Danzatore, coreografo, regista: Renato Zanella è tutto questo. In una persona sola. In grado di danzare, creare e dirigere un’opera ma soprattutto senza fermarsi mai. Il Giornale della Danza ha avuto la possibilità di incontrarlo in occasione del debutto della sua ultima creazione, XX secolo, in scena al Filarmonico di Verona, e di parlare delle prossime fatiche teatrali, rigorosamente “veronesi”.
Perché ha scelto di dedicare uno spettacolo al XX Secolo?
Il XX secolo è stato il periodo più autentico della danza: un secolo che ha visto nascere balletti russi e grandi capolavori che, ancora oggi, abbiamo la possibilità di danzare e soprattutto tramandare alle prossime generazioni. Mi sembrava a dir poco doveroso dedicare una pièce a questi anni così importanti e a tre personalità grandissime della musica del secolo scorso. Ho raccolto, quindi, tre lavori di altrettante decadi della mia carriera partendo dagli inizi di Stoccarda, base della mia crescita artistica, per poi passare a Vienna e a seguire il periodo come freelance al San Francisco Ballet, dove mi sono veramente messo alla prova. Un insieme di tante esperienze e creazioni, impegni e ricordi, un lavoro creato per l’organico di Verona, danzatori speciali e molto preparati.
Danzatore e poi coreografo permanente a Stoccarda. Ci può raccontare come ha descritto in danza questo periodo della Sua vita artistica?
La “affido” al commento musicale del Duo Concertante di Igor Stravinsky, uno dei più importanti compositori del Novecento, in grado di rivoluzionare l’orchestrazione tradizionale , reinventando nel l’uso di stili compositivi e linguaggi musicali diversi. Il Duo Concertante venne scritto nel 1932 e dedicato al violinista Samuel Duskin. Ho scelto di dedicare il pezzo alla straordinaria storia artistica ed amoroso tra Marcia Haydée e Richard Cragun, étoiles indiscusse dell’era John Cranko al Balletto di Stoccarda. Una grande storia d’amore che, nel tempo, si è trasformata in amicizia. Ricordo benissimo quando, ad appena vent’anni, guardai Marcia e le dissi: “Mi permettete di fare qualcosa sulla vostra storia?” Tre atti, cinque momenti, musiche molto difficili ma romantiche. Un pezzo quasi struggente che creai con tutto il mio cuore. Marcia Haydée è una donna straordinaria che, nonostante le sofferenze a causa del distacco dall’uomo che tanto amava, è riuscita comunque a stargli vicino e, addirittura, ha gettato le sue ceneri in mare. Una figura che mi ha dato tanto. Ed è sempre una forte emozione ricordare quei momenti.
Ci parli di Vienna e del Bolero di Ravel.
Un periodo stupendo: sono stato nominato direttore e capo coreografo alla Staatsoper nel 1995 e vi sono rimasto dieci anni. Il Bolero di Ravel andò in scena all’Opéra National de Paris il 22 novembre 1928 con le coreografie di Bronislava Nijinska e, nonostante fosse molto innovativo e trasgressivo, riuscì ad ottenere un clamoroso successo. La mia coreografia segue le note del compositore: la melodia non sopravvive mai al ritmo. Racconto la storia di un gruppo di uomini che accerchia una donna trascinandola, poi, in una danza sempre più veloce e aggressiva fino a sopraffarla. Portare in scena Bolero per me è stata una grande emozione: mi ha portato indietro nel tempo e mi ha fatto immediatamente pensare a Béjart, il più grande di tutti. Da giovane, ebbi la possibilità ci conoscerlo e lavorarci insieme: ero sempre l’ultimo ragazzo che si alzava, l’ultimo che si allontanava. Ricordo il suo sguardo, la sua attenzione per i dettagli. Averlo “vissuto” da addetto ai lavori ha dato veramente qualcosa in più alla mia vita di artista.
Il Suo prossimo lavoro, El amor brujo – Cavalleria Rusticana, la vede in doppia veste, come regista e coreografo.
Ad essere sincero, non è la mia prima volta come regista…quando mi è stata data questa possibilità, mi sono detto “Perché no?!” Cercherò di presentare una Cavalleria diversa, è sicuramente una bella sfida, che mi mette alla prova e mi offre molte opportunità. Il balletto è molto presente rispetto alle versioni classiche a cui siamo abituati…tutto il resto è una sorpresa!
Se Béjart fosse stato in sala, cosa avrebbe voluto Le dicesse?
Che ha trascorso una bella serata! Ad essere sincero, posso soltanto dire che aver potuto stargli accanto è stato un dono. I Grandi non smettono mai di mandarti i loro messaggi…lui mi ha sempre detto: l’importante è creare continuamente, non bisogna mai smettere di creare, ogni fase della vita ti darà di più se continui così. L’esperienza ti insegna tantissimo, ti insegna a cadere e rialzarti, a tornare in studio e creare. Poter portare avanti questa filosofia a Verona per me è fondamentale, nonché meraviglioso ed arricchente. E spero i prodotti finali vengano apprezzati anche da chi li guarda dalla platea.
Redazione www.giornaledelladanza.com
Foto di Yannis Velissaridis e Ennevi