Era il luglio del 1997 quando ci siamo conosciuti. Precisamente una sera d’estate, durante il Festival di Spoleto. Io ero una giovane allieva dell’Accademia Nazionale di Danza, già con la voglia di intraprendere il lavoro di giornalista. Lui, per me come per tutti, era il grande professore Alberto Testa, quel Testa dei libri sui quali studiavamo.
Da quel giorno, io e te, non ci siamo più lasciati. E non so perché, è una domanda che mi pongo spesso. Ma conoscendo la lungimiranza che ti ha contraddistinto, forse, avevi visto la luce nei miei occhi, il fuoco nella mia anima di chi voleva intraprendere questo percorso: e se oggi sono, è tutto merito tuo, caro Maestro.
Con te ho scoperto questo ‘mondo’, il mondo della danza. Mi hai insegnato tutto di questo mestiere. Come muovermi, come scrivere, come affrontare la passione e le delusioni del nostro lavoro. Mi hai portato nel tuo mondo, per venti lunghi anni.
Quegli anni passati insieme al Premio Positano e l’occasione di conoscere i più grandi divi della danza; premio che a distanza di dieci anni ho ricevuto a mia volta, e proprio dalle tue mani, come riconoscenza dei tuoi insegnamenti. Mi hai portata con te alla Settimana Internazionale della Danza di Spoleto, mi hai perfino ceduto la tua poltrona. Mi hai consegnato un lavoro lungo 25 anni, creando insieme il Premio della Critica.
Oggi mi sembra impossibile immaginare questo lavoro senza di te, senza le nostre lunghe telefonate, senza i pomeriggi trascorsi insieme bevendo il tuo ‘canarino’, parlando di danza e di lavoro. Tu mi hai sempre supportata. Anche quando, nel 2010, ti parlai dell’idea di fondare il primo giornale online di danza in Italia. “Devi farlo assolutamente” mi avevi detto senza dubitare, “perché sarai il primo critico a portare la danza sul web. Questo sarà il tuo primato”. E dalla fondazione del giornale ricorrono dieci anni proprio quest’anno, anche grazie ai tuoi scritti, ai tuoi consigli, alle tue linee guida, divenendo nel 2015 il Presidente Onorario della testata.
Sarebbe impossibile ricordare tutto il lavoro svolto insieme. Oggi sembra infinito. Questo è il Professore Alberto Testa, la parte più intima, viscerale e familiare la voglio custodire nel mio cuore e nei miei ricordi. Ne potrei raccontare tanti di aneddoti, come le domeniche passate da me in campagna, a mangiare le pere sciroppate al vino rosso di mia madre; i tuoi compleanni festeggiati insieme e le ricorrenze della mia famiglia, in cui tu ci sei sempre stato. Una su tutte? Il regalo più grande: quando hai presenziato ai miei 18 anni.
Oggi il mondo della danza perde la sua entità. Una memoria storica di valore inestimabile. Un professionista con le mani baciate dal Signore, che ha segnato le carriere e i destini di molti di noi. Chi ti ha conosciuto deve ritenersi fortunato. Io voglio ricordarti con questo editoriale, condividendo quello che di te resterà in me.
Tempo fa mi hai detto qualcosa che oggi pesa e riempie come un’eredità emotiva e professionale: “Cara Sarina (questo era uno dei miei tre soprannomi, il secondo Giunco, il terzo ve lo spiegherò dopo), devo dirti una cosa. Tu continuerai il mio cammino e ne hai tutti gli strumenti. Posso dire con grande fierezza che tu sei e sarai la mia discepola diretta”.
Ho temuto sempre questo momento. Non so come e da dove ripartire, caro Professore, ma troverò il coraggio, per me e per te. Lo troverò. In tutte le volte che mi hai dato una possibilità e hai creduto in me. L’ultima volta che ci siamo parlati, appena due giorni fa, al telefono mi hai ripetuto: “La mia bambina, la mia bambina”. Sono passati vent’anni e oggi sono una donna, ma in questo momento il mio cuore è spaventato e spaesato proprio come quello di una bambina.
Dicevi sempre a tutti noi: “Finché c’è danza c’è speranza”.
Grazie, grande Maestro.
Con gratitudine,
S.