Il dolore è il modo attraverso cui il corpo comunica che qualcosa non va e svolge dunque una funzione fondamentale nella sopravvivenza dell’individuo. I nocicettori o recettori del dolore sono sparsi ovunque nel nostro corpo e svolgono l’essenziale funzione di identificare stimoli pericolosi e di segnalare la necessità di reagire a un danno all’integrità fisica.
L’esperienza del dolore è complessa, in quanto determinata dalla dimensione affettiva e cognitiva, da esperienze passate, dalla struttura psichica e da fattori socio-culturali, e crea disagio fisico e psicologico. Costringersi a ignorare il dolore e a sopportarlo senza affrontarne le cause, rischia di metterci in condizione di non avere più accesso a queste essenziali informazioni fornite dal corpo.
I ballerini sono noti per continuare a ballare nonostante tutto, perché un certo livello di dolore fa parte dell’essere un danzatore. Ecco perché è necessario saper distinguere tra dolore ‘buono’ e dolore ‘cattivo’. Il primo può essere definito come sensazione di indolenzimento che si verifica per esempio quando il corpo viene spinto al punto di tensione durante lo stretching. Il secondo invece può essere invalidante e impedire di eseguire normalmente i passi e la pratica.
Il problema è che spesso i ballerini non si fermano neppure quando dovrebbero, quando sanno che la loro condizione fisica sta peggiorando, andando incontro a lesioni e infortuni che limitano le loro potenzialità. Nella danza, infatti, è normale e necessario nascondere la fatica e altre sensazioni corporee, incluso il dolore, per non compromettere la riuscita dello spettacolo. Inoltre, i ballerini professionisti sono consapevoli di non avere a disposizione molto tempo per costruire e vivere la loro carriera, quindi si spingono fino allo stremo. Compagnie di danza con difficoltà finanziarie non hanno sempre a disposizione un budget per i sostituti, perciò non ballare può significare far saltare uno spettacolo. Il danzatore dunque ha due scelte: esibirsi e peggiorare il suo stato fisico, oppure non esibirsi e affrontare le conseguenze di quella decisione, con altri tipi di risvolti negativi sulla sua carriera.
Come possiamo invertire questa tendenza? Da dove parte la prevenzione? Le risposte a queste domande sono varie e tutto sommato scontate. Si comincia a lezione di danza, allenando non solo il corpo del ballerino, ma la sua autoconsapevolezza. Insegnanti e coreografi devono lavorare sull’aumento del livello di controllo di core stability, ossia la congiunzione tra il sistema muscolare stabilizzatore e il sistema cinetico, e sulla dimensione di consapevolezza corporea. Ma non basta, è necessario incoraggiare una cultura finalizzata alla salute e alla cura di sé, promuovere l’ascolto del corpo e rendere chiara l’importanza di prendersene cura, facendo comprendere al danzatore che il riposo talvolta è necessario e salutare.
Di pari passo, nel caso di infortuni, andrà rafforzata l’identità personale del ballerino, in modo tale che le lesioni non vengano vissute come esperienza mortificanti e psicologicamente provanti, bensì come momenti di ascolto e di rafforzamento della propria consapevolezza psico-fisica, tema spesso trascurato ma estremamente rilevante che approfondiremo nei prossimi articoli.
Stefania Napoli
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