«Un giorno, in classe, quando studiavo danza da bambina, ci chiesero di fare un esercizio per cui bisognava essere molto elastici, e a me riusciva alla perfezione, più che a tutti gli altri allievi. Sei la donna-serpente, mi complimentò la maestra. Non mi ero mai sentita tanto fiera». (Tratto da un’intervista di Leonetta Bentivoglio).
La citazione riporta soltanto una delle tante testimonianze originali di Pina Bausch (ricordi della propria vita e riflessioni sul proprio operato artistico) di cui è costellata, insieme a fotografie di Ninni Romeo che ritraggono l’indimenticabile coreografa tedesca, la terza e ultima parte di Pina Bausch. Una santa sui pattini a rotelle: la recente biografia curata da Leonetta Bentivoglio per le Edizioni Clichy.
Uscito nel 2015, il piccolo volume ripercorre la biografia artistica e umana di colei che viene giustamente considerata la “madre” del teatro-danza europeo, di questo genio femminile la cui luce ha influenzato tutti gli sviluppi della danza successiva e ancora oggi, anzi per sempre, sarà un’alba fiammeggiante ed intramontabile. Dopo la prima parte che ricostruisce quindi la vita e l’arte della Bausch con un preciso schema cronologico, il volume contiene anche l’importantissimo saggio di Leonetta Bentivoglio, che ha avuto la fortuna di conoscere ed intervistare questa grande artista, e le parole della stessa Pina Bausch con cui si chiude questa piccola grande biografia.
Nel libro risulta estremamente semplice individuare le tappe fondamentali della vita di Pina Bausch, dalla nascita avvenuta il 27 luglio 1940 a Solingen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, all’ammissione appena quattordicenne nella prestigiosa Folkwangschule di Essen diretta da Kurt Joose (importantissimo coreografo tedesco del Novecento e fautore per eccellenza di quella fusione tra arte e teatro, il Tanztheater appunto, di cui Pina Bausch diventerà la massima interprete), fino alla direzione ottenuta nel 1973 del Wuppertal Ballet, poi rinominato Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, che bisogna considerare certamente come l’esordio della Bausch autrice geniale.
A partire da questo momento infatti nascono le creazioni più rivoluzionarie della Bausch come Ifigenia in Tauride (1974), Ich bring dich um die Ecke (Ti faccio fuori, 1974), Orfeo ed Euridice (1975), Sacre du Printemps (1975), Die sieben Todsünden (I sette peccati capitali, 1976), Blaubart (Barbablù, 1977), Komm, tanz mit mir (Vieni, balla con me, 1977), Café Müller (1978), Ein Stück von Pina Bausch (Un pezzo di Pina Bausch, 1980), Nelken (1983). Con Viktor (1986) invece, lo spettacolo dedicato a Roma, si apre la rassegna dei pezzi realizzati in Italia, dove spiccano creazioni come Palermo palermo (1989) e O Dido (1999), dove la città eterna viene rappresentata dall’immensa coreografa dal punto di vista degli emarginati. Si dice infatti che la Bausch fosse stata a Roma nel 1998 per visitare i campi rom di vicolo Savini e di Spinaceto, dove si ferma perfino a pranzare con una famiglia rom.
Il ricordo di Pina Bausch è legato anche ai film di Fellini (E la nave va) e di Pedro Almodóvar (Parla con lei), che lasciarono un dubbio insolubile nell’animo dell’artista che così risponde a Leonetta Bentivoglio: «Mi sono sempre chiesta perché sia Federico Fellini sia Pedro Almodóvar nei loro film mi abbiano voluto cieca». Si tratta di un piccolo grande libro, si può leggere tutto d’un fiato ma al tempo stesso fa rimanere senza fiato perché durante la lettura si viene invasi da un’anima geniale, da uno spirito accecante di bellezza e abissale quanto alla profondità di sentimento, che rimarrà sempre vivo nella nostra danza.
Leonilde Zuccari
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