La straordinaria bellezza dei requiem e il loro grande potere spirituale hanno ispirato Angelin Preljocaj a creare un’opera che da tempo gli stava a cuore. Diciannove danzatori del Ballet Preljocaj, in scena al Teatro Ponchielli domenica 23 marzo (ore 20.30), si misureranno in Requiem(s), un viaggio dentro il mistero della morte con i suoi dolori e la sua speranza di pacificazione nel tempo rispetto alla perdita di qualcuno che si è profondamente amato. Uno spettacolo per quadri segnati da repentini strappi musicali contrastanti, in cui coesistono musica classica, rock e nuove composizioni. Requiem(s) è anche un inno alla vita, attraverso l’energia del corpo che nella danza trova la sua resilienza e affettiva cura.
Cosa ti ha portato ad avvicinarti al tema del lutto?
Nel 2023 ho perduto mio padre, mia madre e molti amici cari. Queste circostanze hanno fatto emergere in me la voglia più profonda e remota di creare una coreografia sui sentimenti legati alla perdita dei nostri cari. Ne “Le forme elementari della vita religiosa” il sociologo Emile Durkheim mostra come la civiltà prenda corpo nei rituali della memoria. Il requiem segue questa derivazione e questa dimensione strutturante della nostra società e della nostra collettività.
Cosa vuoi trasmettere?
Voglio sviluppare tutte le emozioni che ci attraversano nel lutto. Oltre alla tristezza e all’annientamento, c’è anche il ricordo, la traccia che la persona amata lascia vivere in noi. Quando si assiste a un funerale, ci vengono in mente dei ricordi, condividiamo riflessioni, a volte ridiamo perfino. Dalla ferita, che non guarirà di sicuro mai, può emergere una forma di gioia, quella di risvegliare la memoria della persona che abbiamo perduto. In questo modo la morte può dare sollievo e un senso più profondo della vita. Vorrei cercare di ritrascrivere questa sensazione meravigliosa del miracolo della vita. Una sorta di celebrazione della vita stessa.
Quali autori ti hanno accompagnato in questa nuova creazione?
Roland Barthes e il suo “Journal de deuil”, Gilles Deleuze e il suo “Abecedario” nel quale parla in particolare della vergogna di essere uomo provata da Primo Levi di ritorno dalla prigionia. Ma anche della gioia di Nietzsche definita tragica, quella del pastore Louis Pernot o del filosofo Clément Rosset per il quale la gioia è una grande forza che contiene allo stesso tempo le dimensioni negative dell’esistenza e il loro rimedio. Ma anche della gioia di Nietzsche definita tragica, quella del pastore Louis Pernot o del filosofo Clément Rosset per il quale la gioia è una grande forza che contiene allo stesso tempo le dimensioni negative dell’esistenza e il loro rimedio.
Come si traducono questi sentimenti in coreografia?
Queste riflessioni mi alimentano e generano una scrittura specifica. Per me creare non è applicare un piano prestabilito. È confrontarsi sull’argomento con i ballerini per trovare insieme dei percorsi diversi dal solito. Come si può parlare la lingua muta del lutto e rendere visibili questi sentimenti complessi? La scrittura coreografia è un linguaggio universale che esprime quello che non riusciremmo a spiegare a parole.
Perché Requiem(s) al plurale?
Non volevo creare la coreografia di un requiem, come quello di Mozart, di Fauré o di Ligeti ma proporre una struttura musicale eterogenea e aggiungervi delle creazioni sonore. Si tratta piuttosto di Requiem(s) in coreografia, una processione di corpi per cercare di dare un’idea del mosaico di sentimenti provati dopo una perdita.
intervista ad Angelin Preljocaj a cura di Vinciane Laumonier
INFO: biglietteria@teatroponchielli.it
Michele Olivieri
Foto di © Yang Wang
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