Antonio De Rosa è nato a Castellammare di Stabia, ha iniziato a studiare danza presso l’Accademia Nazionale di Roma, sotto la direzione di Margherita Parrilla. Nel 2005 si trasferisce a Milano e si unisce alla Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala, sotto la guida del direttore Frédéric Olivieri, dove si diploma nel giugno del 2008. Nello stesso anno entra a far parte del Teatro Comunale di Firenze “Maggio Fiorentino”. Viene poi invitato, come ballerino ospite, all’Arena di Verona per il “Gala 900” e per il “Don Chisciotte”. Durante questi anni ha partecipato a diversi spettacoli in tutta Italia. Nel 2009 entra a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di Makhar Vaziev. Nel 2011 si unisce alla “Compañía Nacional de Danza” in Spagna diretta da José Carlos Martínez. Nel settembre 2013 viene promosso a ballerino Solista. Con la compagnia spagnola ha preso parte a diversi ruoli in celebri creazioni, tra cui “Herman Schmerman” di William Forsythe, “Casi-Casa” di Mats Ek, “Romeo e Giulietta” di Goyo Montero, “Sonatas” di José Carlos Martínez. Ha anche danzato in creazioni di altri prestigiosi coreografi come Jirí Kylián, Itzik Galili, Ohad Naharin, Johan Inger, Rudolf Nureyev, George Balanchine, Maurice Béjart, Roland Petit e Tony Fabre. Antonio De Rosa, in veste di giovane coreografo, ha creato “For Now in Liquid Days” (per il Guggenheim di Bilbao), “Mirage” su installazione di Eugenio Ampudia e “Yellow Place” in collaborazione con Mattia Russo e la “Compañía KOR’SIA” fondata e diretta in Spagna dagli stessi De Rosa-Russo. Tra i premi ricevuti quello riservato ai Giovani Talenti del Premio Internazionale Positano Leonide Massine e successivamente il Premio Capri. Ha vinto inoltre il primo premio “Cul-de-Sac” presso il 21° “Concours Chorégraphique Contemporain Jeunes Compagnies” in Francia e il secondo premio con la creazione “Yellow Place” al “Copenhagen International Choreography Competition” in Danimarca.
Caro Antonio quali quali sono state le maggiori difficoltà, non solo fisiche, nello scegliere lo studio della danza?
La più grande difficoltà è stata quella di dover lasciare la mia città natale, Castellammare di Stabia, a soli quindici anni d’età.
Quali sono le persone che hanno segnato maggiormente il tuo percorso artistico?
Le persone che hanno segnato la mia carriera professionale sono tante, ed ognuna in una fase differente. Ricorderò per sempre Giuliana Pensi, la quale mi consigliò ad undici anni di studiare la tecnica classica accademica come base della disciplina, e successivamente il maestro Leonid Nikonov che mi aiutò a comprendere l’importanza del codice classico-accademico in tutte le sue sfaccettature ed in particolare il suo utilizzo.
Quando hai capito che investire sulla danza sarebbe stato per te fondamentale?
Ancora adesso, così come all’inizio del mio percorso artistico, cerco di capire come e quando ho incominciato ad investire sulla danza. Dico sempre che tutto inizia come per magia, come un gran gioco… o meglio come un complicatissimo “rebus”. Sono dell’idea che intraprendere un percorso, nel mondo della danza oggi, sia più che una vocazione… c’è bisogno di essere pronti sin da piccoli e decidere quale cammino percorrere; perché la carriera può essere relativamente corta.
Come descriveresti, nel complesso la tua esperienza all’Accademia Nazionale di Roma?
In Accademia ho trascorso meno di un anno della mia formazione, ma ho avuto la fortuna di conoscere e studiare con alcuni insegnanti validissimi come Silvia Obino, Anna Paola Pace e Clarissa Mucci.
Mentre alla Scuola di ballo della Scala di Milano?
Sicuramente all’Accademia d’arte e mestieri del Teatro alla Scala devo tutta la mia formazione, soprattutto al maestro Leonid Nikonov, che mi ha seguito negli ultimi anni di perfezionamento anche se in generale tutti i docenti mi hanno trasmesso un qualcosa di speciale. Inoltre la scuola, così come è organizzata, permette una formazione coreutica a 360° e ritengo che questa sua prerogativa, sotto la direzione di Frédéric Olivieri, sia diventata ancora più evidente. Nutro grande stima nei riguardi del Maestro Olivieri.
Prima del Corpo di Ballo della Scala hai fatto parte del “Maggio Fiorentino”. Cosa ti rimane di quell’esperienza?
Purtroppo al Maggio Fiorentino sono rimasto solo pochi mesi, perché la situazione economica dello stabile non permetteva la stipula di contratti lunghi, ciò nonostante la ricordo come un’esperienza molto utile dal punto di vista professionale.
Ai tempi della Scala c’era il direttore Makhar Vaziev. Com’era lavorare al suo fianco?
Lavorare al fianco di Vaziev… un’intervista non basterebbe! È stata una persona fondamentale nella mia carriera, perché dopo la sua direzione ho deciso di mettere da parte la danza classica ed approfondire il mio lato più creativo.
Nel 2011 ti sei unito alla “Compañía Nacional de Danza” diretta da José Carlos Martínez. Perché hai scelto la Spagna?
Cercavo un cambio e soprattutto cercavo un posto dove poter esplorare altri linguaggi. La Spagna è stata per me la rinascita, e la scoperta di una “danza” che riesce ad uscire dagli schemi.
Quali sono i punti di forza della compagnia, fondata a Madrid da Victor Ullate e poi diretta anche dalla celebre Maya Plisetskaya?
La sua versatilità, poter passare dal classico al contemporaneo con molta facilità.
Hai fatto a tempo a lavorare con Nacho Duato, direttore della compagnia fino al 2011?
Purtroppo non ho mai avuto il piacere di lavorare con il coreografo Nacho Duato. Il mio primo ed unico approccio con la Compagnia Nazionale è stato con la direzione di Jose Carlos Martínez.
A proposito del direttore Martínez, affermato coreografo e già Principal all’Opéra di Parigi, cosa apprezzi?
Principalmente la sua apertura dal punto di vista umano quanto artistico. Se oggi sono quello che sono è anche grazie a lui e alla sua visione della danza nel panorama europeo.
Per chi ti segue, tu rappresenti la danza. E per te invece cos’è la danza?
La danza è un mondo che parla della vita, delle persone, delle cose che si muovono, dei corpi che esplorano i propri limiti fisici e mentali. Come un torrente che da dentro viene fuori con tutta la sua forza per esprimere quello che non si riesce a dire tramite le parole.
Nel tuo repertorio, il ruolo che hai prediletto?
Il ruolo di Don Josè nella coreografia di Johan Inger. Non so se lo definirei il mio ruolo preferito, ma sicuramente sono molto legato a questo personaggio perché è stato l’ultimo che ho interpretato all’interno della Compagnia Nazionale.
Dal punto di vista professionale ti manca l’Italia?
In questi ultimi anni sono ritornato in Italia sia con la Compagnia Nazionale sia con la mia compagnia KOR’SIA con differenti spettacoli, ma non nascondo il debole per il mio paese, mi piacerebbe ritornare un giorno.
Qualcuno ha detto: la danza esiste solo nel momento in cui la si fa… Sei d’accordo?
In parte condivido questo concetto, però penso che non corrisponda del tutto a verità. Di sicuro la danza per il suo carattere effimero è un qualcosa che esiste solo nel momento in cui viene rappresentata, ed è anche vero che gran parte del repertorio della danza di tradizione utilizza l’arte della danza per esprimere bellezza, freschezza ed è composta principalmente per incantare l’occhio del pubblico come un eccesso di beltà estetica. Però che succede quando la danza lascia il posto alla protesta, alla scomodità e alla denuncia sociale entrando nella mente dello spettatore in forma molto più violenta? Sicuramente la danza non cambierà il suo carattere effimero però neanche lascerà che tutto finisca nel momento in cui si compie l’atto, perché sarà in grado di generare delle domande negli spettatori, e in questo modo l’opera continuerà a vivere anche dopo la sua rappresentazione, questa volta, però, in un luogo diverso: nella mente dello spettatore!
Il “passo” non è mai identico ogni volta che lo si compie oppure trovi errata questa affermazione?
Sono completamente d’accordo con questa affermazione, possiamo ogni volta approssimarci o allontanarci da quello che è il passo prestabilito, pero non sarà mai uguale. Per fortuna i ballerini non funzionano come un calcolo matematico anche se di matematica ce n’è tantissima nella danza.
Nella tua vita da danzatore, qual è stato l’incontro più importante?
Ho avuto la fortuna di incontrare e lavorare con grandi artisti ed ognuno di loro vive dentro di me e nel mio mondo creativo.
Hai viaggiato molto e in diversi luoghi professionali. Come mai questa esigenza di cambiare?
Forse perché sono dell’idea che c’è sempre un posto nuovo da scoprire, delle cose inedite da imparare o forse perché credo che mettermi in gioco in situazioni, luoghi diversi e persone differenti, stimoli la mia creatività.
Qual è la danza che ti piace “danzare”?
In questo momento preferisco danzare coreografie che nascono da un processo creativo, in cui il coreografo può lavorare braccio a braccio con l’interprete.
E quella che ti piace osservare?
Non ho preferenze, mi piace osservare qualsiasi tipo di danza purché sia di qualità.
In coppia con Mattia Russo hai firmato lavori sia per la compagnia spagnola sia per KOR’SIA, compagnia di cui siete fondatori, direttori artistici e danzatori. Com’è nata l’idea e come vuoi presentare la compagnia per chi non la conoscesse?
KOR’SIA deriva dall’esigenza di provare. Nasce dalla necessità di rendersi visibili, sente l’urgenza di utilizzare un linguaggio che la parola non riesce ad esprimere. Kor’sia, fondata da Giuseppe Dagostino, Mattia Russo e Antonio de Rosa, trova espressione in un’idea culturale comune. La compagnia si pone come principale obiettivo quello del rischio, introducendosi in maniera attiva nella rete sociale che muove la scena contemporanea. Imprescindibili sono i principi delle arti figurative, della letteratura e del cinema, riferimenti per elaborare nuovi mezzi espressivi.
Con la compagnia diretta da te e Mattia avete preso parte a diversi prestigiosi festival, tra cui “Bolzano Danza”. È difficile per dei giovani coreografi contemporanei trovare i giusti canali di promozione e visibilità?
Sì appunto, siamo stati lo scorso luglio a “Bolzano Danza” e in altri festival italiani, ed esteri. Con la coreografia ci sta succedendo un po’ come negli anni dell’infanzia… quando abbiamo deciso di investire nell’arte coreutica per il semplice fatto di volersi esprimere.
Per chi non l’avesse visto, mi descrivi “YellowPlace”, una tra le vostre creazioni di maggior successo?
Questa coreografia è stata l’inizio di tutto, se oggi esiste KOR’SIA è soprattutto e grazie a “YellowPlace”. Il colore è il punto di partenza per lo sviluppo di un “YellowPlace” in cui due sconosciuti s’incontrano e raggiungono rapidamente il punto più intenso del loro rapporto. Drammaturgicamente è diviso in tre parti, come i tre stadi della crescita. Il primo è l’incontro degli innamorati, l’emozione del viaggio a due. Successivamente il rapporto si evolve in una situazione nevrotica, di dipendenza, in cui uno ama per entrambi, e l’altro ama solo se stesso. Alla fine, il pas de deux prima della separazione, in cui tutto ritorna ad una situazione di calma. Pronti ad abbandonarsi senza saperlo, idealizzando il loro amore come l’alchimista che esalta la cosa più preziosa. Il primo conflitto reale è prodotto nel perseguimento del sogno di stabilità e armonia. Una delle due parti si preoccupa per se stessa. L’altra necessita una forza doppia, essendo in grado di vivere la presenza a due all’interno della propria essenza, sognando la natura irreale che non esiste. Invecchiare insieme è vero o è finzione?
Cosa vi accomuna te e Mattia nell’estro creativo e come vi siete incontrati artisticamente?
Una delle cose che più ci accomuna è il nostro percorso di formazione, entrambi abbiamo una base di danza classica-accademica ed infine il gusto per l’estetica.
Di cosa ti stai occupando in questo momento e quali sono i progetti futuri?
In questi mesi sto lavorando su un nuovo progetto “the Lamb” sempre in collaborazione con Mattia Russo per la compagnia KOR’SIA. La premiere di questo spettacolo andrà in scena il 17 novembre e successivamente si presenterà il 7 dicembre all’interno del festival “Madrid en Danza” nel Teatros del Canal di Madrid.
Michele Olivieri
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Foto: Fernando Marcos Ibáñez