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95 anni fa nasceva Paul Taylor: l’architetto del movimento


Quando si parla di danza moderna americana, nomi come Martha Graham o Merce Cunningham emergono con prepotenza. Eppure, tra le colonne portanti di questo linguaggio corporeo del Novecento, Paul Taylor ha occupato un posto unico, spesso in bilico tra l’eleganza classica e la ribellione sperimentale. La sua arte ha sfidato le convenzioni pur senza mai distruggerle, trasformando il corpo umano in un veicolo di ironia, lirismo e sorprendente umanità.

Paul Taylor nacque il 29 luglio 1930 a Wilkinsburg, in Pennsylvania, e si formò in pittura e nuoto prima di dedicarsi interamente alla danza. Studente alla Juilliard School, si affermò presto come danzatore nel leggendario ensemble di Martha Graham, con cui collaborò negli anni ’50. L’influenza della Graham fu importante, ma Taylor non tardò a trovare una sua propria voce coreografica — una voce a volte ironica, altre volte filosofica, sempre sincera.

Ciò che distingue Paul Taylor da molti suoi contemporanei è l’ampiezza della sua visione artistica. Il suo repertorio, che comprende oltre 140 coreografie, è un labirinto stilistico: dalla satira sociale di “Big Bertha” (1970) all’astrazione sublime di “Esplanade” (1975), ogni opera è costruita con un senso profondo della teatralità e del tempo musicale.

La “Paul Taylor Dance Company”, fondata nel 1954, divenne un laboratorio vivente dove la sua visione si poté sviluppare liberamente. Tra i ballerini e i coreografi emersi dalla sua compagnia ci sono anche Twyla Tharp e David Parsons. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, Taylor era un uomo riservato, spesso silenzioso, che lasciava che fossero i suoi danzatori a parlare per lui – con il movimento.

Molti dei suoi collaboratori hanno raccontato che Taylor raramente spiegava il significato delle sue opere. Preferiva che ogni interprete trovasse la propria verità nel movimento, rendendo così ogni replica un’esperienza irripetibile. La sua filosofia era fondata sulla libertà e sull’intuizione.

Paul Taylor si è spento il 29 agosto 2018, ma la sua influenza continua a riverberarsi nelle sale prove e sui palcoscenici di tutto il mondo. La sua compagnia, oggi guidata da Michael Novak, esegue le sue coreografie accanto a nuove commissioni, mantenendo vivo quel raro equilibrio tra tradizione e innovazione.

In un’epoca in cui la danza rischia spesso di essere ingabbiata dalla tecnica estrema o dall’estetica digitale, l’arte di Paul Taylor ci ricorda che il corpo umano, nudo e sincero, ha ancora molto da raccontare. La sua danza è un dialogo con l’anima, una forma di poesia in cui ogni passo è una parola, ogni gesto un verso.

Paul Taylor non ha mai cercato il clamore. La sua rivoluzione è stata silenziosa, fatta di nuance, di contrasti e di profondità. Ha dimostrato che la danza può essere accessibile senza essere superficiale, profonda senza essere oscura. In un mondo che corre, le sue coreografie ci invitano ancora a guardare, a sentire, a essere.

Michele Olivieri

Foto di Jack Mitchell

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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