
Milano, agli inizi del Novecento, era ben più che la capitale economica d’Italia: era una tappa d’obbligo per chi aspirava all’eccellenza artistica.
E tra i suoi allievi più illustri c’è una figura che ancora oggi incarna la quintessenza della grazia nel balletto: Anna Pavlova.
Nata a San Pietroburgo nel 1881 e formatasi nella rigorosa Scuola Imperiale di Danza, Pavlova trovò nella capitale lombarda un fondamentale punto di svolta.
La sua tecnica, pur già raffinata, doveva ancora trovare quella solidità che le avrebbe permesso di danzare leggera come un pensiero e precisa come un metronomo.
Fu proprio a Milano, sotto la guida della celebre Caterina Beretta, che Anna Pavlova ricevette la lezione più preziosa della sua carriera.
Beretta, direttrice della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, era conosciuta per il suo approccio severo e meticoloso.
Aveva formato étoile come Pierina Legnani e lasciava in ogni allieva un’impronta di rigore tecnico che faceva la differenza sul palcoscenico.
“La mia tecnica migliorò enormemente dopo il periodo di studio a Milano,” avrebbe affermato Anna Pavlova in più occasioni, secondo fonti storiche del balletto europeo.
Non è un caso che il maestro Enrico Cecchetti, simbolo della scuola italiana di danza, sia stato successivamente uno dei suoi mentori più stretti.
Il suo approccio – basato sull’equilibrio tra forza e leggerezza – trovava già le sue radici nel metodo impartito da Beretta.
Quando, nel 1906, Anna Pavlova divenne prima ballerina del Teatro Mariinskij, la sua presenza scenica era già intrisa di quell’eleganza scolpita a Milano.
E quando debuttò con i Ballets Russes di Sergej Diaghilev a Parigi nel 1909, il pubblico europeo vide per la prima volta quella sintesi rara tra spiritualità russa e perfezione accademica italiana.
Il momento forse più iconico della sua carriera, l’assolo La morte del cigno – coreografato per lei da Michel Fokine – portava in scena non solo la sua delicatezza, ma anche una chiarezza tecnica inconfondibile.
Una chiarezza che le aule milanesi avevano contribuito a scolpire.
Pavlova amava l’Italia. Oltre alla sua formazione, tornò più volte nel Paese per esibirsi con la sua compagnia indipendente, fondata nel 1911.
Portò la danza classica in luoghi dove prima non era mai arrivata: India, Australia, Sud America.
Ma nelle sue tournée europee, Milano rimase la tappa affettiva e simbolica. Oggi, passeggiando davanti alla Scala o al Teatro Lirico si può ancora sentire l’eco di quelle lezioni. Di una giovane russa, già promettente, che scelse Milano per trasformare il talento in leggenda.
Anna Pavlova non fu solo una diva del suo tempo. Fu il ponte vivente tra due mondi della danza: l’anima romantica del balletto russo e il rigore marmoreo della scuola italiana.
Michele Olivieri
Foto di Arts Square Gallery
www.giornaledelladanza.com
©️ Riproduzione riservata
Giornale della Danza La prima testata giornalistica online in Italia di settore