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Verticalità ed equilibrio: intervista a Gerardo Porcelluzzi

Gerardo Porcelluzzi

Gerardo Porcelluzzi è nato in Puglia, si è diplomato presso la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma sotto la direzione di Elisabetta Terabust e la guida del maestro Jean-Philippe Halnaut. Durante gli anni di formazione è stato premiato come solista in numerosi concorsi (tra i quali “Eurocity” di Castiglioncello e “Settimana Internazionale della danza Città di Perugia”), ricevendo borse di studio per l’Accademia “Princesse Grace” di Monte Carlo sotto la direzione di Marika Besobrasova e per la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di Anna Maria Prina. Ha ricoperto ruoli principali in diverse produzioni della Scuola di Danza dell’Opera di Roma, tra le quali “Napoli” e “Conservatoire” di A. Bournonville, “Graduation Ball” di D. Lichine, “Tout Satie” di R. Petit, “Ricercare a nove movimenti” di A. Amodio. Dopo il diploma, ha preso parte al Tirocinio professionale del Teatro dell’Opera di Roma riservato ai neo diplomati più promettenti. Hastudiato con maestri di chiara fama, tra i quali Floris Alexander, Daniel Franck, Niels Kehlet e molti altri. In seguito, è entrato a far parte del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma sotto la direzione di Amedeo Amodio, che gli ha affidato da subito ruoli solistici nelle sue coreografie “Per Alvin” e “Coppelia”, e in “Spartacus” di Y. Grigorovich. Ha proseguito la carriera professionale al Teatro dell’Opera di Roma sotto la direzione di Carla Fracci e successivamente di Micha van Hoecke, che gli hanno affidato ruoli solistici e da primo ballerino nelle principali produzioni del Teatro, come “La Sylphide” di A. Bournonville, “La Bella Addormentata nel bosco” di P. Chalmer, “Il lago dei cigni” di G. Samsova, “Romeo e Giulietta” di J. Cranko, “Giselle” di C. Fracci, “Gaîté Parisienne” di M. Béjart. È stato inoltre partner di Carla Fracci in “Amleto principe del sogno”, coreografia L. Bouy e regia B. Menegatti, e in “Girotondo romano” di L. Cannito. Negli anni al Teatro dell’Opera, ha partecipato a tutte le tournée del Corpo di Ballo in Italia (Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Bellini di Catania, Teatro Verdi di Trieste, Teatro Alighieri – Ravenna Festival, Teatro Petruzzelli di Bari) e all’estero: Russia (Teatro Bolshoi e il Palazzo del Cremlino di Mosca) Turchia (Anfiteatro di Aspendos) e Spagna (Alhambra di Granada). Ha inoltre danzato come solista in diverse opere liriche, tra le quali “Aida” di G. Verdi con direzione d’Orchestra di Plácido Domingo e “Moïse et Pharaon” di G. Rossini con direzione del maestro Riccardo Muti. Diversi coreografi hanno creato su di lui ruoli principali in produzioni originali: Shen Wei, Luca Veggetti, Luc Bouy, Francesco Nappa, Micha van Hoecke, Millicent Hodson. Alberto Testa gli ha conferito il Premio Positano “Léonide Massine”. È stato invitato come membro di Giuria in diversi concorsi nazionali ed internazionali. Ha firmato le coreografie per “La Regata di Ulisse”, trasmesse su Rai International, per gli allievi del Balletto di Roma in occasione della festa di San Giovanni della Pigna per l’Opera romana Pellegrinaggi, e per gli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma, utilizzando l’Abito vivo di Gattinoni, in occasione del Gala internazionale “La Moda che Danza”. È stato ospite di Gala internazionali, tra i quali “XI International Ballet Festival” (Kravis center for perfoming arts di Palm Beach e Jacki Gleson Theater Miami-America), “Stelle italiane nel mondo e Friends” (National Theatre Addis Abeba-Africa), “La grande Danza unita per l’Abruzzo” promosso dalla Croce Rossa Italiana. Dal 2014 è docente di tecnica classica presso la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Laura Comi. In qualità di docente, ha collaborato con il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Eleonora Abbagnato per la partecipazione degli allievi della Scuola di Danza alle recenti produzioni “Lo Schiaccianoci” di Giuliano Peparini e “Il pipistrello” di Roland Petit. Nel 2016, ha ricevuto il premio “Europa in Danza” e il “Premio Capri Danza International” per l’insegnamento ai giovani allievi della Scuola di danza del Teatro dell’Opera.

Caro Gerardo, com’è avvenuto il tuo incontro con la danza?
È accaduto molto presto: da piccolo danzavo istintivamente ogni volta che mi capitava di ascoltare la musica. Mia madre racconta spesso che non solo ballavo in continuazione, ma mi capitava anche di esibirmi durante i pranzi in famiglia. Ricordo bene che durante le nostre passeggiate in città (a Barletta) ero attratto dall’insegna di una scuola di danza; chiesi così ai miei genitori di iscrivermi in quel centro (“Spazio Danza” di Angela Dimiccoli) e loro mi accontentarono subito proprio perché avevano già intuito la mia predilezione per il balletto.

La scoperta della disciplina classica è stata subito un colpo di fulmine?
È stata una conseguenza naturale della mia scelta di studiare danza. Nella scuola in cui ho iniziato il mio percorso formativo ho trovato insegnanti che hanno notato la mia predisposizione indirizzandomi da subito alla danza classica. Credo sia stata la scelta più giusta perché quando si è piccoli è necessario partire dalle basi della tecnica accademica. Personalmente non ho avuto difficoltà ad adattarmi alla disciplina classica, non solo per il clima accogliente della mia scuola, ma anche perché questo aspetto di precisione e ordine appartiene fondamentalmente al mio carattere.

Quali sono i tuoi primi ricordi legati alla danza in Puglia e com’è avvenuto poi il trasferimento alla Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma?
Ho avuto genitori che mi hanno supportato da subito e insegnanti che mi hanno motivato, per cui il mio percorso è stato sereno e naturale. Ero consapevole di trovarmi in un contesto di studio e mi piaceva farne parte. In più, ho avuto la fortuna di frequentare una scuola in cui il numero di allievi maschi era eccezionalmente superiore alla media, negli anni siamo diventati addirittura sei; la mia insegnante ha avuto l’intelligenza di farci partecipare a numerosi concorsi, dove abbiamo avuto la possibilità di farci notare e ricevere diverse borse di studio in contesti internazionali. La mia formazione è stata dunque ‘itinerante’: da Barletta sono partito molte volte, durante l’adolescenza, prima per le competizioni e poi, su segnalazione di docenti e direttori, per frequentare grandi accademie come la “Princesse Grace” di Monte Carlo e la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Il trasferimento a Roma è avvenuto anni dopo: durante uno stage a Pescara (organizzato ancora oggi da Rossana Raducci), Elisabetta Terabust mi ha proposto di proseguire gli studi presso la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera e così sono entrato direttamente all’ottavo corso per poi frequentare, l’anno successivo, il Tirocinio di Perfezionamento.

Alla direzione c’era bene appunto Elisabetta Terabust, quali sono state le sue linee guida e i maggiori insegnamenti che hai ricevuto nel periodo della formazione?
Il principale obiettivo della direttrice Elisabetta Terabust era quello di trasferire la professione all’allievo già durante gli anni di scuola e per questo motivo ci abituava ai ritmi quotidiani di una compagnia di balletto, mettendoci alla prova in creazioni di grandi coreografi come Roland Petit e Amedeo Amodio. È una grande maestra, che mi ha fornito in quegli anni consigli preziosi sia dal punto di vista tecnico che artistico, trasmettendomi la sua grande costanza ed esperienza: la ricordo sempre presente in sala di danza, in tenuta accademica, mentre mostrava esercizi e variazioni, facendoci entrare nell’atmosfera di ogni balletto. Vederla e acquisire da lei questi insegnamenti è stato per me un onore e una grande fortuna.

Mentre dal maestro Jean-Philippe Halnaut?
Con il maestro Jean-Philippe Halnaut si è creata da subito una grande intesa; già durante lo stage di Pescara mi osservava e correggeva, mostrandomi l’aspetto costruttivo di ogni suo appunto. Una volta raggiunto a Roma mi chiedeva spesso di mostrare gli esercizi agli altri allievi del mio corso e apprezzava il modo in cui eseguivo le indicazioni tecniche e musicali. Questo suo metodo mi ha motivato e reso particolarmente ricettivo, stimolandomi a migliorare costantemente. In quegli anni a Roma ho compreso che il mio desiderio di diventare danzatore stava per realizzarsi perché sentivo intorno a me un clima di fiducia nelle mie possibilità. Sapevo di trovarmi nel posto giusto.

Durante gli anni di formazione, hai frequentato con borsa di studio l’Accademia “Princesse Grace” di Monte Carlo e la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Che esperienze sono state?
Durante un concorso, al quale partecipai con la mia scuola di danza di Barletta, Marika Besobrasova offrì a me e ai miei compagni una borsa di studio per i corsi dell’Accademia di Monte-Carlo. Eravamo piccolissimi, avevamo circa dodici anni, e l’esperienza fu per noi straordinaria. La città, così ordinata, ricca ed elegante, mi sembrava una grande villa; la stessa Accademia aveva una struttura particolare, una bellissima casa con ampie sale e finestre che si aprivano sul mare. Le classi erano frequentate da ragazzi di tutto il mondo, l’atmosfera era esaltante e di grande ispirazione per noi che venivamo da una piccola città del sud Italia. L’esperienza al Teatro alla Scala è stata invece impegnativa, ma indubbiamente istruttiva. Ho vissuto a Milano un’atmosfera di grande rigore e disciplina, che ha segnato il mio percorso formativo facendomi acquisire nuove abilità tecniche e rafforzando il mio carattere.

Quali sono i ricordi più belli legati a Marika Besobrasova e ad Anna Maria Prina?
Ho avuto la fortuna di frequentare l’Académie diverse volte durante gli anni della formazione, sempre per desiderio di Marika Besobrasova, che mi ha accolto con grande affetto. Ricordo di lei proprio questo atteggiamento ‘materno’ nei confronti di tutti gli allievi; la vedevo attraversare con eleganza e autorevolezza le sale dell’Accademia per poi sorridere ad ognuno di noi con i suoi attenti occhi azzurri. Aveva la capacità di cogliere i talenti di ogni singolo allievo e sapeva analizzare le potenzialità di ogni corpo. Nel suo sguardo vedevo la danza, intesa come libertà e armonia. La direttrice Anna Maria Prina è stata con me molto gentile; è una donna dal nobile aplomb e dai modi eleganti, la sua particolarità è proprio nel contrasto tra questo atteggiamento misurato e il suo accogliente sorriso.

Poi è arrivato il diploma e l’ingresso nel Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Amedeo Amodio. Che aria si respirava in quegli anni nell’ente romano e cosa devi al maestro Amodio in termini di evoluzione artistica?
Al mio ingresso al Teatro dell’Opera ho provato un grande senso di gioia: si trattava della prima esperienza professionale che finalmente mi ripagava degli impegnativi anni di formazione. L’incontro con Amedeo Amodio mi ha poi riservato ulteriori soddisfazioni perché ho preso immediatamente parte ad una produzione originale (“Per Alvin”, omaggio al grande coreografo americano Alvin Ailey) con gli elementi più di spicco della compagnia. Ho amato danzare lo stile di Amodio, un movimento libero, privo di restrizioni e dinamico. Il periodo di lavoro con lui mi ha fornito nuovi strumenti per affrontare il palcoscenico perché mi ha coinvolto in un’ampia visione della danza, non ristretta all’ambito della coreografia ma aperta all’esperienza del teatro, della cultura e della vita stessa. Penso risieda in questo del resto la particolarità della sua danza così vera e incisiva.

Mentre a Carla Fracci e a Micha van Hoecke?
A Carla Fracci (e a Beppe Menegatti) devo soprattutto l’avermi permesso di avvicinarmi al repertorio dei mitici “Balletti Russi”. Tale operazione offrì al nostro corpo di ballo la possibilità di esibirsi al Teatro Bolshoi di Mosca, tempio sacro del balletto: un’esperienza indimenticabile. La signora Fracci è un’artista generosa e attenta, e ha anche grande senso dell’umorismo. Quando sono stato suo partner di scena ho provato inizialmente nei suoi confronti un certo timore reverenziale, poi però mi sono affidato alla danza ed è stato il palcoscenico a farmi superare ogni paura. A Micha van Hoecke devo non solo l’avvicinamento alla coreografia di Maurice Béjart (ho avuto modo di danzare “Gaîté Parisienne”), ma anche ad un’idea della danza più aperta al teatro e ad un’esperienza più ‘espressiva’ del balletto. Mi ha affascinato la sua capacità di pensare alla danza come ad una macchina teatrale complessa e il suo modo di coinvolgermi in questa visione.

Parlando di sensazioni, quali sono state le più belle, vissute in scena?
Ho amato danzare e l’ho sempre fatto con naturalezza; in scena ho provato un grande senso di libertà e gioia. Mentre la sala danza ha messo a dura prova la mia personalità riservata e sensibile, è proprio in palcoscenico che ho trovato l’ambiente ideale per superare ogni timore. Forse perché è un luogo in cui dimentichi tutto, in cui ti concentri solo su quello che ami fare; tutto il resto rimane fuori dalla scena.

Il ruolo che hai prediletto e perché?
Il ruolo che ho prediletto è sicuramente quello di Gurn nel balletto “La Sylphide” nella versione di Bournonville perché è stato uno dei primi che ho danzato al Teatro dell’Opera di Roma, in quanto scelto da Niels Kehlet che mi volle al fianco dei due principal della compagnia danese: Thomas Lund e Gudrun Bojesen. Lo stile danese di August Bournonville è poi rientrato particolarmente nelle mie corde perché, oltre ad una predisposizione naturale, la mia formazione presso la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma – in quegli anni diretta da Elisabetta Terabust, tra l’altro partner di Peter Schaufuss e meravigliosa Silfide ella stessa – mi ha dato la possibilità di apprenderlo e di danzarlo negli spettacoli della Scuola (“Napoli”, “Le Conservatoire”).

Mentre l’addio alle scene come e quando è avvenuto?
Il mio addio non è stato volontario perché purtroppo ho avuto un incidente (in palcoscenico) che non mi ha permesso di continuare a danzare. In quel momento mi sembrava che il mondo mi stesse precipitando addosso. Eppure, proprio in quel momento così difficile, la danza stessa mi stava riservando nuove e importanti prospettive. Ho dunque intrapreso l’attività di insegnante nella prestigiosa Scuola del Teatro dell’Opera di Roma: un impegno che mi coinvolge profondamente e in cui trasferisco tutto ciò che ho appreso dal palcoscenico.

Sei passato dall’essere interprete a docente, che tipo di emozione provi ad insegnare e a stare dietro le quinte?
Credo che quella dell’insegnante sia la mia dimensione ideale perché si accorda alla mia personalità meticolosa e sensibile. Si tratta di una professione che richiede grande responsabilità perché ti trovi a costruire qualcosa che va al di là della danza stessa: hai a che fare con la formazione dell’individuo facendo attenzione ad educare alla disciplina senza colpire la particolarità del singolo. Si deve essere bravi a far prendere coscienza dei propri limiti e a fornire soluzioni per superarli. Il fatto che io sia stato un danzatore facilita la mia attività di trasmissione perché ci sono abilità che si attivano tramite l’osservazione e l’imitazione del maestro. Oggi, l’emozione dell’insegnamento non è diversa da quella che provavo in scena: prima di dare lezione percepisco la stessa adrenalina che sentivo dietro le quinte. Quando poi sono i miei ragazzi ad andare in scena, sono doppiamente emozionato; sono esigente perché è la danza classica ad esserlo, ma quando vedo i loro sorrisi e colgo il modo in cui hanno interiorizzato le mie indicazioni provo grande soddisfazione.

Il balletto è una fonte d’ispirazione continua. A te cosa ha regalato come valore aggiunto a livello umano oltre naturalmente alla professione?
Il fatto che io abbia potuto fare della mia passione un lavoro è certamente un privilegio. Ritengo tuttavia che la danza e la vita siano sostanzialmente la stessa cosa e che la disciplina del balletto possa fornire gli strumenti per affrontare ogni difficoltà di percorso. La danza insegna la costanza, la tenacia, l’andare avanti “nonostante tutto”; ti porta a confrontarti quotidianamente con i tuoi limiti ed è solo la passione a farti continuare. Penso sia un messaggio importante per i giovani di oggi: parla di impegno, dedizione, possibile caduta e risalita.

Che idea ti sei fatto del pubblico “della danza” italiano?
Credo che in Italia ci siano scuole eccellenti e grandi talenti, ma il pubblico è a volte eccessivamente critico. Trovo tuttavia positivo che gli spettacoli del Teatro dell’Opera di Roma, quando si tratta dei grandi classici del repertorio, riempiano le platee e ricevano molti applausi. Dobbiamo supportare e non calpestare il buon lavoro dei nostri corpi di ballo.

Cosa rende speciale la Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera?
Credo che la caratteristica fondamentale della Scuola dell’Opera sia quella di poter contare su una squadra che lavora con grande passione a prescindere dalle diverse visioni didattiche. Inoltre, onoriamo l’eccellenza storica della Scuola legata all’approfondimento della tecnica maschile grazie ad un elevato numero di talenti maschili.

La direttrice attuale è Laura Comi, cosa ha apportato all’interno della Scuola di innovativo?
Per quanto riguarda la mia esperienza, la grande innovazione della signora Comi è stata l’introduzione delle classi differenziate per maschi e femmine già a partire dal terzo corso, anticipando di un anno un lavoro specifico legato alle singole abilità degli allievi.

Nella carriera di maestro, a tuo avviso, cosa non deve mai mancare per esserne all’altezza?
Non deve mai mancare l’empatia con l’allievo e la voglia di continuare a studiare per cercare sempre nuovi strumenti didattici. La danza non è un’attività chiusa in se stessa, si apre ad altri ambiti come la musica, la scultura, la pittura, l’anatomia, la geometria: è dovere dell’insegnante aggiornarsi costantemente per stimolare e far crescere l’allievo. Ritengo inoltre fondamentale il rapporto diretto: il trasferimento delle conoscenze è il risultato di un’attività di osservazione, dialogo, empatia e sensibilità.

Un cattivo insegnante può causare anche danni seri a un danzatore o una danzatrice, cosa ne pensi a tal proposito?
L’incompetenza o il mancato aggiornamento di un insegnante possono certamente provocare danni all’allievo. Insegnare è una responsabilità e non tutti la sentono. Personalmente, terminata la carriera di danzatore, ho percepito il bisogno di rimettermi a studiare prima di intraprendere la professione di docente proprio perché si tratta di un’attività complessa. Senza preparazione c’è il rischio di forzare e danneggiare un corpo non ancora pronto. Il mio consiglio è di indirizzare i giovani a corsi professionali e ad insegnanti che garantiscano attenzione al sano sviluppo delle abilità fisiche.

Che tipo di lavoro svolgi con i tuoi allievi e qual è l’approccio – artistico e formativo – che ti contraddistingue durante le tue lezioni?
Cerco di osservare la classe, gli elementi che ho di fronte, il mio metodo comunicativo varia nel tempo: fornisco molti input e sono progressivamente più esigente a seconda degli obiettivi dell’anno accademico. Tengo sempre presente che non posso essere uguale con tutti perché i ragazzi sono diversi l’uno dall’altro, il mio compito è cogliere la loro individualità e comprendere la giusta chiave comunicativa per ottenere dei risultati da ognuno di loro. Devo dire che ho una certa predisposizione all’osservazione e all’ascolto, e questo mi aiuta a trovare il canale giusto per trasferire le conoscenze. L’importante è mettersi sempre in discussione, interrogarsi sul motivo per cui una correzione raggiunga un allievo e non un altro, e cercare sempre nuove soluzioni.

Ti piacerebbe provare l’avventura della coreografia?
È un’esperienza che ho già fatto: ho creato le coreografie per gli allievi del “Balletto di Roma” in occasione della festa di San Giovanni della Pigna, e per gli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma, utilizzando l’Abito vivo di Gattinoni, in occasione del Gala internazionale “La Moda che Danza”. Ora però preferisco concentrarmi sulla metodologia d’insegnamento. Credo che per affrontare la coreografia sia necessario un notevole lavoro di ricerca e approfondimento. Sono per natura troppo preciso per buttarmi con leggerezza in un ambito che rispetto profondamente.

Per concludere, quale potere benefico possiede la danza a differenza di tante altre discipline?
La danza può fornire delle soluzioni e degli strumenti per vivere meglio: insegna la resistenza, la responsabilità, la sfida con se stessi. Fisicamente migliora la postura e la coordinazione. Mira alla verticalità e all’equilibrio, aspetti che riguardano sia il corpo che la mente: conta la base, la capacità di tenersi ben saldi al suolo, ma anche l’altezza, la tendenza al volo. Unisce dunque terreno e spirituale, concretezza e aspirazione: un’arte in cui corpo e mente lavorano in perfetta armonia.

 

Michele Olivieri
Foto Archivio
www.giornaledelladanza.com

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