore consapevolezza su di me, sia a livello artistico che a livello umano. Non è stato facile, c’è voluto del tempo prima di riuscire a trovare la mia identità in questa grande realtà. Oggi posso dire di esserci riuscito, ora danzo in una nuova creazione, nella quale metto in mostra più qualità del mio movimento. Quando lo sguardo di qualcuno si posa su di te, ti senti riconosciuto nella tua unicità.

Che aria si respira nella Compagnia del grande maestro Béjart?

 

Dal primo momento che entri in sala prove del Béjart, ti rendi conto della loro grande professionalità e allo stesso tempo si respira comunque un’aria distesa e amichevole. Difatti con il resto dei danzatori si è creato un bel rapporto perché si sono mostrati fin da subito accoglienti.

Come è la tua giornata tipo quando non siete impegnati nelle tournée? Quante ore provi?

 

La mia giornata tipo? Alle dieci del mattino sono in teatro, verso le diciannove rientro a casa. Preparo una cena e poi mi rilasso con un romanzo o un film…

Ancora oggi Béjart è considerato un icona irraggiungibile, sempre moderno, attuale con una punta di glamour che lo ha reso “unico”. Cosa significa danzare le sue coreografie?

 

Sortisce sempre un certo effetto danzare le coreografie di Béjart. Studiare le sue creazioni mi permette di accrescere le mie conoscenze sulla sua arte e di perfezionare la mia preparazione artistica. Sarebbe stato davvero fantastico aver avuto la possibilità, di poter lavorare con lui, di vederlo all’opera. Ha lasciato una grande eredità e il Corpo di ballo fa di tutto per mantener intatte le sue visioni… cerchiamo di mantenere fede a ciò che ha insegnato e creato. Il nostro direttore artistico ha un compito assai arduo da sostenere e noi ballerini non possiamo fare altro che eseguire al meglio ogni suo insegnamento.

Siete spesso in giro in tournée nei luoghi più belli. Come venite accolti dal pubblico?

 

Il pubblico è sempre presente e numerosissimo e questo accade in tutti i luoghi in cui andiamo… non ho mai visto così tanta gente in teatro, prima di arrivare al Béjart. Maurice e la compagnia sono molto amati nel mondo e i teatri, sempre gremiti di gente, ne sono un’evidente dimostrazione. La sua arte ha segnato i nostri tempi e ha percorso il mondo intero. Lui è riuscito a incuriosire un pubblico che non aveva mai avuto occasione di avvicinarsi alla danza…Ha dato nuovo slancio alla danza maschile e nelle sue coreografie, spesso ha affrontato i grandi problemi dell’attualità. Tuttora è tra i coreografi più conosciuti e celebrati al mondo.

Attualmente la Compagnia è diretta, dopo la scomparsa del grande coreografo, da Gil Roman. Quali sono i suoi punti di forza e com’è la sua direzione?

 

Penso che Gil Roman abbia molti punti di forza, ma il più grande probabilmente è quello di amare ciò che fa. Credo che abbia amato profondamente ciò che lo stesso Béjart gli ha insegnato. Con la sua direzione è riuscito a reinventare e a trasmettere la grande opera di Maurice ai suoi danzatori. Gil ama il lavoro da coreografo e riesce a guidare, con la sua esperienza, i ballerini riconoscendo il loro assoluto talento.

A tuo avviso è difficile conciliare la professione artistica con la vita privata?

 

Abbastanza, soprattutto a causa delle tantissime tournée in giro per il mondo, ma non impossibile. La tecnologia sotto questo punto di vista aiuta a sentirsi meno soli e distanti dai propri cari.

Tra i coreografi della scena internazionale con chi ti piacerebbe collaborare?

 

Mi piacerebbe poter lavorare e sperimentare nuovi stili di danza contemporanea… certamente con Jiri Kylian.

Quali sono le doti dalle quali un giovane danzatore non può prescindere?

 

Disciplina, talento, creatività. Ho visto un sacco di danzatori fisicamente talentuosi, quindi bei danzatori, bei corpi, ma che si esprimono in modo quasi ginnico, senza un’anima creativa e interpretativa.

Hai dei rituali che segui prima di entrare in scena?

 

A dire il vero non ho un rituale ben preciso… son solito indossare la stessa felpa durante la fase di riscaldamento e pronunciare la parola ‘merda’ (sottovoce) prima di entrare in scena.

Quale forma d’arte non hai ancora sperimentato ma nella quale vorresti cimentarti?

 

Da sempre il cinema mi affascina, mi piacerebbe prendere parte ad un set cinematografico per un film.

C’è una danzatrice del panorama attuale con la quale ti piacerebbe esibirti in coppia?

Vi sono svariate eccellenze femminili nel mondo della danza… se dovessi sceglierne una in particolare, sceglierei certamente Sylvie Guillem. So che per molti potrebbe sembrare una scelta ardita ma a mio avviso quando si fa riferimento ad una propria ricerca artistica, non si può fare a meno di puntare in alto. Per riuscire a creare nuove forme d’espressione, bisogna avere il coraggio di superare certi schemi mentali. In fondo la danza è un luogo d’incontro, un luogo dove il corpo in danza è un corpo cosciente alla pluralità. E in virtù di di questa pluralità, non posso indicarti un nome, proprio perché ci sono molti fattori che entrano in gioco, quando si danza in coppia; basti pensare al feeling, al contatto, alle emozioni al contesto culturale d’appartenenza.

A chi riconosci l’eccellenza, a livello internazionale, come coreografo e danzatore?

 

Eccellenza sinonimo di perfezione. Compito arduo, dal mio modesto punto di vista, scegliere il miglior danzatore ed il miglior coreografo del momento. Lascerei questo compito agli esperti e mi limiterei a indicare quei professionisti che sono motivo di ispirazione per me. Tra i danzatori professionisti ammiro: Sergei Polunin, per l’intensità espressiva e il suo carisma e Friedemann Vogel per la classe e la tecnica. Per quanto concerne il discorso sui coreografi/ballerini penso sia davvero difficile emergere contemporaneamente, in entrambe le categorie. Saburo Teshigawara a mio avviso potrebbe esser uno dei rari esempi. Lui “danza ciò che pensa” e le sue coreografie lo dimostrano perfettamente; tra gli emergenti del momento seguo con interesse il lavoro di Wayne McGregor. Mi incuriosisce la sua ricerca, la sua sperimentazione e il suo voler associare “arte e scienza”.

Cosa consigli ai giovani che vogliano seguire l’arte della danza?

 

Ciò che sono oggi lo devo esclusivamente alla danza. Un’arte che ti pone di fronte ai tuoi limiti e che ti chiede di superarli. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono chiesto se fossi sulla strada giusta, se ne valesse realmente la pena. Fortunatamente il desiderio di realizzare il mio sogno era più forte di ogni mia debolezza. Amo la danza proprio per questo, perché mi ha permesso di essere me stesso, sempre! Consiglio ai giovani di seguire costantemente i loro sogni, amandoli senza riserve. La danza è parte integrante della mia esistenza, grazie a lei posso continuare a sognare.

A tuo avviso, come vedi i talent televisivi sulla danza?

 

Guardo poco la tv nei miei momenti di pausa e di conseguenza capita raramente di soffermarmi sui talent. Negli ultimi tempi questo format televisivo è diventato un fenomeno di massa e di conseguenza è praticamente impossibile non sentirne parlare. Quello che ho potuto notare è che i talent americani sono strutturati in modo da non stravolgere completamente la realtà della danza, sono più verosimili rispetto ad altri, dove sono più interessati a fare solo audience. Hanno più le caratteristiche di uno show televisivo. Sono mondi completamente diversi… La danza è arte, formazione… i talent seguono la logica dell’intrattenimento. Non ho mai pensato di prendere parte ad un talent; amo maggiormente il teatro ma nella vita non bisogna mai precludersi nulla… l’esperienza insegna, no?

Hai nostalgia dell’Italia? Vorresti rientrare a danzare nel tuo Paese?

 

Grazie al mio lavoro ho avuto la fortuna di poter viaggiare, ho visitato paesi meravigliosi e conosciuto culture diverse tra loro. Dopo tutti questi anni da “cittadino del mondo”, credo proprio che arriverà un giorno in cui sentirò il bisogno di ritornare stabilmente in Italia. Mi sono reso conto, nel tempo, di quanto io ami la mia terra e sarei davvero felice di poter proseguire, un giorno, il mio percorso artistico lavorativo, nel mio paese. Sarà rischioso? Forse sì, dato che negli ultimi tempi molti miei colleghi sono fuggiti all’estero per poter realizzare il loro sogno e far carriera. L’Italia sta attraversando un periodo davvero delicato. Le opportunità di lavoro sono minori rispetto al passato e chi, come me, vive d’arte è doppiamente penalizzato ma proprio questa condizione precaria, sta alimentando il mio desiderio di ritornare… Mi piacerebbe contribuire alla rinascita delle nostre belle arti e vorrei tanto preservare la nostra cultura da uno stato di completo abbandono. Una generazione senza cultura è una generazione senza identità. Le nuove leve hanno bisogno di credere nelle proprie capacità… Hanno bisogno di appassionarsi, necessitano di qualcuno che sia in grado di aiutarli ad esprimere se stessi. E io ho il dovere di rispondere a questo bisogno e ne sarei oltremodo orgoglioso.

Secondo te chi ha segnato la differenza nella danza a livello mondiale nel passato?

 

A mio avviso la persona che ha fatto la differenza nel mondo della danza, è senza ombra di dubbio Sylvie Guillem. Lei è un’icona, una forza della natura che ha messo il suo talento al servizio dell’arte. Vederla danzare è magnifico. Riesce a trasmettere energia, giocosità, forza, piacere. La sua passione e determinazione le hanno permesso di esprimersi senza riserve. Quando si parla di lei, qualcuno ama ricordare il suo soprannome: “Mademoiselle Non”! Un’artista a tutto tondo, caparbia e determinata che ha seguito la sua naturale inclinazione senza accettare imposizioni. Un esempio da seguire e imitare sia per i danzatori che per le ballerine. Non a caso nel 2012 ha ricevuto il Leone d’oro per la Danza alla Biennale di Venezia.

Un tuo ricordo di Maurice Béjart. La prima volta che l’hai scoperto?

 

Se dico Boléro a cosa pensi? Impossibile non associare questa parola alla figura di Maurice Béjart! Ero un bimbo, un piccolo danzatore alle prime armi quando ho sentito parlar di lui… Il Boléro mi incantò quando lo vidi per la prima volta. Sono passati tantissimi anni da allora e oggi non sono più davanti ad uno schermo ad ammirare l’opera ma in scena a danzare questa meravigliosa opera d’arte. Ciò che non cambia è l’emozione. È sempre la stessa di un tempo e ti posso assicurare che in teatro, tutte le volte, si crea un’atmosfera incredibile. Il pubblico è completamente rapito, è come se l’intero teatro fosse sospeso in una bolla di sapone… nell’istante in cui tutto finisce ecco che una forza improvvisa investe il palco e il pubblico va letteralmente in visibilio. Incanto allo stato puro… un crescendo di suoni, danza ed emozioni.

Veniamo ora al lavoro con il coreografo in sala danza: quali ne sono le maggiori problematiche?

 

Siamo un gruppo numerosissimo, arriviamo da svariati posti del mondo e ciascuno di noi ha le sue abitudini, una sua formazione e un’esperienza lavorativa pregressa… Bhe ogni tanto può capitare qualche piccola incomprensione ma nulla di così irreparabile! E penso che sia proprio la danza a ristabilire ogni volta nuovi equilibri tra noi. In fondo siamo come una grande famiglia, che fa del suo meglio per aiutarsi a crescere in ciò che ha di più prezioso. Lavoriamo ogni giorno per raggiungere lo stesso obiettivo, per accrescere le nostre abilità e dare il meglio di noi in scena e al contempo, siamo consapevoli di quanto sia importante riuscire a cogliere nel profondo, ciò che il nostro coreografo chiede. È fondamentale creare un buon clima per ottenere un valido gioco di squadra… siamo come i fili di una ragnatela: all’apparenza esili, ma capaci di resistere nel tempo a qualsiasi scossone.

Ti piacerebbe accostarti alla coreografia con una tua creazione?

 

Coreografare è un’arte e come si presuppone una propensione verso l’insegnamento con una forte creatività e ottime capacità comunicative. Io sono nato per danzare. La mia arte, si esprime al meglio quando danzo. Chi sceglie di misurarsi nell’arte coreografica, deve farlo in piena coscienza, cercando di non considerarla come una possibilità, una semplice alternativa per rimanere nel mondo della danza. Si è soliti pensare che un ballerino debba necessariamente saper coreografare… Credo non sia così o per lo meno penso non sia così sempre e che non sia automatico. Quando un ballerino riesce anche ad assumere il ruolo di coreografo è proprio perché riesce a non “pensare” da ballerino; quindi è in grado di seguire la sua vena creativa mettendola a disposizione del suo corpo di ballo, focalizzando l’attenzione sulle peculiarità dei suoi ballerini, sulle loro abilità, dando corpo e anima alla sua visione.

Come artista, verso quale repertorio ti senti maggiormente incline?

 

Fin da bambino ho sempre ammirato e amato la danza classica… Immaginavo di impersonare i personaggi principeschi, delle opere più belle. Con il passare del tempo, maturando come artista e come uomo, mi sono reso conto che quei ruoli non erano poi così affini alla mia personalità. Amo sperimentare e ricercare ruoli, ambientazioni ed emozioni sempre diverse. La danza contemporanea mi affascina proprio per questo. Va da sé che questa maturazione artistica, sia stata possibile grazie agli insegnamenti ricevuti alla Scuola del “Teatro alla Scala” di Milano.

Attualmente vivi a Losanna. Com’è l’approccio alla danza in Svizzera sia da parte del pubblico, sia dal punto di vista culturale e statale?

 

Esattamente, questo è il mio secondo anno al Béjart Ballet Lausanne. Da quel che ho percepito e veduto, molti sono gli eventi culturali e artistici, offerti dal Comune per i suoi cittadini. Quando siamo in scena a Losanna, il teatro è sempre gremito… Il pubblico è interessato e caloroso. Lo Stato promuove la cultura in tutte le sue forme, e in concerto con i suoi cittadini, sostiene anche realtà minori.

L’umiltà: quanto conta nella danza?

 

Mi spiace ammetterlo ma nel mio mondo l’umiltà è un valore che pochi praticano… ciascuno di noi dovrebbe ricordare a se stesso cosa lo abbia spinto a dedicarsi con impegno e lealtà alla danza. Non vi sono scorciatoie in questa disciplina, e chi danza sa quanto sia disposto a sacrificare la sua vita per riuscire ad esprimersi al meglio. Il motore di questa continua dedizione è da ricercare in ciò che la stessa danza ci dona: quando balliamo non indossiamo alcuna maschera, siamo semplicemente noi stessi e, questa spontaneità conquistata, ci permette di arrivare dritti all’anima della gente. Portiamo in scena emozioni, magia, non cambiamo nessuna sorte, non siamo medici, scienziati, politici ma siamo in grado di donare istanti di felicità.

Oltre la danza che è diventata la tua professione, quali passioni ed hobby coltivi nel tuo tempo libero?

 

La danza non ti permette di avere del tempo libero… coltivare passioni ed hobby, diventa davvero un’impresa ardua. Lavoro sei giorni su sette e la maggior parte del tempo siamo in tournée dove non esistono giorni di riposo. Malgrado tutto ciò riesco ogni tanto a ritagliarmi uno spazio tutto mio! In questi rari attimi leggo (amo i romanzi), trascorro del tempo con gli amici di sempre, guardo film e serie tv americane e infine penso a quello che non son riuscito ancora a realizzare. Per esempio? Vorrei imparare a cavalcare (l’idea di sfrecciare tra i boschi in sella ad un cavallo mi sfiora da tempo), provare a volare, fare parapendio… muovermi senza alcun vincolo, nella terza dimensione. Ed infine imparare a cucinare… non sarà di certo un’esperienza temeraria come le altre ma, conoscendomi, so che dovrò impegnarmi un bel po’!

Ti piacerebbe insegnare danza e trasmettere il tuo sapere un domani?

 

Un domani mi piacerebbe poter insegnare. Trasmettere ai giovani gli stessi insegnamenti che ho ricevuto, far scoprire loro, le proprie abilità e qualità di movimento. Fare in modo che possano conquistare una propria identità, riuscendo ad esprimersi in piena libertà. Appassionarli.

Ultimamente la danza si è evoluta e i danzatori appaiono più atletici… come vedi questo cambiamento?

 

Proprio come dici, la danza si è evoluta, ma come tutto ciò che ci circonda; basti pensare alla medicina, se non avesse fatto passi da gigante, moriremmo ancora per una semplice bronchite. Ritornando quindi alla danza, posso confermare quanto mi hai appena chiesto: i ballerini di ultima generazione, sono decisamente più atletici. Un cambiamento necessario, a mio avviso, perché è stato dimostrato come l’introduzione di esercitazioni allenanti, possa aiutare il ballerino a migliorare ed aumentare la propria forma fisica diminuendo così i rischi di infortunio. Qualcuno non vede di buon grado questa novità, c’è sempre quella tendenza a differenziare la danza dal mondo dello sport. Certo un danzatore deve necessariamente, possedere qualità di movimento e caratteristiche estetiche ben precise, per riuscire ad esprimersi artisticamente ma allenare atleticamente il proprio corpo lo aiuterà a preservarlo da possibili rischi.

Rifaresti tutto esattamente? Scelte passate e presenti?

 

Rifarei tutto? No. Cambierei alcune cose. Con il senno del poi, mi sono reso conto di aver perduto qualche occasione. Ma si sa errare è umano e l’errore, se riconosciuto come valore, aiuta a conoscere meglio sé stessi. Difatti con il tempo ho imparato ad ascoltare e a valutare più in profondità ciò che realmente desidero…

Per i giovani il mondo tersicoreo cosa può trasmettere di sano e positivo?

 

Per i giovani che si affacciano al mondo tersicoreo, esso può essere di grande aiuto. Disciplina, impegno, amore per quello che si fa, inseguire i propri sogni, tutto questo e ancora altro è un grande aiuto per migliorarsi costantemente. Una vita ricca di sacrifici, lo ammetto, ma che può aiutare a realizzarsi, migliorarsi.

Un’ultima domanda: mi descrivi, secondo la tua sensibilità, l’arte della danza?

 

La danza è vita, amore, gioia, dolore, frustrazione, libertà. Non vorrei sembrare un fanatico, ma per me la danza rappresenta tutto ciò che sono. Io non vivo per danzare o non danzo per vivere, io danzo e non ho altra scelta, è la mia natura. L’aquila non ha scelto di avere ali maestosi per volare più in alto, è la sua natura. Credo proprio che io sia stato “scelto” per danzare.

Michele Olivieri

 

Foto di Marco Leonardi

www.giornaledelladanza.com

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