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“La Vita è una Danza” intervista al coreografo del film Hofesh Schechter

Il regista di “L’appartamento spagnolo” torna sul grande schermo con una gioiosa commedia francese che insegna il valore della rinascita anche di fronte alle sfide più ardue, rivolgendo sempre lo sguardo verso il lato più luminoso della vita e abbracciando nuove opportunità. Protagonista del film la prima ballerina dell’Opéra di Parigi Marion Barbeau, qui nei panni di Elise, una promettente ballerina di danza classica che vive nella capitale francese insieme al fidanzato. 

Dopo aver scoperto che il ragazzo la tradisce e aver subito un grave infortunio, la giovane donna intraprenderà un cammino verso la guarigione fisica ed emotiva che la condurrà fino in Bretagna, dove il calore dei suoi amici e un nuovo amore la metteranno di fronte alla possibilità di una rinascita. 

Quando e come ha conosciuto Cédric Klapisch?

Lo conosco dal grande schermo da circa 20 anni! (ride) Ho scoperto L’APPARTAMENTO SPAGNOLO quando avevo 25 anni. Mi è piaciuto molto perché mi sono rivisto nei suoi personaggi e nel modo in cui Cédric ha raccontato questa storia. Ma la prima volta che l’ho incontrato è stato quando lavoravo con il Balletto dell’Opera di Parigi, mentre lui si occupava delle riprese dello spettacolo. Siamo andati a prendere un caffè ed è stato un ottimo primo incontro, caratterizzato da gentilezza e da discussioni concrete ed efficaci. In seguito, l’ho invitato a vedere gli spettacoli della mia compagnia al Théatre de la Villette e poi nei Paesi Bassi. E poi un giorno mi ha confidato il suo desiderio di fare un film di finzione sulla danza. Ma non aveva ancora scritto nulla. Mi spiegò che avrebbe iniziato a sviluppare la sceneggiatura solo dopo aver trovato gli attori. Poi tutto è iniziato con il lockdown, che ha reso possibile l’incontro tra il suo desiderio e gli impegni della mia compagnia, perché lui ha potuto prendersi il tempo per scrivere e noi non eravamo in tournée per il mondo.

Ha percepito subito l’amore di Cédric Klapisch per la danza e i ballerini?

Immediatamente. E ai miei occhi LA VITA È UNA DANZA è una lettera d’amore alla danza e ai ballerini. Non ho mai visto un film dare così tanto spazio sia al processo creativo che alla vita quotidiana dei ballerini. C’è qualcosa di incredibilmente poetico nella visione che Cédric ha di quest’arte e di coloro che la praticano, così come nel suo desiderio di trasmetterla agli spettatori. Ho apprezzato la sua scelta di non concentrarsi sui conflitti che ovviamente esistono, ma piuttosto di mostrare il lato più bello della danza attraverso il percorso di rinascita dell’eroina ferita, tutto il lavoro sul corpo che questo comporta e l’energia che fornisce.

Come ha collaborato con lui alla produzione di LA VITA È UNA DANZA?

Innanzitutto, discutendo molto presto su quale sarebbe stata l’effettiva sostanza del film, sulla parte di realtà che Cédric voleva inserire nella sua finzione. Ma gli ho assicurato subito che qualsiasi direzione avesse preso, io sarei stato al suo fianco. Cédric ha poi fatto un’audizione a tutti i ballerini della mia compagnia e mi ha chiesto un parere sulle scelte che faceva man mano. E le ho trovate tutte pertinenti. Allo stesso tempo, parlavamo anche della scelta della coreografia finale di LA VITA È UNA DANZA. Gli ho detto fin dall’inizio che pensavo che sarebbe stato meglio partire da una coreografia esistente piuttosto che crearne una appositamente per il film, visti i tempi ristretti. Cédric aveva visto una performance della mia Political Mother: The Choreographer’s Cut a La Villette. E ci siamo trovati d’accordo su questa scelta. Ma l’atmosfera era completamente diversa: avremmo dovuto danzare davanti a un pubblico molto ridotto – solo 150 persone in questo grande teatro – a causa delle restrizioni dovute al COVID. Quindi, sulla carta nulla era semplice, ma c’era un’incredibile fluidità nell’intero processo. Non ho mai avuto la sensazione che ci fossimo imbattuti in un problema insormontabile, in un senso di caos o un Everest invalicabile. Questo deriva dal modo in cui Cédric lavora, dalla sua immensa serenità. Non sembra mai preoccupato sul set ed è costantemente alla ricerca di modi per rendere coloro che filma – attori e ballerini – il più liberi e quindi il più a loro agio possibile.

Come avete affrontato le riprese delle prove e poi lo spettacolo di Political Mother: The Choreographer’s Cut con lui e il suo direttore della fotografia Alexis Kavyrchine?

Per le coreografie, si è trattato di un lavoro molto istintivo da parte di Alexis, che ha accompagnato i nostri movimenti chiedendoci di rifarne alcuni di tanto in tanto. In quelle scene, lui e Cédric hanno saputo entrare nell’intimità e nella vulnerabilità dei ballerini e condividerla. È quasi un documentario. Per quanto riguarda lo spettacolo in sé, abbiamo semplicemente eseguito più volte Political Mother in modo che Cédric potesse riprenderlo da tutte le angolazioni che voleva.

Avete apportato qualche modifica alla vostra coreografia originale per il film?

Assolutamente no. Cédric mi ha chiesto se volessi che lui la filmasse in qualche modo per non compromettere la mia visione. Ma gli ho detto che doveva solo trasformarla in immagini nel modo più pertinente per il suo film. Che questa coreografia era solo un elemento del puzzle che doveva cogliere a modo suo, allontanandosi dallo stile di registrazione “classico”. Che poteva fare tutti i primi piani che voleva. Nel montaggio, inoltre, hanno ridotto la performance e tagliato degli elementi. E credo davvero che il risultato sia perfetto.

Cosa pensa del modo in cui Cédric parla del rapporto tra danza classica e danza contemporanea nel corso del film?

Anche in questo caso, la sua visione di queste due discipline perfettamente complementari è corretta e rispettosa. Vengono messe in evidenza le caratteristiche di entrambi gli stili. E ci vedo dentro anche tutti i dibattiti che ho avuto o sentito in tutti gli anni in cui ho frequentato questo ambiente. Ci si rende conto che Cédric non vuole scegliere. Gli piacciono entrambi gli stili di danza. E questo si vede dal modo in cui filma sia il balletto di apertura che quello di chiusura. Ci mostra ciò che ama in ognuno di essi e lo esalta.

Lei ha anche debuttato come attore in LA VITA È UNA DANZA. Com’è stata questa esperienza?

All’inizio ero sorpreso quando Cédric mi ha chiesto di recitare. Ma poi mi ha spiegato le sue intenzioni: dare un aspetto documentaristico al suo film, venire a filmare le prove senza un copione prestabilito per quelle scene… L’idea mi è piaciuta subito e, visto che la compagnia avrebbe portato il mio nome, sarebbe stato strano se io non avessi interpretato il mio ruolo! Ma è stato quando Cédric è tornato con una prima versione del copione che ho scoperto che il mio personaggio non solo sarebbe apparso sullo schermo ma avrebbe avuto anche delle battute! Per me si trattava di una sfida diversa e inedita. Ma ho deciso di accettare. Onestamente, è stato un grande impegno rimanere naturale… interpretando me stesso con così tante persone intorno a me. Mi ci è voluto un po’ di tempo per riuscirci. Ho avuto giorni difficili e altri in cui tutto sembrava semplice. Ma è stato affascinante vedere che quando si pensa di essere fuori posto nella scena, questa funziona perfettamente, o viceversa! In ogni caso non mi pento di aver accettato di recitare, soprattutto perché Cédric è sempre stato aperto a piccole modifiche del testo per farmi sentire più a mio agio.

E come giudica l’interpretazione di Marion Barbeau?

Sullo schermo accade qualcosa di affascinante. A partire dalla prima scena senza dialogo, in cui il suo personaggio si infortuna mentre balla La Bayadère. Ciò che accade sul suo volto è stupefacente. In quel momento mi sono detto: è nata una stella! Il lavoro che ha fatto per questo film – in cui sembra allo stesso tempo naturale e intensa – è davvero sorprendente.

Redazione

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