Quando si parla di Maria Callas, il pensiero corre immediatamente alla sua voce: drammatica, penetrante, unica. Senza dubbio, una delle più grandi voci del Novecento.
Tuttavia, un aspetto meno esplorato della sua arte – e della sua leggenda – è il rapporto profondo e sotterraneo che la Callas intrattenne con la danza in senso lato.
Non si tratta solo di movimenti teatrali o di portamento, ma di una vera e propria disciplina corporea che trasformò la sua presenza e, naturalmente, la sua voce.
Maria Callas sotto l’influenza del regista Luchino Visconti e grazie al lavoro con coreografi e registi di chiara fama cominciò a comprendere il valore del corpo come estensione drammatica della voce.
Studiò il linguaggio del gesto, l’equilibrio, l’intenzione nel movimento, il dettaglio nello spostamento, l’espressività fisica. «Ogni parola deve passare attraverso il corpo, altrimenti resta vuota», disse in un’intervista.
Ogni passo, ogni sguardo, ogni inclinazione del busto era coreografata con rigore. Non era però coreografia in senso classico, era una danza invisibile, fatta di tensioni muscolari, di sospensioni del respiro, di anticipazioni e ritardi che davano senso al tempo musicale.
Non è un mistero che Maria Callas ammirasse la grande étoile Margot Fonteyn e che avesse un interesse per la disciplina del balletto classico. Con Rudolf Nureyev si incontrava ai circoli dell’élite artistica europea, soprattutto a Parigi e Londra negli anni ’60 e ’70. Ci sono foto che li ritraggono insieme a eventi mondani o teatrali, dove apparivano come due star assolute.
La Callas frequentava assiduamente teatri come l’Opéra di Parigi, il Teatro alla Scala e la Royal Opera House — tutti centri dove la danza e l’opera convivevano.
Anche se non fu mai ballerina, si ispirava all’eleganza e alla codificazione del movimento accademico per costruire i suoi personaggi che l’hanno trasformata nella “divina Callas”.
Ogni suo gesto era scolpito tra una frase musicale e l’altra dove la sublime voce danzava accompagnata dal corpo.
Michele Olivieri
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