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Arte e danza nel mondo di Emanuela Tagliavia

Eanuela Tagliavia foto di Flavio di Renzo 2

Emanuela Tagliavia, danzatrice e coreografa, proviene dalla danza classica ma ha completato la sua preparazione con lo studio e la pratica, soprattutto in Francia, della danza contemporanea. Tra le sue esperienze: Compagnia Carla Fracci, Teatro Massimo Palermo, Ballet du Louvre, Ballet des Temps Modernes, Europa Ballet, Compagnia Alain Marty, Compagnia Philippe Tressera, Movimento Danza di Gabriella Stazio, Compagnia Susanna Beltrami, Compagnia Ariella Vidach. Premiata, come danzatrice, al festival della città di Montauban in Francia. Assistente alla coreografia al Teatro San Carlo di Napoli. Come coreografa ha creato: “Der Damon” di Paul Hindemith al Piccolo Teatro di Milano, “Il Giro del tavolo” per il Festival Jazz di Roccella Ionica, “Itinerari nei Chiostri” a Milano, “Dodici minuti all’alba”, “Corto circuito” per la Scuola del Teatro dell’Opera di Roma, “Waitingage” per la Rassegna romana ‘Danza da Bruciare’, “A la carte” per il Teatro Piccolo Regio di Torino e i Festival di Civitavecchia e Cagliari. Per la Scuola del Teatro alla Scala: Ceci n’est pas; La Valse a Mille Temps; Da Carmen agli Arcimboldi di Milano. Movimenti coreografici in “Caro agli uomini e agli dei”, ne “Le cinque giornate di Milano” e in “Racconti di sabbia”. “Mine Haha” per la Scala e la Scuola Civica Paolo Grassi. Movimenti coreografici per “Nabucco” a Busseto e Siena e per “Rigoletto”. Ha creato per il Festival di Rapallo “M’encanta”. Coreografa in Aida “The Great Opera” allo stadio di Seoul, “Destino” ed “En écoutant du Schumann” al Teatro Bolshoi di Mosca, C’est tout; Due Preludi; Assenze; 506. Nell’ambito del festival Mito, crea per Luciana Savignano “Luminare Minus”. Coreografa di “Oscillazioni” e per la fondazione Pomodoro di “Pour un Herbier” con Fattoria Vittadini. Ancora per la Savignano crea “Encore une Valse”. Rimonta una nuova versione di “M’encanta” all’Ecole Superieure de Danse a Cannes. Per la Scuola di ballo della Scala “Balthus Variations” e “Hopper Variations” per la Scuola Paolo Grassi e il Florence Dance Festival. Ultimamente ha coreografato “Combustioni”. Nella sua carriera ha ricevuto vari premi, tra cui, “Danzatalenti”, “Aldo Farina”, “Premio Danzarenzano Arte”. Dal 1999 è docente di danza contemporanea alla Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala, dove svolge anche il ruolo di coreografa e presso la Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano.

Carissima Emanuela, quando, come e dove nasce la tua passione tersicorea?

 

Casualmente a scuola, un corso di danza classica alle elementari, poi la ricerca di un corso più impegnativo e durante il liceo lezione tutti i giorni con un’insegnante ex danzatrice del Teatro alla Scala, Gianna Ricci. Poche allieve, disciplina, lavoro costante.

Chi ti ha indirizzato o consigliato verso questa meravigliosa arte?

 

Nessuno, amavo danzare

Tra tutti coloro che sono stati al tuo fianco, chi ha creduto maggiormente in te e nelle tue doti?

 

Sicuramente la mia prima insegnante Gianna Ricci, che alla fine del liceo mi ha consigliato di fare delle audizioni per entrare subito nel mondo del lavoro, poi i coreografi e direttori che ho incontrato da Michael Denard, Alain Marty, Ricardo Nunez, Philippe Tressera, Gerard Bohobot, Gabriella Stazio, Susanna Beltrami.

Se dovessi dire un grazie particolare a un tuo maestro/a, a chi lo vorresti dedicare e perché?

 

Forse al coreografo francese Alain Marty che ha creato per me due coreografie, con lui ho capito che tecnica ed espressività sono complementari una all’altra, “L’expression, c’est la technique d’abord” (ndr, “l’espressione è tecnica prima di tutto”). La tecnica, la conoscenza, come “veicoli espressivi”.

Quali studi hai seguito per la tua formazione coreutica?

 

Danza classica, moderna e poi molto contemporaneo soprattutto in Francia… lavorando. Per l’insegnamento della danza contemporanea ho conseguito il diplome d’etat.

Com’è avvenuto poi l’accostamento alla coreografa?

 

Non ho mai pensato di coreografare, il mio obiettivo era quello di danzare, poi nel 1996, la Società Umanitaria mi propose uno spettacolo itinerante nei Chiostri, che mi permise in seguito di creare la mia prima coreografia importante. Marcello il “Der Damon” di Hindemith all’interno di una manifestazione “il Bahaus e la Musica”. Tre danzatori, con l’orchestra dei Pomeriggi Musicali e la prima al Teatro Studio a Milano… in più la prima recensione importante sulla pagina nazionale dell’Unità, a firma di Marinella Guatterini. Da quel momento è scattato in me qualcosa, ho cominciato a sentire che la scrittura coreografica era una mia nuova esigenza.

Attualmente sei docente di danza contemporanea in due prestigiose eccellenze milanese, la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala e la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. A tuo avviso reputi che l’attuale metodo di insegnamento della danza e la regolamentazione in Italia siano efficaci?

 

No, non c’è una legge per insegnare, aprire scuole, formare giovani danzatori. Chiunque può insegnare senza avere una preparazione.

Tra tutti i tuoi ricordi, quali rammenti con più gioia ed emozione della tua intensa carriera?

Diversi momenti, i primi ruoli importanti come danzatrice, essere riuscita a concretizzare in scena immagini e visioni del mio immaginario.

E tra tutti gli incontri con danzatori e coreografi chi ti è rimasto più nel cuore?

Michael Denard, Susanne Linke, Carolyn Carlson.

 

Hai lavorato, nel ruolo di docente scaligera, con tanti futuri talenti ma attualmente chi sono i ballerini del panorama attuale italiano e internazionale a cui riconosci l’eccellenza sia nel contemporaneo sia nel classico?

 

Il primo che mi viene in mente è Vito Mazzeo, principal all’Het national e Sara Renda nominata étoile a Bordeaux; nelle compagnie affrontano repertorio contemporaneo (Sara ha lavorato con Carolyn Carlson e Vito con Mac Gregor e non solo). Anche Virna Toppi e Christian Fagetti solisti presso il Teatro alla Scala.

Tra tutti i balletti visti a teatro di danza contemporanea, quale hai amato in assoluto?

 

A 18 anni, una domenica pomeriggio decisi di andare a Venezia a vedere “La Sagra della Primavera” di Pina Bausch, fu una vera esperienza emotiva. Uno spettacolo che mi è rimasto sempre dentro. Quando vivevo a Parigi, fui invitata da un danzatore della compagnia di Angelin Preljocaj alla prima delle “Noces” con la compagnia Preljocaj e il coro di Aix en Provence… un altro spettacolo che mi ha segnato. Stimo molto Angelin, per la sua ecletticità, ma anche il rigore e la precisione delle sue strutture. In Scuola di Ballo ho seguito il rimontaggio di “Larmes Blanches” e ora in febbraio inizieremo le prove de “La Stravaganza”. Terzo spettacolo, qualche anno fa al Ravenna Festival con la compagnia di Merce Cunningham in “Event”… quando capisci, ma soprattutto vedi la totale genialità di un coreografo!

Dei nuovi coreografi della scena contemporanea italiana e internazionale chi ti piace?

 

Di recente il coreografo greco Dimitri Papaioannou. Ma resto fedele ad Anne Teresa de Keersmaeker, Angelin Preljocaj, Shen Wei.

Tra i balletti del grande repertorio classico a quale sei più affezionata e perché?

 

“Lo Schiaccianoci” versione Nureyev, perché è magico come il Natale… L’atto bianco in “Giselle”, perché è sospeso e rarefatto, se dovessi scegliere per la musica “Cenerentola” di Prokofiev.

Hai qualche rimpianto, artisticamente parlando?

No, ho fatto delle scelte e non le rimpiango… forse non aver insistito nel voler mantenere un mio gruppo, una piccola compagnia. Ma non c’erano le condizioni economiche. Ho incontrato molte difficoltà.

Ti ricordi la tua prima creazione coreografica?

 

Sì, ricordo l’impulsività della prima volta, in più era uno spettacolo itinerante e non potevo immaginare la reazione del pubblico.

E la prima volta che sei salita su un palcoscenico nelle vesti di danzatrice?

 

La primissima non mi ricordo, mentre ricordo il primo ruolo importante, danzavo con Jean Charles Gil ed era il festival di Montpellier del 1987.

Solitamente come ti accosti alla preparazione di un nuovo lavoro? Da cosa trai spunto?

Dipende: i miei ultimi lavori si ispirano alle arti figurative (Balthus, Hopper, Burri) altri alla letteratura come “Island” liberamente ispirato a “La tempesta” di Shaekespeare o “C’est tout” di Marguerite Duras. Ho lavorato sull’attesa “Waitingage”, sul piacere “M’Encanta”, su un frammento lunare “Luminare Minus”, su un sottomarino “506”.

Quali sono i messaggi che vuoi far emergere dalle tue coreografie?

Cambiano seguendo la fonte d’ispirazione, narrare i luoghi della mente attraverso il movimento dei corpi nello spazio. La mia prima preoccupazione è però quella di trasmettere le mie intenzioni creative agli interpreti nel modo più chiaro ed efficace possibile.

L’esperienza al Teatro Bolshoi di Mosca, massimo tempio della danza, è stata emozionante?

 

Sì, nel 2003, la Direttrice Annamaria Prina, che ha avuto il grande merito di creare la duplice specializzazione in tecnica classica e danza moderna-contemporanea, adeguando così il percorso formativo della scuola alle tendenze delle compagnie internazionali, caratterizzate da un costante confronto fra l’impostazione accademica e quella contemporanea, mi propose di rappresentare con una mia coreografia la Scuola di Ballo a Mosca per i 230 anni della Scuola del Bolshoi. Scelsi tre danzatori, ora apprezzati interpreti internazionali: Vito Mazzeo, Fabrizio Coppo e Venus Vila. Nel 2004 ritornai a Mosca perché selezionata ad un festival di danza contemporanea ancora più emozionante!!

Quali altre passioni coltivi oltre alla danza?

 

Andare al cinema, viaggiare, leggere.

Pensi sia indispensabile per un coreografo aver avuto un’esperienza di danzatore?

 

Per me sì, perché la mia ricerca è la risultante della mia esperienza come danzatrice e non riesco a creare se non mi muovo. Ma ci sono grandi coreografi che non hanno un passato da danzatori, ma sono geniali nel loro atto creativo, penso in particolare ad Alain Platel.

Qual è l’aspetto che ti gratifica maggiormente nell’insegnare e trasmettere la tua arte?

 

Insegnare è un atto di grande generosità, devi dare molto, non limitarti, stare all’ascolto degli allievi ed essere un veicolo per la loro crescita. Mi gratifica vedere i progressi, i cambiamenti (non solo tecnici) la fiducia e spesso la riconoscenza anche a distanza di tempo.

Tuo marito è il celebre musicista Giampaolo Testoni. Insieme avete creato diverse coreografie. Com’è lavorare con lui?

Da quando creo con un compositore, la musica diventa un motore importante per il mio lavoro. Io strutturo senza musica, con l’aiuto di un metronomo o parto da musiche già esistenti che mi aiutano ad entrare nell’atmosfera. Riprendo in video e Giampaolo comincia a scrivere leggendo le immagini. Ci confrontiamo sulla scelta dei timbri e del ritmo, a volte chiedo di semplificare o modificare dei suoni. Anche quando non uso le sue musiche, mi affido a lui per creare una drammaturgia musicale, come in “Hopper Variations”, costruita su musiche di autori americani.

Insieme avete inaugurato il rinato Teatro Burri a Milano con “Combustioni”. Ci parli di questo lavoro e del famoso teatro restituito ai milanesi che tante polemiche aveva acceso?

 

Massimo Navone, mi chiese di inaugurare il Teatro Continuo nell’ambito di Expo 2015. Uno spettacolo all’aperto, un teatro con 17 metri di larghezza e delle quinte alte 6 metri, roteanti, bianche e nere. Durante la creazione non mi sono mai posta il problema di rappresentarlo lì o altrove, per me era un lavoro su Burri, quindi un lavoro sulla materia, dai cretti, alle plastiche, i legni, le iute. Una materia vissuta, lacerata, consumata, che come in un processo alchemico, mantiene in sé il ricordo delle origini. Creazione per 23 danzatori, allievi ed ex allievi del corso di Teatrodanza coordinato da Marinella Guatterini. Per quanto riguarda le polemiche, mi sono apparse ridicole e poco costruttive. Se pensiamo solo che i teatri chiudono, dobbiamo solo essere felici quando succede il contrario.

Per una tua creazione coreografica quale aspetto influenza la scelta dei costumi e dei colori? Celebre, in questo senso, il tuo lavoro su Hopper Variations.

 

In ogni creazione sia le luci che i costumi sono fondamentali. Per “Hopper Variations” chiesi alla costumista Enza Bianchini di recuperare gonne, vestiti, completi maschili, simili a quelli presenti nei quadri del pittore americano, dai colori forti e caldi contrapposti alla freddezza dei personaggi, ai loro silenzi e all’immobilismo degli spazi interni.

Che aria si respira presso l’Accademia Teatro alla Scala e alla Civica Scuola Paolo Grassi?

Un’aria molto diversa ma in entrambe di grande professionalità. Diversa per età: gli allievi della scuola di Ballo vanno dagli 11 ai 18 anni (iniziano a studiare contemporaneo a 14 anni), in Civica dai 18 ai 27-28 anni, molti provengono dalle scuole di teatro e sono quindi adulti. Anche l’ambiente è diverso. Quando entro in Scuola di Ballo sento il mescolarsi dei suoni di pianoforte delle lezioni nelle aule, inoltre alla fine della giornata gli allievi corrono al liceo e cala improvvisamente il silenzio. L’opposto in Paolo Grassi, dove gli allievi non sono solo danzatori, ma attori, drammaturghi, registi, organizzatori. Nell’atrio c’è un continuo fermento e un incessante attività di lezioni aperte, conferenze, spettacoli.

Com’è lavorare con il direttore e caro amico Fréderic Olivieri?

Fréderic Olivieri ha un grande rispetto del lavoro dei suoi docenti e ha il grande merito di portare in Scuola di Ballo un repertorio misto, da fare invidia alle migliori compagnie: Balanchine, Mats Ek, Kylian, Limon, Preljocaj, Forsythe.

Hai lavorato anche con la divina Carla Fracci. Un aneddoto e un ricordo?

Me la ricordo a Palermo durante le recite di “Giselle”, instancabile, grande lavoratrice. La sua pazzia era unica, ogni sera cambiava, mai ripetitiva o finta. Un’attrice.

Mentre con il ballerino dei ballerini, Nureyev. Se non ricordo male sei stata assistente coreografa?

A Napoli sono stata assistente di Alette Francillon e Patricia Rouanne che rimontavano la “Cenerentola” di Nureyev. Pochi giorni prima del debutto, Nureyev arrivò, non solo per assistere alla messa in scena ma anche per interpretare il ruolo del Produttore. Fu impressionante la sua presenza durante le prove, riusciva a cogliere qualsiasi imprecisione e in scena magnetizzava il pubblico, anche solo camminando.

Hai creato anche per Luciana Savignano? Altro grande vanto tutto italiano…

Luciana è unica al mondo, non è reale. Ho creato per lei “Luminare Minus” ed “Encore une Valse”. Ho il ricordo della prima prova, le avevo parlato del mito di Selene ed Ecate (la luna piena e la luna nera), mi ascoltava con attenzione, poi ho iniziato a strutturare una sequenza e mi ha stupito l’atteggiamento, umile, concentrata, calma, sensibile. Un esempio per i giovani danzatori.

Cosa ti auguri per il futuro della coreografia?

 

Quello che ci auguriamo tutti: investimenti, nuovi spazi, scambi.

Qual è la delusione più grande che hai mai avuto in termini artistici?

 

La delusione sta nella difficoltà di trovare ascolto negli interlocutori per realizzare coreografie. Spesso lavori che hanno un buon riscontro si replicano poche volte.

Tra tutti i tuoi balletti quale non è stato compreso da pubblico e critica ma che oggi vorresti riproporre sulla scena?

 

“Mine Haha” fu stroncato da una critica moralista che vide nella regia di Marina Bianchi e nella mia coreografia solo l’aspetto scabroso. Forse non aveva letto il testo di Wedekind… Un lavoro al femminile, regista, coreografa, scenografa, costumista, attrice e giovanissime danzatrici. Ci definirono lesbiche.

Se ti venisse data l’occasione di scegliere un libro e un celebre film… quali vorresti portare in scena in veste di coreografa?

 

“Neve” di Maxence Femine, storia di una funambula e un poeta. Ho appena visto un film splendido, “Dio esiste e vive a Bruxelles” di Jaco Van Dormael, sarebbe un pretesto per una coreografia surreale, onirica e visionaria.

Un tuo consiglio a tutti i giovani che desiderano intraprendere la carriera di danzatori e coreografi?

 

Studiare sempre, non accontentarsi dei risultati troppo facili, non perdere tempo a guardare gli altri, ma lavorare su se stessi e vivere non solo in sala danza, frequentare i teatri, le sale da concerto, mostre d’arte, leggere… avere curiosità del mondo e spirito di sacrificio!

Michele Olivieri

Foto di Flavio di Renzo

www.giornaledelladanza.com

 

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