Forse perché è vissuto e ha fatto suoi al meglio i tempi della contestazione studentesca, della “fantasia al potere” negli anni ’70, Amedeo Amodio ha dato carattere gaiamente giovanile alle coreografie create per “Aida”, il colossal lirico verdiano onnipresente nella stagione del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla, e tuttora in corso fino al 5 agosto.
All’Opera Amodio, ballerino scaligero, giunse per collaborare negli anni ’70 col coreografo Aurel Milloss, per poi divenire, dal 1997 al 2000, direttore del Ballo del Teatro dell’Opera.
Prima però, la sua quasi ventennale direzione dell’Aterballetto, attuata collaborando con musicisti contemporanei, Berio, Bussotti, Corghi, Calì, con artisti figurativi quali Dorazio, Ceroli, Del Pezzo, con ballerini di nome – la Terabust e la Ferri, Derevjanko, Molin, Iancu, Bocca – aveva condotto la scelta compagnia dell’Ater ad un alto livello, nell’ambito della coreografia sperimentale, d’avanguardia e d’impegno, in cui Amodio (che entrò poi anche nel musical e nella cinematografia) ormai si muoveva.
Egli ha oggi concepito in apertura della verdiana “Aida” – e attingendo ovviamente al Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera – un prolungato ed intenso duo, danzato da Riccardo Di Cosmo ed Alessia Barberini: con giusto intuito coreografico, durante l’esecuzione del preludio esso condensava e sintetizzava metaforicamente, con prese e abbandoni lirici, l’iter drammaturgico di tutta l’opera, ossia l’amore e la morte cui il destino avrebbe condotto Aida e Radamès.
Di tutt’altro tenore era l’intervento coreografico ideato da Amedeo Amodio per le danze cerimoniali, in onore della vittoria di Radamès sugli Etiopi: entro l’apparato grandioso della corte faraonica, egli non ha previsto una danza rituale, austera e sacrale, ma un viluppo dinamico e serpeggiante di ballerini-adolescenti, dai corti gonnellini multicolori, che quasi in una girandola festosa, ora si sparpagliavano ed ora subitamente tornavano alle linee geometriche della coreografia.
Un soffio di giovinezza e di libertà, questo, in un mondo rigidamente gerarchizzato e teologicamente inquadrato come quello faraonico dell’ “Aida” di Verdi, in cui Amodio ha fatto apprezzabilmente rivivere lo spirito libertario di tanta sua precedente esperienza artistica.
Paola Pariset